STORIA E TRADIZIONI
Tutti (almeno una volta) lo siamo stati: che significa se in Sicilia ti dicono "facci i falia"
Una convenzione sociale, normalmente applicata, con cui tutti, almeno una volta abbiamo fatto i conti. Un eccesso di disponibilità che a volte può metterci nei guai
Se la nostra offerta viene rifiutata, dopo nostre vigorose insistenze, si tira un sospiro di sollievo.
Diventa drammatico quando accettano magari solo per non offenderci come avevamo severamente declamato. Puntualmente i campioni di “facci i falia”, vengono puniti dalla loro ostinata insistenza: dovranno concretizzare qualcosa che non avrebbero voluto fare.
Il rendersi conto di essere stato oggetto di "facci di falia" è deludente, soprattutto se si è creduto alla genuinità del gesto, scoprire che si è stati "sopportati" pensando di condividere un momento di gioia reciproca.
Tutti abbiamo avuto a che fare con la "facci di falia", da autori e da vittime. Una convenzione sociale, normalmente applicata, che adoperata con consapevolezza e discrezione da entrambe le parti non dovrebbe creare grossi traumi.
È difficile rendersene conto nell’immediatezza, soprattutto per una bambina , almeno lei l’ha capita dopo tanto tempo: i suoi zii invitavano spesso la sua famiglia a casa loro, ma puntualmente quando accettavano durante la permanenza il nervosismo fra gli zii era evidente, spesso scoppiavano zuffe che culminavano con scenate rabbiose e il resto del tempo Lena e famiglia lo trascorrevano costernati nel tentativo di farli riconciliare.
Gli zii si erano imposti di essere gentili ed ospitali con la famiglia di Lena, solo per garantirsi risposte positive alle loro richieste. Almeno la zia era convinta che il suo falso essere disponibile avrebbe obbligato per sempre la loro accondiscendenza, lui invece si infastidiva all’idea di avere gente per casa e di dover sostenere spese per ospitarli.
Lena ed i suoi nutrivano per loro un sincero affetto che li ha accecati per tanto tempo, durante il quale oltre ad avere mal riposto la loro fiducia , si sono sorbiti grevi giornate di festa che avrebbero potuto spendere altrove.
Il copione era sempre lo stesso: la zia ostentava un’esaltata allegria, il viso contratto nel tentativo di sorridere ma con uno sguardo maligno. Lo zio pronto a smorzare qualunque entusiasmo, soprattutto quello dei bambini con pessimistica severità.
Lo scatto d’ira iniziale era sempre dello zio che esplodeva all’ennesima battuta della zia , ma dirottava la sua rabbia su una saliera otturata, su un coltello che non tagliava, sul pane che ancora mancava a tavola, sul cane che stava abbaiando in cortile e che spesso poi colpiva per zittirlo.
Doveva far uscire in qualche modo l’aggressività che accumulava per essere obbligato a fare quello che non voleva. Avevano elaborato, o meglio la zia aveva concepito una strategia che li trovava discordi su tutto, sempre, e che nel tempo ha alimentato rancori, vanificato e avvelenato i grossi vantaggi economici prodotti.
Con rammarico, Lena ripensa spesso all’affetto che nutriva per i suoi zii, sincero, incondizionato, a come non ha decodificato i mille segnali, le sfumature, sguardi, battute che avrebbero dovuto farle sorgere qualche dubbio.
Ricorda l’entusiasmo e la gioia con la quale sceglieva i regali per gli zii, l’impazienza di mostrar loro la pagella, il vestitino nuovo, tutto accolto con distacco mal celato da esagerate adulazioni.
Il tempo trascorso ormai ha seppellito tutto, anche gli zii, ma l’idea che qualcosa possa esserle proposta per "facci di falia" sciupa puntualmente la gioia che ne deriverebbe.
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