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Se ci vai fai un viaggio indietro nel tempo: il borgo fantasma a pochi passi da Palermo

A pochi chilometri da San Cipirello, in piena Valle dello Jato, le curiosità cadono su un paesino che ebbe vita breve: vi sveliamo il nome di quel borgo fantasma

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 24 febbraio 2025

Borgo Schisina, Borgo San Giovanni, Bucceri-Monastero, Pietra Pizzuta, Malfìtana, Piano Torre, Borgo Morfia, Borgo Borzellino, [...] e… Borgo Schirò.

È l’elenco “pesante” delle ”ghost town” siciliane. Belli, storici e dal passato glorioso. Alcuni di essi provano a rinverdire i fasti d’un tempo, altri sono caduti nell’oblio e altri ancora provano a riemergere dalle ceneri.

A pochi chilometri da San Cipirello, in piena Valle dello Jato, le curiosità cadono su un borgo che ebbe vita breve. Stiamo parlando di Borgo Schirò!

Allo stato attuale è “quasi impresa” raggiungerlo, viste le condizioni deficitarie dei manti stradali delle suddette zone.

Nella massima attenzione - spesso, a nostra insaputa, anche Google Maps veste i panni dell’avversario di turno e dobbiamo inventarci il ruolo di “tecnici satellitari”.

Il rischio di addentrarci in sterrati in ghiaia, attraversare “gallerie ferroviarie” e strade impervie fanno parte degli eventi negativi che i curiosi devono mettere in preventivo.
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Finalmente, a circa una quindicina di chilometri, una volta raggiunta la contrada di Pietratagliata (merita i suoi approfondimenti), inizia il nostro personale cammino.

Da un lato la stanchezza psicologica è il nemico numero uno da combattere, mentre dall’altro, presa coscienza della bellezza ambientale, il cammino stesso è ricco di sorprese paesaggistiche.

Sono undici i chilometri da percorrere tra andata e ritorno, ma vale la pena lasciarsi andare al rigoglioso territorio corleonese. Le distese aperte mostrano i lati felici della natura incontaminata.

Un “grosso” monte è avvolto dalla nebbia: Rocca della Busambra con i suoi misteri, tutti da svelare. Durante il tragitto è possibile incontrare “li bagghi” abbandonati.

Anch’essi vorrebbero rievocare fatti e costumi d’un passato ormai andato. A circa tre km dall’arrivo, ecco spuntare una torre.

Nel bel mezzo della natura trova rifugio, esalta la sua altezza imponente. Il borgo non è lontano, è solo questione di tempo. I punti cardinali sono - qualsiasi essi siano - testimoni di un verde spumeggiante, manifestazione di libertà.

Un tratto in salita è il preludio all’arrivo al borgo, manca davvero poco. Una curva a destra e dritti verso il traguardo. Accolti da un monumento-testimone dell’intervento del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, come ente di colonizzazione del latifondo siciliano, è tempo di primi scatti.

Tira un venticello tipico invernale. È leggero, magari impaurito dall’aria che si respira. Silenzio, fin troppo. Si entra in punta di piedi nel rispetto di un periodo storico importante.

È stato scritto abbastanza. Magari, se potessimo, vorremmo stringere la mano all’ex militare arbereshe Giacomo Schirò.

Albanese, venne ucciso con 53 coltellate nei pressi di Piana degli Albanesi. Il ricordo è tutto per lui, per un uomo valoroso. E poi, entrare dentro il faticoso impianto storico è complicato.

Giusto sottolineare l’anno di costruzione (1939), i tentativi di ristrutturazione (1948, ‘53,’54,’58 e 1965) e la fine indecorosa (metà anni Sessanta).

Fu costruito per evitare lo spopolamento delle terre, con conseguente riqualificazione delle stesse. La visita continua dentro i particolari, senza distinzione.

Nella vecchia fontana a mattoncini rossi campeggia la scritta ”Laudato si mi signore per sòra acqua”. Pochi metri più in là è presente una delle strutture più importanti: il municipio. Oltre all’insegna “Ecls”, era sede del Pnf (Partito Nazionale Fascista).

Entrare negli edifici pericolanti non è cosa buona e giusta (evitate di farlo), però l’atmosfera pervade l’animo di chi in ogni modo vuole immaginare il vissuto.

Le stanze vuote e saccheggiate sono figlie di un triste declino. Porte e finestre distrutte dal tempo, dall’incuria dell’essere umano.

Solo la famiglia Sollazzo ebbe la forza di tenere la fiammella della speranza accesa. Anch’essi, nel tempo, dovettero cedere il passo ai furti continui.

E in ultimo, il parroco, fino al Duemila celebrava la Santa Messa. Dopo l’ennesimo atto vandalico nei confronti della chiesa, decise di andar via disperato.

La disperazione è l’elemento caratteristico del borgo. Entrare nell’edificio religioso è solo un atto dimostrativo, il resto è "scollegato" con la fede.

Disegni e “arte volgare” hanno rovinato il passato. Per molti è ideologia, invece no. Borgo Schirò è un riferimento sociale.

Nel 1997 - grazie ad alcuni artisti - è stato portato avanti un progetto di riqualificazione. Lo stesso prevedeva dei murales “riflessivi”. Sì, in ricordo di una comunità (circa 100 abitanti) che popolava il luogo con impegno e sacrificio.

Rimangono le fondamenta, come quelle dell’ambulatorio medico, la scuola, la sala (lu varveri), la torre e la bottega dei generi alimentari. “Li tetti sdirupati” sono segno tangibile della nostalgia.

In alcuni casi mancano i pavimenti e in altri, ogni passo può essere fatale. La curiosità è tanta. Attualmente è riparo per gli incivili che lasciano “la munnezza”.

Borgo Schirò entra di diritto nell’ampio territorio monrealese eppure, a dirla tutta, Corleone è a dodici chilometri di distanza. Non conta adesso.

I paesaggi sono magnifici, mentre il vento continua a soffiare. “Li picciuna” non smettono di stornellare. Accompagnano i visitatori all’uscita. Un velo di tristezza avvolge gli sguardi, un ultimo scatto e il mesto ritorno a casa.
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