STORIA E TRADIZIONI
Una chiesa barocca ricavata dentro la roccia: alla scoperta di Santa Maria della Grotta
La vasta area si trova a Marsala e vanta una storia millenaria e complessa. Ecco perché il sito è stato scelto dall'ex leader dei "Marta sui Tubi" come set del suo ultimo lavoro
Il complesso monumentale di Santa Maria della Grotta a Marsala
Nasce così, come un piccolo grido di dolore, e una preghiera, il nuovo singolo di Giovanni Gulino, ex leader dei ‘Marta sui Tubi’ - band alternative rock formatasi nel 2002, diventata ben presto un vero e proprio fenomeno underground e già attestatasi come "miglior gruppo indipendente italiano" - dal titolo “Il Teatro è la mia chiesa”, del cui testo è coautore l’opinionista e conduttore televisivo Andrea Scanzi.
Il disco, uscito venerdì 11 dicembre e disponibile su tutte le piattaforme di streaming, custodisce nel videoclip un luogo di millenaria bellezza: il complesso monumentale di Santa Maria della Gotta, a Marsala, dove è stato girato, con la regia di Alessio Piazza e Francesco Dinolfo. La musica è di Gianfranco Marino.
«Il teatro è la mia chiesa, il palco il mio santissimo altare, Il mio spirito santo è la musica… Le mie preghiere sono le canzoni», recita il testo, nato da un'intuizione del cantante marsalese dopo una provocazione di Scanzi, in seguito al Dpcm del Presidente del Consiglio Conte che imponeva la chiusura dei teatri e dei luoghi di aggregazione culturale.
«Si tratta di una dichiarazione d'amore nei confronti del mio lavoro che al momento non mi è permesso fare, e mi manca come l’aria – dice Giovanni Gulino -. Allo stesso tempo rappresenta un grido di dolore per la condizione dell'arte che in questo lunghissimo periodo viene vietata nella forma della performance dal vivo. Le chiese però rimangono aperte... Allora il teatro è la mia chiesa».
Il testo propone agli ascoltatori le emozioni, e il sito prescelto ha curato la magia.
«Quando Giovanni Gulino mi ha chiesto di un luogo in cui poter girare il video, non potevo non indicargli il più affascinate – conferma l’architetto e già assessore marsalese Rino Passalacqua -. Il direttore, Enrico Caruso, venuto a conoscenza del progetto, lo ha immediatamente sposato e ne ha autorizzato le riprese. In bocca al lupo a Giovanni Gulino, Andrea Scanzi, Gianfranco Marino, Sara Parrinello e tutti quelli che hanno contribuito alla riuscita dell’iniziativa».
Il sito di Santa Maria della Grotta viene aperto occasionalmente per visite guidate promosse dal parco Archeologico di Lilibeo o per le giornate FAI di Primavera, o per uno dei più grandi Festival italiani dedicati alla valorizzazione del patrimonio culturale, monumentale e artistico delle città, che è "Le Vie dei Tesori".
«Un significato profondo – dice Elisa Ilari, direttrice del Centro Danza Tersicore - assume per me aver firmato le coreografie di questo lavoro in un tempo in cui i teatri e le scuole di danza sono chiusi. Ancora di più è stato per me emozionante dare corpo a questo grido mistico che anela a poter professare ancora una volta la mia religione che è l'arte. Un grazie va a Sara Parrinello, danzatrice della compagnia Officina Tersicore, che ha interpretato la mia coreografia».
La vasta area di Santa Maria della Grotta vanta una storia millenaria e complessa, a partire dalla nascita della città punica di Lilibeo. Nella prima fase era destinata a necropoli, con tombe scavate nella roccia del pianoro che molti secoli dopo sarebbe stato il sagrato superiore della chiesa.
Nella seconda fase, tra la fine del II e il III sec. d.C., da quando Lilibeo divenne colonia sotto l’imperatore Pertinace o Settimio Severo, l’area fu utilizzata per la cavatura della pietra necessaria all’espansione edilizia della città.
Nella terza fase, ricadente in epoca paleocristiana, le latomie (le cave di pietra) cessarono la loro attività e vennero destinate ad area cimiteriale. La scoperta di alcune lucerne con la raffigurazione del candelabro a sette bracci, attesta che il cimitero venne utilizzato da una comunità mista, cristiana e giudaica.
Nella quarta fase, l’area delle latomie fu destinata ad una abbazia di rito greco della regola di San Basilio, riconosciuta e incentivata a seguito della conquista normanna della Sicilia nell’XI secolo, per volontà del conte Ruggero, che nel 1097 emanò un importante diploma con il quale veniva istituita a Marsala la prima fondazione cristiana dopo il periodo di dominazione islamica, denominata "Santa Maria della Grotta", in quanto sotterranea.
Per segnalare la presenza dell’abbazia e sorvegliarne l’accesso, venne costruita una torre trasformata in campanile a seguito della successiva costruzione della chiesa. I monaci, insediatisi nel complesso delle grotte, sfruttarono il luogo così come si presentava, realizzando solo semplici opere di adattamento ai fini cultuali.
Gli altari vennero decorati con affreschi che testimoniano la restaurazione del monachesimo greco, promossa dai re normanni, e i saldissimi legami con la cultura greco-bizantina.
Tra gli affreschi, ancora visibile su una delle pareti dell’ambiente della grotta, c’è la "Teoria di Santi", che costituisce una testimonianza di alto livello della cultura pittorica del XII-XIII secolo, per la sua stringente analogia con pitture rupestri dell’Italia meridionale e della Sicilia orientale, e documenta le relazioni che intercorrevano tra le comunità religiose di rito greco.
Alla fine del XII secolo Santa Maria della Grotta, rimasta senza monaci per motivi ignoti, veniva unificata con l’omonima abbazia palermitana. La quinta fase, risalente al XV secolo, vede la costruzione di diverse strutture, quali altari, nella chiesa ipogeica degli ingrottati dei monaci basiliani. Nel 1550 inizia l’ultima fase antica di tutto il complesso, con la consegna da parte di Carlo V di S. Maria della Grotta ai Gesuiti, che la detennero fino allo scioglimento definitivo dell’Ordine, avvenuto nel 1860.
Sono poco note le vicende della chiesa tra la metà del Cinquecento e il Settecento, ma varie testimonianze pittoriche dimostrano che il complesso ipogeico continuò ad essere frequentato per l’uso liturgico anche in questo periodo.
È certo che la chiesa doveva trovarsi in stato di abbandono quando i Gesuiti, nel 1712, affidarono il progetto di rifacimento all’allora esordiente ‘reverendi sacerdoti don Joanni Amico architetto civitatis Drepani’. La chiesa barocca, ricavata all’interno dell’antico complesso ipogeico, consiste in una grande aula a navata unica, interamente rivestita di stucco bianco e scandita da quattro archi/cappelle laterali.
La copertura, molto più alta rispetto a quella della chiesa precedente, fu coronata da una cupola rivestita da mattonelle verdi e scandita da costoloni in tufo. Una balaustra, posta in alto lungo il cornicione della chiesa, e un accesso scenografico, costituito da un’ampia scalinata a rampe spezzate, completavano l’opera. Passata al Demanio dello Stato nel 1866, la chiesa rimase aperta al culto fino al 1968, quando venne chiusa per i crolli provocati dal terremoto.
Oggi, le Giornate FAI di primavera sono attese con entusiasmo dalla popolazione locale, che vi rende omaggio con visite guidate particolarmente apprezzate.
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