STORIE
A casa della principessa Carine: chi è la francese che ha fatto rinascere "un pezzo" di Palermo
Dal 1995 è lei il motore attivo e fattivo che, con pazienza e tenacia, sta portando all’autentico splendore la dimora di famiglia: l’eccezionale Palazzo Valguarnera Gangi
Ottomila metri quadri di unicità artistiche ad ampio raggio che, dal 1450, periodo a cui risale la prima fase di costruzione, fino alla metà del ‘700 quando i Valguarnera, Principi di Gangi, ne vennero in possesso, custodisce, senza esagerare, il meglio dell’artigianato e della produzione artistica, anche a livello europeo, dei secoli precedenti.
«Dico sempre - ci ha detto la principessa Carine accogliendoci nella sua dimora - che ogni casa ha quello che si merita. Ricordo molto bene il momento in cui, con uno sguardo d’intesa qui nella Sala Gialla (per intenderci quella portata alla ribalta dalla famosa scena del ballo nel film Il Gattopardo - ndr), io e mio marito ci siamo detti che avremmo dovuto rimettere in sesto il Palazzo, ricevendo in eredità non solo un immobile importante ma un tassello eccezionale della cultura dell’Isola».
Ho girato il mondo con mio marito ma la Sicilia è fra i pochi posti in cui, ancora oggi, ci sono tracce d’arte da scoprire e valorizzare, nel posto più sperduto puoi trovare cose meravigliose; è capitato a me in prima persona. Manca, però, la visione della tutela e la giusta valorizzazione di queste opere».
Energica e volitiva, la principessa Carine è cresciuta con l’insegnamento del "non avere mai paura" e di approfondire tutti gli interessi e le curiosità.
«Cerco di capire fino in fondo ogni cosa in cui mi imbatto, perché è solo così, con la comprensione, che si conquistano le conoscenze. Certamente sono un’idealista che crede nella condivisione e nel riconoscimento delle capacità.
Mi batto ogni giorno per la salvaguardia dell’artigianato, principalmente siciliano, che è una risorsa che, se valorizzata, creerebbe un indotto economico importantissimo. E invece rischia di sparire: sarebbe un sacrilegio se ciò accadesse».
Appena entrati al Palazzo Carine ci ha voluto mostrare la Sala da pranzo, in stile neoclassico, opera di Giovan Battista Cascione Vaccarini, da poco totalmente restaurata, dopo tanti anni di inteso lavoro, e riportata all’originale fasto.
«Noi non facciamo mai del falsi», ci dice Carine, raccontandoci nel dettaglio e con padronanza tecnica le procedure che sono state necessarie per il ripristino di volte affrescate, quadri, mobilio, lo stesso scalone d’ingresso, in stile barocco, opera di Andrea Gigante (riconosciuto come il più bello del Sud Italia), oggetti logorati dal tempo o dalla superficialità degli ospiti accolti in passato (principalmente nel periodo in cui il palazzo veniva affittato per i ricevimenti di matrimoni, circostanza che non si verifica più dal 1995).
Un restauro filologico e attentissimo che ha coinvolto i migliori professioni del settore richiamati in Sicilia e anche in Europa, al fine di ottenere il risultato più fedele possibile all’originale.
Nella Galleria degli Specchi, ad esempio, considerato il più bel salone d’epoca tardo Barocco in Europa - qui si trova il doppio soffitto a volte attraverso il quale, per mezzo di alcune aperture, è possibile ammirare un grande affresco centrale - Carine ci racconta come il pavimento, in ceramica di Vietri sia stato recuperato con tecniche frutto di studi, personali, fatti sul campo che hanno dato ottimi risultati.
«Nella Galleria - ci ha detto Carine - 280 mattonelle erano rovinate in modi diversi. Sono stati sei artigiani, con un lavoro a dir poco certosino, a renderlo la meraviglia che è ancora oggi dopo quindici anni».
La Principessa è la prima che si rimbocca le maniche e comincia a lavorare ogni volta che il Palazzo si trova al centro di un progetto di recupero. Conosce a fondo, com dicevamo, tecniche, stili architettonici, procedure, storia legata alle diverse epoche e, soprattutto, materiali originali per il recupero degli stessi.
In più custodisce tutti i documenti (che ci ha mostrato), tra scritti e fotografie, che non solo testimoniano il lavoro fatto ma, obiettivo principale, saranno di fondamentale supporto per la manutenzione del Palazzo nei decenni a venire.
Non ha dubbi quando le chiediamo cosa chiederebbe al futuro: «Vorrei vivere cento anni - ci dice con un sorriso radioso - per riuscire a fare tutto ciò che c’è ancora da fare in questo Palazzo. Ho toccato così profondamente ogni oggetto che lo compone che sento di essere legata profondamente al cavaliere Mantegna e alla sia famiglia, è un dovere che sento da quando abbiamo iniziato questa impresa».
Parlando con Carine Vanni Calvello Mantegna di Gangi il titolo nobiliare diventa un dettaglio di fronte ad una donna così determinata e, al tempo stesso, operativa che rifugge le polemiche e guarda dritto al traguardo di ogni progetto mettendo in campo quella tempra, particolare, rinsaldata anche dalla pratica di sport come l’alpinismo e lo sci estremo.
«Praticare questi sport mi ha permesso, negli anni, di avere maggiore fiducia in me stessa, di imparare ad avere cura e senso di responsabilità verso gli altri e ad andare sempre avanti, anche di fronte ad un pericolo».
Si confessa essere una donna molto sensibile, tanto alle cose belle quanto a quelle brutte, e non è difficile crederle avendo visto diverse volte i suoi occhi illuminarsi nel racconto generoso che ci ha fatto, ripercorrendo le tappe principali della vita del Palazzo.
Vive sei mesi in Sicilia e sei mesi in località di montagna dove può praticare i suoi sport preferiti ma quando è a Palermo, e ha bisogno di rigenerarsi, si rifugia sulle Madonie, spesso a Castelbuono, dove ritrova ancora quella eco di tranquillità e semplicità che ha bisogno di respirare.
Se il destino non avesse portato Carine in Sicilia il suo futuro - certamente meno in salita - sarebbe stato nel mondo dell’alta moda che, invece, ha deciso di abbandonare iniziando il progetto di cura di Palazzo Gangi.
Avere di fronte così tanta bellezza dirotta il pensiero di chi guarda sorvolando sulla reale portata di sacrifici, non solo economici (al momento la cifra investita raggiunge i 4 milioni di euro), e sull’eccezionale abnegazione di questa donna che hanno reso possibile tutto questo.
«Senza il sostegno umano di mio marito, in primis, e di poche altre persone che hanno sempre creduto in me, non sarei mai riuscita a realizzare tutto questo.
Devo molto anche a Diego Planeta che, con il suo fare discreto e da vero signore, è sempre stato un punto saldo nella mia vita siciliana. Era un uomo con una visione precisa, per questo è riuscito nel suo progetto, dotato di grande signorilità, molto colto e umile; detestava i presuntuosi.
Ricordo che a casa sua la porta era sempre aperta e c’era un via vai continuo di persone. È stato uno dei migliori amici di mio marito e mi ha sempre appoggiata, credendo in me e nelle mie iniziative».
Tra le tante cose che la Principessa apprezza della Sicilia (oltre al cibo e in particolare la pasta con i tenerumi che le preparava anche Diego Planeta) è la possibilità di imbattersi, qui, nella vera signorilità: «Penso che sia frutto dell’essere Isola che isola, qui la signorilità, in alcuni casi, diventa quasi parossismo ed una cosa che non si trova in nessun altro posto».
Al momento il Palazzo è al centro di un ulteriore intervento di restauro, legato al ripristino delle facciate usufruendo del bonus statale, che permetterà alla famiglia di non investire, ancora una volta, risorse proprie per il mantenimento del bene.
«Non abbiamo mai ricevuto finanziamenti pubblici, di nessun tipo - ci tiene a precisare Carine e senza voler fare polemica - abbiamo imparato a contare solo sulle nostre forze e capacità, siamo arrivati così fino ad oggi.
Tanti sono stati i momenti difficili, ovviamente, come la crisi del 2008 e non ultima la pandemia; le attività del Palazzo - una delle 12 case nobiliare in Europa che mantiene l’arredo originale - sono ferme da un anno e mezzo.
Ma io ho continuato a “curarlo” e infatti quando si è presentata l’opportunità di usufruire di questo bonus noi avevamo lavorato d’anticipo, avendo già tutti i rilievi e le planimetrie già pronti».
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