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Le vedevi solo in occasioni speciali: Palermo ai tempi delle giostre a piazza Marina

Era una piazza diversa da quella che noi oggi possiamo ammirare e si prestava bene allo scopo della giostra, perché era uno spazio "nudo e scoperto". La storia

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 5 ottobre 2024

La giostra reale al Piano della Marina disegnata dall'architetto Paolo Amato

Nel XVII secolo a Palermo la giostra - "gioco nell’isola antichissimo" - era ancora diffusa per "applaudere e festeggiare": ci ricorda il Marchese di Villabianca, nei suoi Diari, che per la Vittoria di Barcellona “mercoledì 19 febbraio del 1653 si fece la giostra nel piano della Marina”: vinse, per aver rotto più lance, il signor Ludovico Alliata, barone di Solanto; ebbe un premio per il più ricco abbigliamento Don Martino Sieripepoli, barone di Mangiadaini.

Il Piano della Marina era allora una piazza diversa da quella che noi oggi possiamo ammirare e si prestava bene allo scopo della giostra, perché era uno spazio “nudo e scoperto” e tale rimase fino a quando nel 1866, su progetto di Filippo Basile, venne realizzata Villa Garibaldi, dove offrono ombra ai visitatori diversi maestosi esemplari di ficus magnolioides.

Una delle giostre più belle, capace di destare l’ammirazione e lo stupore dei contemporanei, si svolse nel piano della Marina nel 1680, per festeggiare le nozze tra il re di Spagna Carlo II e Maria Luisa di Borbone.
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Carlo II (1661 – 1700), soprannominato “Carlo lo Stregato”, fu l'ultimo Asburgo di Spagna. Era figlio di Filippo IV e della seconda moglie Marianna d'Austria; i suoi genitori erano rispettivamente zio e nipote. Carlo fu ultimogenito e unico figlio maschio sopravvissuto della coppia; fu colpito da molte malattie che la superstizione popolare attribuiva a una maledizione (per questo motivo venne soprannominato el Hechizado, lo Stregato).

In realtà oggi sappiamo che la cattiva salute del re dipendeva principalmente da malattie genetiche, originate dalla consuetudine degli Asburgo di contrarre matrimonio tra consanguinei, per non disperdere il patrimonio familiare.

La sposa di Carlo, Maria Luisa di Borbone-Orléans (suo zio era Luigi XIV di Francia, detto Le Roi Soleil, il Re Sole) era famosa per la sua bellezza e il suo fascino. Il matrimonio si celebrò nel novembre 1679 e quando in Sicilia si apprese la notizia “Palermo esultò a quell’annunzio, ed espresse la sua gioia con popolari feste”.

Il Vicerè riuscì a far erogare al Parlamento siciliano straordinari sussidi per i festeggiamenti, stimati in 200.000 scudi d’argento.

Per festeggiare le nozze reali si rappresentò nel Regio Palazzo Reale il dramma “La Fiordispina”, opera del Cavalier Fra D. Antonino Salamone, posto in musica da Marc'Antonio Sportonio. Il pretore di Palermo, il Duca di Camastra, con il voto comune dei senatori e di cavalieri, ottenne di poter solennizzare l’evento, per ossequio al re e soddisfazione ai cittadini, con due bellissime giostre reali, che “riuscirono a meraviglia, sontuose, vaghe e bizzarre”.

Al “gentilissimo e nobilissimo architetto D. Paolo Amato”, esperto nell’ideazione di macchine e apparati effimeri, il Senato affidò il compito di esprimere i fasti e lo splendore della capitale, realizzando nel Piano della Marina una struttura di dimensioni colossali, capace di contenere migliaia di spettatori, "emulo della romana e non indegno della palermitana magnificenza… Si fece in legno e si adornò di drappi di seta ricamati e bellissimi arazzi".

Amato ideò un edificio effimero di forma ovale; un superbo teatro lungo 624 piedi e largo 240 che venne fabbricato di fronte al Palazzo dell’Inquisizione, con accesso dal lato del Cassaro. Vi si ricavarono posti a sedere per la plebe e comodi palchetti per i nobili e i cittadini di “condizione più riguardevole”.

Al centro del teatro vi era un grande palco per il vicerè e la viceregina, foderato di velluto cremisi e arricchito con balaustre dorate; a destra e a sinistra del palco reale vi erano le logge per le dame. Di fronte al trono del Vicerè vi era la loggia del senato, ornata con velluti e damaschi rossi.

Per molti giorni, prima dell’evento, i giostratori si esercitarono sotto gli occhi dei cittadini curiosi che assistevano alle prove: il cavaliere che avrebbe spezzato più lance sarebbe stato il vincitore della giostra, ricevendo in premio un bacile d’argento.

Il Senato scelse 12 cavalieri, giostratori di “provata e riguardevole nobiltà” come Don Gaetano Fardella, Don Francesco Statella, Don Diego Morso, Don Giovan Fernandez Heredia e assegnò a ciascuno, per distinguersi, il colore delle vesti: oltramarino, color d’oro, incarnatino, sulfararo, capillaro, ammalvato, pavonazzo...

Furono eletti anche i maestri di campo (tra questo don Cesare La Grua, principe di Carini, che poco prima dell’evento però morì). Furono giudici della gara il pretore e il senato di Palermo.

Nel giorno di San Mattia, il 25 Febbraio, ebbe luogo la prima giornata della giostra. Era una mattina tiepida, tipica del mite inverno siciliano e splendeva il sole nel cielo terso. La gente giunta da ogni parte della Sicilia si accalcava per assistere allo spettacolo. Il Vicerè e la viceregina ricevevano gli omaggi di tutta la nobiltà.

Gli aristocratici facevano sfoggio nel vestire; anche i cavalieri erano molto eleganti e i cavalli erano riccamente bardati. Le dame rivaleggiavano tra di loro, esibendo gonne di velluto, corpetti ricamati, ori e gioielli: la moglie del pretore, la principessa di Trabia, la duchessa di Camastra, la principessa di S. Stefano…

La prima giostra si svolse in due giornate (il 25 e il 28 febbraio): si affrontarono i cavalieri con le loro lance e il popolo con stupore ammirò bravura e valore. Lorenzo Pilo meritò due premi, uno come più galante, l’altro come vincitore della giostra, per aver rotto meglio di ogni altro le sue lance. Finita la giostra e distribuiti i premi, dallo stesso Vicerè in persona, si fece una bellissima cavalcata notturna, alla luce delle torce, da Piazza Marina fino al Palazzo Reale. Vi prese parte pure il Vicerè, che volle alla sua destra il vincitore.

La seconda giostra si svolse in tre giornate (il 3, il 13 e il 17 Marzo): il vincitore fu il barone di Calatubo e anche questa volta si fece la cavalcata.

Dietro a tanto sfarzo si nascondeva però un’amara verità: siciliani e spagnoli vivevano al di là delle loro possibilità, mostrandosi per quelli che non erano, spendendo risorse che non possedevano. Erano quelli anni tristi per la Sicilia, e la Spagna era ormai entrata in una fase di forte declino economico e politico, ma il Pretore (sindaco) di Palermo si assicurava il consenso popolare organizzando grandiosi spettacoli pubblici e il senato spendeva denari con la solita prodigalità palermitana.

Si parlò per giorni e giorni della magnificenza dell’evento, dell’imponenza dell’impianto e del successo della manifestazione, alla quale avevano partecipato i migliori cavalieri giostratori dell’aristocrazia isolana, tanto che Piero Maggio nello stesso anno pubblicò (per tramandarne memoria ai posteri) un breve scritto dal titolo “Le Guerre Festive nelle Reali Nozze De’ serenissimi e Cattolici Re di Spagna Carlo Secondo, e Maria Luisa di Borbone Celebrate nella Felice e Fedelissima città di Palermo”.

Nonostante i grandi festeggiamenti e una forte intesa tra i coniugi, il matrimonio tra Carlo e Maria Luisa non fu felice: l’atteso erede non arrivò, forse a causa della salute del sovrano e i tentativi infruttuosi di rimanere gravida, accompagnati dal biasimo dell’intera corte contribuirono a rendere molto malinconica la regina.

Dieci anni dopo le nozze, il 12 febbraio 1689 la sovrana moriva di peritonite a causa di una caduta da cavallo. Carlo, pazzo d'amore per lei, ne rimase terribilmente sconvolto.

Si disse: «Sulle labbra di Maria Luisa d'Orleans si è posato l'ultimo sorriso del re». Le ultime parole della sovrana, sul letto di morte, furono per il marito: «Vostra Maestà potrà avere altre mogli, ma nessuna l’amerà mai come me».
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