TRADIZIONI
Di lei ci sono tracce persino nella Bibbia: la Sfincia di San Giuseppe tra storia e curiosità
Secondo la tradizione, l'origine della "spincia" sarebbe di derivazione araba. Si racconta che siano nate come semplici frittelle grazie all'ingegno di alcune suore di Palermo
Sfincia di San Giuseppe
Di tradizione antichissima, ve ne sono tracce addirittura nella Bibbia e nel Corano, l’origine della “spincia” - come viene amorevolmente chiamata in siciliano - sarebbe di derivazione araba, così come vuole la lunga tradizione di dolci fritti.
Partendo dall'origine del nome di questo dolce sfincia deriverebbe dal latino spongia, ovvero spugna o dall'arabo isfanǧ, che ha lo stesso significato, sintetizzando pienamente la forma della morbida frittella dalla forma irregolare, proprio come le spugne naturali.
Sembra, inoltre, che sia l'evoluzione di pani o dolci non solo arabi, ma probabilmente anche persiani.
Come spesso viene riportato nelle storie, e anche nelle leggende, tramandate nei secoli che toccano la pasticceria siciliana, si racconta che queste spugne siano nate inizialmente come gustose e semplici frittelle grazie all’ingegno e all'abilità delle suore del Monastero delle Stimmate, presente un tempo nella città di Palermo.
Si racconta, infatti, che la ricetta, inizialmente più semplice e ridotta negli ingredienti, sia stata ben presto condivisa con i pasticcieri palermitani che l'hanno voluta dedicare al “Santo degli umili”, San Giuseppe appunto, padre putativo di Gesù.
In breve tempo la ricetta si è molto arricchita fino ad arrivare alla definizione odierna che, non solo per il 19 marzo, si trova in tutte le pasticcerie palermitane e anche siciliane, nelle forme anche meno trionfali, ma sempre deliziose, delle più piccole “sfincette”.
Alla morbida spugna a cui diedero forma le suore del convento del Monastero delle Stimmate, realizzata con farina, uova intere e solo tuorli, lievito, latte e zucchero, venne aggiunta la ricotta addolcita con zucchero, gocce di cioccolato e gli immancabili canditi che, oltre alla dolcezza, donano quel tocco di colore che ricorda uno degli emblemi della Sicilia, il carretto.
La sfincia "grande", dunque, si presenta come un trionfo di bontà su cui affondare un morso e sentire tutta la morbidezza che, nei secoli, è stata mantenuta ed è fattore discriminante nelle produzioni di qualità.
Non tutti sanno, infatti, che ci sono dei trucchetti affinché, in cottura, venga fuori, è il caso di dire, tutta la morbidezza di questa pastella fritta.
È doveroso intanto precisare che secondo tradizione la frittura veniva realizzata in un bagno di sugna o strutto, grassi di origine animale poveri, molto usati in passato oggi meno, che assicuravano, oltre ad un fritto asciutto, anche una superficie croccante.
Per rendere, invece, la pastella ariosa, e dunque, leggera si procedeva alla così detta mazzuliata.
Una volta immersa nella padella a friggere la pastella veniva colpita perpendicolarmente con un cucchiaio di legno così da rompere, ripetutamente, la prima crosta che si formava e rendere il prodotto finale una nuvola di bontà.
Nel tempo la fantasia dei pasticceri ha prodotto qualche leggera variante a seconda della zona della Sicilia in cui si possono degustare le sfince; così le gocce di cioccolato hanno lasciato il posto alla granella di pistacchio e le ciliegie candite hanno preso il posto della zuccata fatta in casa.
Il risultato comunque non cambia: in qualunque giorno dell’anno, e in qualunque angolo dell'Isola, gustare una sfincia di san Giuseppe è sempre una goduria del palato.
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