STORIA E TRADIZIONI
Le 10 suore morte in un monastero: quando Camilleri scoprì un segreto dei Gattopardi
Un terribile fatto scoperto dallo scrittore siciliano e che sarebbe accaduto in un monastero voluto dal "Duca Santo", antenato di Tomasi di Lampedusa

Andrea Camilleri
Sceneggiatore, regista, drammaturgo, Camilleri è venuto alla ribalta come scrittore, conquistando la notorietà, a partire dagli anni ’90, quando era quasi “sittantino” con i romanzi del Commissario Montalbano.
Un rapporto complicato quello tra il maestro e la sua creatura letteraria: «Montalbano per me, dopo vent’anni è un parente al quale voglio bene - aveva confessato in un’intervista su Rai Cultura - ma nello stesso tempo è un personaggio scomodo. Perché il suo successo trascinava al successo gli altri romanzi, i miei romanzi storici, i miei romanzi civili. Quindi lo odio e lo amo».
Mentre Salvo Montalbano era quasi "un’amante noiosa", lo scrittore si diceva “sposato con i romanzi storici”, la sua vera passione: le storie ignorate dagli storiografi, ma riscoperte su antichi registri, in polverosi archivi, lì dove a nessuno sarebbe mai venuta “gana” (voglia) di andarle a cercare, diventavano per il maestro spunti interessantissimi, materia per i suoi romanzi.
Che accadessero cose strane nel Seicento nel monastero del Rosario a Palma di Montechiaro, antico feudo della famiglia Tomasi, terra di santi austeri in provincia di Agrigento, lo scrittore di Porto Empedocle lo sapeva bene e da molto tempo.
Si dice che il monastero del Santissimo Rosario fosse stato costruito da Giulio, duca di Palma di Montechiaro, antenato dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa, per riscattare i peccati del capostipite Mario Tomasi, cacciatore di teste nel XVI secolo.
Tutti i figli di Giulio (tranne Ferdinando a cui spettò il compito di generare un erede) vennero indirizzati alla vita ecclesiastica: il primogenito Giuseppe Maria si dedicò alla vita religiosa, diventando cardinale (beatificato nel 1803, è stato proclamato santo nel 1986) mentre le quattro figlie femmine si fecero monache con i nomi rispettivamente di suor Maria Serafica, Suor Maria Crocifissa, Suor Maria Maddalena, Suor Maria Lanceolata.
Il Duca Santo – come venne presto chiamato Giulio – si ritirò in eremitaggio nel nuovo palazzo Ducale e si dedicò con fervore alla preghiera e ad opere di elevazione spirituale. A sua volta la moglie Rosalia Traina, all’età di 36 anni, col consenso di Giulio (e la dispensa del Papa) entrava col nome di Suor Maria Sepolta nel monastero di Palma dove si erano già monacate le sue figliole.
Suor Maria Crocifissa della Concezione, ritenuta da molti per via dei suoi scritti una mistica di grande spiritualità, dichiarata venerabile nel 1787, avrebbe ispirato a Giuseppe Tomasi di Lampedusa la figura della Beata Corbera del romanzo il Gattopardo.
Trascorreva le giornate tra digiuni, preghiere e fustigazioni, si diceva che avesse capacità profetiche e che intorno a lei accadessero miracoli e prodigi. Le biografie della suora narrano di lotte quotidiane con Demonio, che “innervosito dalla di lei austerità” la percuoteva, le procurava ecchimosi, abrasioni, contusioni, una volta le scagliò contro un enorme sasso e un’altra volta le strappò di mano la penna e scrisse persino una lettera, ordinandole di firmarla, ma la suora vi appose solo la parola Ohimè: almeno così rivelò Suor Maria Crocifissa al confessore.
La famosa lettera del Diavolo, che è stata scritta con caratteri incomprensibili, ma disposti in righe ordinate, è stata decifrata nel 2017 da un gruppo di fisici e di informatici catanesi, utilizzando un programma di decriptazione: si tratterebbe di un testo delirante, privo di vero significato.
Alla fine dell’Ottocento Gustavo Chiesi su "La Sicilia illustrata", ironizzò sul fatto che forse per spirito di rivalità con Messina, città che vantava di possedere una lettera della Madonna, i prelati di Girgenti (Agrigento) si erano inventati una lettera del Diavolo: «Credendo che quella trovata fruttasse bene, hanno voluto tirar fuori qualche cosa di sbalorditivo, che non mettesse Girgenti, per questo rapporto, al di sotto di Messina».
Andrea Camilleri stesso si era divertito a bandire un concorso su La Domenica del Corriere negli anni’ 60 del secolo scorso, promettendo un soggiorno di un mese ad Agrigento per chi riuscisse a tradurre la lettera. Il maestro non immaginava certo che molti anni sarebbe tornato a scrivere sul monastero di Palma di Montechiaro e su un terribile fatto segreto, accaduto nel 1945.
Nel romanzo storico “Le pecore e il pastore” lo scrittore racconta di aver scoperto nel 2004 un fatto molto più inquietante della fantasiosa “lettera del Diavolo”. Aveva letto in una nota a piè di pagina del libro “L’attentato contro il Vescovo dei contadini” di Enzo Di Natali, una notizia che lo aveva fatto letteralmente sobbalzare sulla sedia.
In una lettera scritta il 16 agosto del 1956 al Vescovo Peruzzo, dall'abadessa del Monastero del Rosario, Enrichetta Fanara, la suora avrebbe confessato che dieci giovani monache si erano lasciate morire (probabilmente di fame e di sete) per ottenere, in cambio della loro vita, la salvezza del vescovo Peruzzo, ferito a morte per vendetta di qualche feudatario locale: «Non sarebbe il caso di dirglielo ma glielo diciamo per fargli ubbidienza» scriveva la Fanara.
«Quando V.E. ricevette quella fucilata e stava in fin di vita, questa comunità offrì la vita di dieci monache per salvare la vita del pastore. Il Signore accettò l'offerta e il cambio: dieci monache, le più giovani, lasciarono la vita per prolungare quella del loro beneamato pastore».
Mons. Giovanni Battista Peruzzo, piemontese d’origine (1878 – 1963), fu Vescovo di Agrigento, dal 1932 al 1963. Leonardo Sciascia lo definì “un prete diverso”. Venne ai ferri corti con i latifondisti siciliani in nome del diritto dei contadini ad una vita dignitosa; impiantò cucine economiche allo scopo di permettere ai poveri di mangiare almeno un piatto di minestra al giorno.
Quando la Sicilia si trovò sotto i bombardamenti Peruzzo mise a disposizione della Croce Rossa il Seminario e lo stesso Palazzo Vescovile divenne per sua volontà un ospedale con cinquantacinque posti letto.
Il 9 luglio 1945, alle 9.45 della sera, subì un attentato nel bosco di Santo Stefano Quisquina: colpito da due spari d'arma da fuoco, il prelato guarì infatti dalle gravi ferite riportate nell'attentato, dopo essere stato soccorso e operato al polmone dal chirurgo Raimondo Borsellino.
Andrea Camilleri sfiora dunque una vicenda inquietante: all'insaputa del vescovo, dieci giovanissime monache benedettine offrirono in sacrificio la loro vita, in cambio della salvezza del Monsignore. Dieci pecore per un Pastore. Il Signore evidentemente accettò l’offerta, conclude l’Abadessa Fanara, dato che il Vescovo si salvò (si sarebbe spento 8 anni dopo, il 20 luglio 1963. nel paese natale, Molare, dove si trovava in ferie ed è sepolto ad Agrigento).
Un anziano Teatino, confessore delle benedettine di Palma nel 1945, avvalorò la lettera di Suor Enrichetta, «ma non volle aggiungere altro, disse che poteva parlare della cosa solo con persone di grandissima fede» precisa Camilleri.
Enrichetta Fanara fu anche colei che accolse il principe Tomasi di Lampedusa in visita al monastero di Palma di Montechiaro, ne guidò le due visite nell’Autunno del 1955 e con i suoi racconti lo commosse fino alle lacrime.
Si chiedeva Camilleri: perché la Fanara aspettò 11 anni, un mese e sette giorni, per scrivere al Vescovo e rivelargli quello che era successo nella clausura?
«Ho una mia idea - ipotizzava il maestro - non sorretta da prove: Giuseppe Tomasi di Lampedusa si edificava a sentir raccontare dalla Abadessa i miracoli della Venerabile Suor Maria Crocifissa, spesso si commosse. Ecco io credo che partito il principe di Lampedusa, l’Abadessa si sia domandata: perché non aggiungere alla lista dei titoli di merito anche il sacrificio delle dieci suore? (…) Le visite di Tommasi di Lampedusa nel settembre e nell’ottobre del 1955 furono, a mio avviso, la causa scatenante perché l’Abadessa si persuadesse ddoppo averci pensato tanticchia a pigliare carta e penna».
Camilleri era certo che della morte delle monache nessuno, al di fuori della comunità monastica, del vescovo e del confessore, venne mai conoscenza.
I nomi di quelle che si sono sacrificate sono rimasti segreti e allo stesso tempo tante altre domande sono destinate a rimanere senza risposta:
Nessuna delle suore ebbe un ripensamento?
Nessuna suora implorò, in extremis, di essere salvata?
E in questo caso, come si comportarono le consorelle?
Si tapparono le orecchie per non sentire quel flebile implorare?
Uscirono dalle celle chiudendosi la porta alle spalle o tentarono un salvataggio oramai impossibile?
Tristemente concludeva Camilleri: «Non lo sapremo mai».
Ti è piaciuto questo articolo?
Seguici anche sui social
Iscriviti alla newsletter
|
GLI ARTICOLI PIÚ LETTI
-
STORIA E TRADIZIONI
Lo schiavo (ribelle) che divenne re di Sicilia: chi conosce la storia di Euno
-
ITINERARI E LUOGHI
Tra le più belle al mondo c'è sempre (e solo) lei: la spiaggia siciliana non ha rivali