STORIA E TRADIZIONI
Un tunnel, una botola e un tesoro nascosto: le "stanze segrete" della Galleria Postoleone
Non tutti sanno che i messinesi hanno scritto una pagina bella nella storia della Sicilia quando, nel 1916, aiutarono 300 prigionieri austriaci in questa grande opera
La Galleria Postoleone di Mongiuffi Melia (Messina)
Un'umanità che è stata rivolta nei confronti di 300 prigionieri austriaci. Siamo nel 1916, nel cuore della Prima Guerra Mondiale, e tale vicenda è testimoniata dalla presenza di una curiosa infrastruttura che ancora oggi fa capolino dalla montagna nell’antico borgo di Mongiuffi Melia.
Il tunnel dal dirompente impatto scenografico (tanto che è stato selezionato da importanti registi e produttori come set di film cult, vedi “L’avventura” del 1960 di Michelangelo Antonioni con Monica Vitti; set di case di moda e spot pubblicitari) unisce i comuni jonici messinesi di Letojanni a Melia e al villaggio di Mongiuffi.
Mongiuffi e Melia in quel periodo non erano ancora "sposati" tramite l’attuale ponte. Questo traforo (a 4 chilometri da Letojanni) si chiama Galleria Postoleone e fa respirare un’aria quasi soprannaturale, oltre che pregna di storia.
Il loro ingegno e la loro esperienza manuale permisero di sagomare la struttura con i requisiti dei cunicoli ricavati nelle Alpi e di rimaneggiare la distanza tra mare e monte, erigendo più spezzoni di muraglioni che supportavano l’arteria e fungevano da allaccio all’entroterra che sarebbe rimasto isolato.
È certo che la "vicinanza" di questa combriccola non poté essere ignorata dalla gente del luogo che pare abbia spesso rifocillato i soldatini sul finire delle loro fatiche quotidiane. In particolare, pare che alcune giovinette fossero interessate a questa compagnia, e magari affascinate dall’instaurare legami che andassero oltre alla merenda o ai tarallucci e vino.
Quando la Galleria Postoleone fu inaugurata il 28 luglio del 1918, non tutti i detenuti rientrarono in patria, anzi si sentirono a casa a Mongiuffi Melia dopo aver incontrato quelle fanciulle che avevano saputo aiutarli.
Insomma, colmarono il loro cuore con la dolcezza e allontanarono le sofferenze della Guerra. Successivamente, gli eredi dei soldati austriaci vollero tornare in quei percorsi per ricongiungersi affettivamente con quella terra o meglio con i parenti di chi era stato così gentile con i propri antenati nel corso della “carcerazione”.
Ma la parte emozionale è solo un aspetto di questo groviglio storico.
In quel tunnel, ci sono delle stanzette nella roccia, ottenute sempre dallo scavo artigianale degli austriaci. Piccoli antri documentati da foto che immortalarono i combattenti durante quella scrupolosa operosità, ma che sono apparse nei sogni degli eredi con qualche apparizione dei loro avi.
Ma non finisce qui. Le stanzette non sono le uniche a solleticare l’istinto di indagine della nuova generazione austriaca: gli stessi avi, che evidentemente non sono ben distinguibili nell’aura del sogno, suggerirono di fare visita a Mongiuffi Melia e verificare l’attendibilità di un possibile tesoro secretato in quelle stanze.
Sarà vero? Quello che è lapalissiano è che, nel 1992 in occasione delle fasi di scavo per intervenire sulla rete fognaria, fu rintracciato un tombino che conduceva ai famosi locali intrappolati nella roccia ma lo stesso fu sotterrato per sempre.
Almeno, così si crede nel resoconto delle notizie.
Ma intrufoliamoci nei meandri del racconto. Il 12 dicembre del 1915 il sgnor Sebastiano Cuzari aveva bisogno di un intervento da parte del Senatore Francesco Durante per prolungare la strada Letojanni – Mongiuffi Melia. Il 24 dicembre di quello stesso anno Durante rassicurava Cuzari di una sua intercessione con il suo amico Generale e deputato, Giuseppe Ciancio.
Il pomeriggio dell’Epifania del 1916, 300 prigionieri austriaci giungevano a Letojanni. Tra di loro, due ufficiali ed alcuni graduati provenienti dai campi di concentramento di Vittoria e Piazza Armerina. L’accoglienza alla Stazione ferroviaria di Letojanni fu “poco elegante e molto infelice” da parte della popolazione del posto che la esternò con insulti, sputi e lancio di agrumi in quanto si pensava a loro come nemici.
Erano tutti giovani tra i 20 e i 25 anni con folti baffi e goffe divise; non erano trattenuti con la palla al piede. Gli ufficiali, tra i quali figura un certo Wilfred Hans Haider, dormivano a Melia nella casa dei Lo Turco, mentre i soldati furono accampati in alcune baracche di legno sulla sponda del Fiume Leto, sotto la sorveglianza dei carabinieri di Letojanni e Limina.
La mattina si spostavano in fila indiana lungo la Provinciale n.11 che in quel tempo arrivava fino al Bivio di Gallodoro e diedero il via alla costruzione, insieme alle maestranze locali, del proseguimento verso Melia.
Al km 4,100 incominciarono a scavare la galleria. Con le pietre estratte alzarono un muro in stile tirolese, di cui oggi ne sono rimasti soltanto circa settanta metri, invece prima era lungo fino all’incrocio per Gallodoro. Il lavoro era di circa 8 - 10 ore al giorno e ricevevano un compenso come dei civili. Una volta alla settimana a gruppi e sotto sorveglianza, scendevano a Letojanni per fare la spesa e potevano così inviare e ricevere la posta dei loro familiari.
Dai racconti degli anziani, si deduce che, in seguito, dopo il primo malumore iniziale, cambiarono opinione e atteggiamento e furono tutelati (con varie attenzioni) dagli abitanti di Letojanni, Mongiuffi, Melia e Gallodoro. Ogni mattina, alcune persone del luogo portarono da mangiare e soprattutto da bere il nettare degli dei che, in quel caso di lavoro forzato, era una manna dal cielo.
I lavori di scavo furono ultimati prima del Natale 1917.
Ad inaugurare il passaggio il discorso di Durante e di alcuni notabili della zona. Le ricerche dello storico di Mongiuffi Melia Giovanni Curcuruto sulla Galleria sono iniziate nel 1988 quando un gruppo di discendenti dei prigionieri che hanno partecipato alla realizzazione dell’opera ecco alcuni cognomi: Schuser, Steiner, Binder) sono venuti a chiedere informazioni sui loro predecessori che per due anni e mezzo (da inizio 2016 a metà 1918) hanno fatto in modo che Mongiuffi Melia potesse essere una strada di collegamento a quella già esistente dal Bivio di Gallodoro a Letojanni.
Curcuruto ha potuto vedere degli scatti fotografici fra cui uno di gruppo molto suggestivo e sbiadito e ha appreso da loro, la notizia di locali sotterranei vicino alla Galleria, in cui i loro antenati avevano lasciato scritti e oggetti ricordo. Ma alle loro domande, non ha potuto essere esauriente rispetto a quanto aveva carpito dalla cittadinanza matura di quei paesi.
Notando la loro delusione per non aver trovato quello che cercavano e per il fatto di non poter penetrare senza incorrere in pericoli in eventuali stanze nascoste, lo storico ha promesso loro che avrebbe compiuto delle ricerche nella speranza che quando fossero ritornati avrebbe potuto fornire risposte più soddisfacenti.
Soltanto nel 1992, quando si doveva ripristinare la conduttura fognaria da Melia verso Letojanni, all’uscita della Galleria, si è scoperta una botola con una scala che portava in dei viottoli sotterranei che si affacciavano sul sottostante Fiume Ghiodaro.
Curcuruto avvertito da un amico si precepità sul posto e, mentre stavano per soffocare la botola, individuò una scala, un corridoio alto e lungo e questi piccoli locali con dei buchi che davano sul fiume sottostante.
La visibilità è stata azzerata perché la ditta appaltatrice ha fatto chiudere subito l’entrata. Il tutto è stato messo a tacere per evitare la sospensione dei lavori.
Da quel momento, l’appassionato Doc di Mongiuffi con il suo amico Carmelo Smiroldo (ora scomparso), altrettanto esperto di storia e leggende, inclusa quella della Galleria, ha deciso di non svelare il segreto di Postoleone fino al giorno del suo Centenario nel 2018, alla presenza degli eredi dei soldati.
Per alcuni anni, la coppia di amici ha ispezionato alcuni spazi rocciosi di fronte alla Galleria dove, secondo il nonno di Curcuruto, i prigionieri si riparavano durante la pioggia e consumavano il pasto.
Nel 2005, sempre la stessa squadra di ricercatori ha esaminato da vicino la zona e, con una corda, Curcuruto è sceso fino alle prime feritoie. L’idea di scoprire cosa ci fosse è stata abbandonata perché mancava una base d’appoggio in quanto il muro presenta degli squarci verso l’interno.
È giusto ricordare gli artefici mandatari dell’opera: Francesco Durante, nato a Letojanni il 29 giugno 1844, è morto il 2 ottobre 1934 e, oltre a rivestire l’incarico politico di Senatore, è stato un anticlericale con la passione per la scultura.
Giuseppe Ciancio, nato a Piazza Armerina il 1858, è scomparso il 2 marzo del 1932 ad Albano ed è stato Deputato dal 1913, dopo che la sua fama in strategia militare aveva attecchito nella sua città d’origine, dove viene eletto con i Liberali.
Smiroldo, in una delle sue ultime dichiarazioni, ha fatto un netto riferimento alla solidarietà, fiducia e familiarità dei residenti di Mongiuffi e Gallodoro verso questi reclusi che furono trattati molto bene anche nell’aspettativa che qualcuno al Fronte bellico facesse lo stesso con i propri figli, padri, fratelli o cugini.
Senza alcun dubbio, gli esponenti della provincia messinese scrissero una pagina molto bella dell’Isola, che fa molto onore, considerando che, ancora oggi, nipoti e pronipoti giunti da quella “Nazione sorella” vengono a commuoversi, guardando la “Galleria Postoleone” e, chissà solo per un attimo, pensano a un tesoro irrecuperabile.
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