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Tra stradine colorate e murales ti incanti: quel borgo dei pescatori vicino a Palermo

Un piccolo borgo contraddittorio, d’un passato ricco di testimonianze e un presente silenzioso: vi raccontiamo la storia di un luogo ricco di meraviglie

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 10 febbraio 2025

Dov’eravamo rimasti? “A lu ventu chi ciucia da lu Tirrenu. A lu portu cu li stori di li marinara. A li biddizzi antichi e li varchi culurati”.

Trappeto è un piccolo borgo contraddittorio, d’un passato ricco di testimonianze e un presente silenzioso. Mentre il mare scandisce il passaggio obbligato nel porticciolo, in paese la musica cambia.

Dei 3034 (2987 o 3103) abitanti non v’è traccia apparente (attendono speranzosi l’arrivo della stagione estiva). Il comune palermitano è nascosto nel mezzo di vicende sicciarote e feudi aragonesi. Troppa confusione “al centro” della solitudine.

Inizia la visita: è scandita da passi leggeri e accompagnati da soffi di “illusioni” tramontane. Le stradine colorate danno segni di vita. Angoli e forme allineate frammentate da murales significativi. I singoli disegni raccontano la vita del borgo, di ricordi del caos estivo e inverni calmi e piatti.

Nel mentre della passeggiata, un anziano gentile si lascia andare a un sibillino: ”Ricordo ancora il 1954”. La storia inizia con le smanie di protagonismo.
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Quel 1954 è solo l’ultimo atto di un percorso abbastanza lungo attraverso i secoli. Da dove iniziare? Diamo persuasione all'uomo “trappetese”. Il 24 giugno del 1954 Trappitu otteneva l’autonomia dal comune di Balestrate, di cui era frazione. Finalmente direbbero gli abitanti!

Meno quell’anziano, che infreddolito continua: ”Per me è uguale!” Scarsi eravamo e scarsi, rimarremo! Però amo Trappeto!”. Chissà cosa pensava Federico II d’Aragona quando acquisì - al demanio regio - i territori dove sorsero successivamente i paesi di Balestrate e, appunto, Trappeto.

Le origini del paese risalgono al 1480, in virtù della sdemanializzazione delle terre. Ottenute le stesse da re Alfonso d’Aragona, Francesco Bologna costruì un opificio.

Lo stesso venne utilizzato per l’estrazione e la raffinazione dello zucchero di cannamela. Fu quello il momento esatto in cui la borgata prese il nome da “Trappetum Cannamelarum”.

Economia e società andavano di pari passo fin quando, agli inizi del 1600 la storia cambiò. Gli abitanti “sospesero momentaneamente" il vissuto trappetese e ritornarono dopo un secolo. Grazie al barone di San Lorenzo, una nuova “ondata agricola” stava per iniziare il nuovo corso.

I vigneti divennero risorse preziose. Ancor oggi, a distanza di alcuni secoli, quel leggero profumo è delizia per i palati fini. Oltre al patrimonio agricolo si fece strada la pesca, che divenne indispensabile per la sopravvivenza.

E così giunse il fatidico 1820. La forzata unificazione con i sicciaroti fu indigesta. Voluta da re Ferdinando I di Borbone (con tanto di decreto), divenne motivo di scontri tra “sicciaroti” e “marinari”.

Fino a quel fatidico 1954…! Lo spirito di osservazione si lascia incantare dallo splendido panorama che dà atto alla meraviglia del porticciolo. Da lassù, a soli 15 metri sul livello del mare, ci si spinge verso la piccola e curiosa Chiesa dell’Annunziata.

Di pianta longitudinale, è divisa in tre navate. Una cantoria sormonta l’ingresso dove prende posto un organo a canne. In stile semplice, i bassorilievi raffiguranti scene della Madonna “conquistano” gli sguardi attenti dei curiosi.

Alla destra della struttura è presente un campanile, la cui forma parallelepipeda si sviluppa in tre ordini. È tempo di languorini, la camminata si è sviluppata per alcuni chilometri.

Cassate, cannoli, arancini sono dolci da assaporare tutti d’un soffio. E poi pranzetti a base di pesce, pasta alla norma e altre prelibatezze tengono il visitatore legato al territorio.

Il tempo scorre, si odono voci immaginarie. Di eventi cinematografici che raccontano scene di vita. E improvvisamente ci catapultiamo dentro il set della “Moglie bella”, “Per quel viaggio in Sicilia”, “I cento passi”, “Ricordare Anna”, di cui siamo gli attori non protagonisti.

Sentiamo di essere speciali, figli del mare e non ce ne dispiacciano i sicciaroti, trappetesi per un giorno. L’ultima brezza è una sorta di commiato; un “arrivederci” per lasciare aperte le porte a una seconda visita nel ricordo di Danilo Dolci.
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