STORIA E TRADIZIONI
Un esperimento contro l’omertà: quando un Principe al pianoforte "svegliò" Misilmeri
È il luglio del 1928, piena estate sicula quando il prefetto Cesari Mori da sempre impegnato nella lotta contro la mafia arrivò a Misilmeri per un'impresa sociale
Il concerto contro l'omertà a Misilmeri
Dal 1903 è stato delegato di Pubblica sicurezza a Castelvetrano e poi a Trapani, nel 1909 è stato promosso commissario: ha sgominato bande di briganti, setacciato le campagne alla testa di squadriglie mobili di carabinieri e poliziotti, imparato a conoscere l'ambiente e a farsi conoscere per i suoi metodi energici che mirano dritto all'obiettivo.
All'inizio i numeri sono da Far West. Nel 1926 nella provincia di Palermo si contano 268 omicidi e 298 rapine, che regrediscono finché nel 1928 vengono registrati 25 omicidi e appena 14 rapine.
Il primo obiettivo sono le bande che dominano sulle Madonie, contro di loro il prefetto adotta una tecnica da guerriglia: «azione rapida e larga, a colpi improvvisi, multipli, lontani e simultanei e ad andamento deciso».
Finita la paura non ci sarà più omertà, le retate sono state necessarie: le attività delittuose erano così intense da rendere «umanamente impossibile tentarne la scoperta per caso singolo».
Mori ha vissuto le sue giornate più epiche nell'assedio di Gangi, ma l'impresa più originale la compie a Misilmeri dove le facce della gente sono inespressive, quasi «uno stato di diffusa insensibilità » derivante dalla lunga abitudine a celare i propri sentimenti.
Il prefetto vuole scuotere tanta indifferenza con un esperimento di psicologia sociale.
È il luglio del 1928, piena estate sicula di afa e cicale, il prefetto Cesari Mori è a Misilmeri. La cittadina è schiva e indifferente ai suoi stessi problemi che l’affliggono, e diffida taciturna dell’autorità dello Stato. Come se Misilmeri si fosse addormentata in una triste, grigia, apatica rassegnazione. Mori riflette, è un uomo di azione ma anche d’ingegno.
Gli balza in testa un’idea geniale per rompere quell’incantesimo di paura che affligge la popolazione del luogo. In quei giorni in tour a Palermo c’è il compositore e pianista Marcello Boasso, ventiseienne fuoriclasse dei tasti dalla capigliatura tutta esagitata, un torinese dalle dita sentimentali e malinconiche. È musicista itinerante all’epoca in poetica tournée lungo la Penisola con il suo pianoforte caricato sul camion, per suonare ovunque.
Marcello Boasso è in arte il Principe Kalender.
Il prefetto lo inviata a suonare a Misilmeri e il giovane maestro accetta entusiasta. Il pianoforte viene sistemato sul palco in mezzo alla piazza, il pianista prende posizione, libera i tasti dal copritastiera rosso con le sue cifre in oro, alza le mani in aria, si scrocchia le dita e le agita come sotto l’effetto di formicolio.
E attacca il suo “Vals del Recuerdo”, esecuzione di amore e illusione, di speranza e nostalgia, valzer dolce- amaro, batticuore a Misilmeri. Suona il maestro, la gente gli è attorno, ma è una folla fredda, ostenta indifferenza con le mani in tasca.
Eppure c'è qualcosa, la luce meravigliosa del tramonto d’estate sui tetti di Misilmeri, e quella musica, mai sentita prima da quelle orecchie semplici. Una fiamma s’accende dietro quei volti impassibili.
Gli spettatori casuali si avvicinano al palco, si stringono attorno al pianoforte. Sorrisi e occhi lucidi di commozione: è come se la musica avesse scalfito quell’apatia di silenzio. Mori, osserva e sorride anche lui.
L’esperimento è riuscito. Il concerto è una scossa benefica, un dolce schiaffo al torpore, alla rassegnazione, alla paura. Quel giorno la bellezza vince sulla bruttezza, la legalità sulla mafia. I cittadini di Misilmeri cominciano a collaborare con le autorità.
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