PERSONAGGI
Una vita per i suoi "figli di legno": il puparo di Palermo e quel mezzo secolo di arte pura
Per i 50 anni di attività, Mimmo Cuticchio - il papà dei pupi siciliani - ci parla dei suoi "figli di legno e stoffe" che hanno un'anima e una vita che vanno curate ogni giorno
Il "puparo" di Palermo, Mimmo Cuticchio
Mimmo Cuticchio, il papà per eccellenza dei pupi siciliani, ci parla così dei suoi “figli” di legno e stoffe con un’anima e una “vita” che ogni giorno va curata.
Ce sono circa 1.200 ormai, tra pupi storici risalenti alla prima metà dell’800 e quelli più recenti (per ogni nuovo spettacolo se ne fanno ex novo dai 40 ai 60), messi insieme in 50 anni di attività dalla Compagnia Figli d'Arte Cuticchio.
«Nel 1971 decisi di lasciare il capannone delle attività di mio padre, che si trovava a Trabia, e insieme ai miei fratelli (Guido, Nino e le sorelle Piera e Anna) e a mio zio Girolamo, misi in piedi la nostra compagnia itinerante, facendo spettacoli nelle scuole elementari e poi anche nelle medie.
Giravamo molto, a volte partecipavamo alle Feste dell’Unità in giro per la Sicilia. Caricavamo pupi e scenografie sulla mia 600 Multipla con portapacchi e portavamo i nostri spettacoli in ogni angolo dell’Isola».
«Nel luglio del 1973, ascoltando il suggerimento di mio padre, presi un capannone nei pressi dell’Olivella a Palermo; lo sistemai e ci feci la sede di tutti i miei “figli”.
Nel tempo, aggiungendo anche altri locali attigui abbiamo messo su il teatro, nato con 48 posti e poi ampliato fino alla capienza di 90».
“Figli d’arte” si nasce non c’è niente da fare, in qualche modo è il destino che dona questa opportunità che poi va messa a frutto affinché il testimone venga passato alle nuove generazioni.
«Sono nato e cresciuto nel teatro di mio padre dove ho imparato l’arte e le tecniche antiche; poi ci ho messo del mio studiando e ampliando il patrimonio che ho ricevuto.
Il nostro primo cartellone messo in scena trattava la figura di Angelica e tutto il ciclo a lei collegato.
Poi via via ampliai il nostro repertorio riscrivendo, anche, i testi tradizionali legati al ciclo dell’Orlando Innamorato perché volevamo coinvolgere e invogliare i giovani nella tutela di una realtà artistica e culturale che rischiava di andare perduta.
Allora ho cominciato a curare maggiormente l’adattamento degli spettacoli, togliendo gli strafalcioni dal testo, definendo i fondali e la scena con la cura delle luci e del suono.
Mio padre diceva sempre - ci ha detto Cuticchio con un filo di nostalgia - che il teatro dei pupi è come la cerimonia in chiesa, ci sono regole e rituali che vanno rispettati affinché non diventi farsa. E per restaurare, e riadattare, il passato è necessario possedere la tecnica, non si può improvvisare un mestiere che matura giorno dopo giorno».
Ogni giorno, infatti, oltre all’approfondimento dei testi, ci si deve dedicare alla cura fisica dei pupi, vecchi e nuovi.
«Mi piace dire che noi siamo i loro badanti, come l’uomo cura il proprio corpo così va fatto con i pupi. Ogni giorno vanno spolverati, va passato l’olio nelle parti in metallo, va controllata la parte in legno per verificare la presenza di tarli e così via. È un lavoro continuo che deve essere trasmesso alle nuove generazioni, i pupi sono il doppio dell’uomo».
In mezzo secolo di attività, oltre al ciclo storico, la Compagnia ha prodotto anche titoli nuovi che, negli anni, hanno portato in giro, non solo in Italia, e che hanno fatto da ponte tra la tradizione del teatro dei pupi e il teatro di narrazione e prosa.
Da Shakespeare al Don Giovanni, giungendo all’Eneide, in uno spettacolo che sarebbe dovuto andare in scena, in presenza, in occasione della Giornata Mondiale del Teatro (27 marzo) ma che verrà presentato in streaming in un arassegna a prtire dll'8 aprile (tutte le date sul sito della compagnia visibili sul calnale Youtube pure) a causa delle norme per il contenimento della pandemia, in un cartellone preparato ad hoc.
«Senza la mia famiglia, a cominciare da mia moglie Elisa Puleo, che tiene le fila di questa grande impresa, con i miei figli Giacomo e Sara, e tutti i miei più stretti collaboratori non sarei qui a celebrare questo compleanno importante.
Quello che mi preme è che questa arte meravigliosa non finisca con noi. Ogni anno dobbiamo in qualche modo arrancare per portare avanti la baracca e ritengo che questo pezzo di importantissima cultura della nostra Isola debba essere salvaguardata.
Nel 1997, a questo scopo, avevo aperto la scuola Pupari e Cuntisti, che ha avuto il sostegno del Comune di Palermo per il primo anno; poi ci siamo dovuti inventare le borse di studio per andare avanti. Oggi ospitiamo qualche giovane a nostre spese ma non può certo andare avanti così.
Questa arte merita rispetto e sostegno e non lo dico per me o per la mia famiglia, come si suol dire «io sempre un piatto mi nni manciu».
Nonostante l’inserimento nel 2001 nel patrimonio Unesco dobbiamo sempre lottare ogni giorno per andare avanti».
E a questo proposito, guardando indietro a questi 50 anni, Mimmo Cuticchio non ha dubbi, e ci sorprende anche, su quali siano stati i momenti più bui e quelli più belli.
«Non è stato questo, il momento della pandemia, il passaggio più buio di questi decenni. È stato quando agli inizi degli anni ’80 dovevo pagare circa sette milioni alla tipografia a cui mi appoggiavo per stampare i depliant e tutto il materiale che preparavo ogni volta che partivo per una tournée fuori dalla Sicilia; per me era l’occasione per far conoscere il mio lavoro ma anche la nostra splendida isola.
Non avevo i soldi per pagare e, nonostante abbiamo avuto la solidarietà dello stesso tipografo, dovetti vendere alcuni pupi per pagare.
Ecco quella volta sentii la sconfitta di un sistema che non tutela la sua storia e la sua tradizione.
I ricordi più belli, invece, sono legati all’ingresso dei miei figli nella nostra attività di famiglia. Loro sono il futuro, insieme ai giovani che spero poter accogliere nel maggior numero possibile per tramandare loro quanto è stato insegnato a me».
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