PERSONAGGI
Sospeso tra realtà e magia: Bonaviri, chi è il siciliano che sfiorò il Nobel per la letteratura
Impressionante la mole delle sue opere, dai romanzi alle poesie, alla saggistica, al teatro. Costantemente fuori dal coro e forse per questo apprezzato più all'estero
Giuseppe Bonaviri
Lo ha rivelato, qualche tempo fa, nel corso di un convegno dedicato a Bonaviri, la moglie Raffaella, affermando che il particolare le era stato segnalato con una lettera riservata da parte dell’Accademia svedese.
Nel corso dello stesso simposio, Donato Tamblè, già Soprintendente archivistico per il Lazio e consigliere del Centro Studi Internazionale Giuseppe Bonaviri, ha annunciato che tutte le opere pubblicate, gli scritti inediti, i manoscritti, le lettere, le carte private, gli appunti agli amici e ai familiari.
Insomma tutto quello che appartiene oggi, a dodici anni dalla scomparsa (avvenuta a Frosinone il 21 marzo del 2009), al grande patrimonio memoriale e letterario dello scrittore, costituiranno un grande archivio presso i Beni Culturali.
Aveva svolto il servizio militare in Piemonte, a Casalmonferrato, con il grado di ufficiale medico, e lì aveva terminato la stesura del suo primo libro, Il sarto della strada lunga (nel 1954), che aveva ottenuto grande considerazione e approvazione da parte di Elio Vittorini, e per questo pubblicato da Einaudi.
Fu l’inizio di una vastissima produzione letteraria. Impressionante la mole delle sue opere, dai romanzi alle poesie, alla saggistica, alla produzione teatrale. Opere tradotte in tutto il mondo e che gli valsero l’attenzione dell’Accademia di Stoccolma.
Quasi impossibile menzionarle tutte. Da La divina foresta a Notti sull’altura, a Silvinia, a L’infinito lunare a Il vicolo blu a L’incredibile storia di un cranio. Opere con in primo piano, quasi sempre, la Sicilia. La Sicilia di Bonaviri come infanzia, natura, magia, luogo delle rimembranze, approdo finale dell’anima.
Bonaviri trascorse l’infanzia in un paese povero, contadino ma sapiente, dove c’erano molti contadini o artigiani, come il padre sarto, che conoscevano l’italiano e scrivevano poesie.
Nei dintorni di Mineo c’era un altopiano chiamato Camuti, sul quale era situata una grande pietra, considerata la “pietra della poesia”: attorno ad essa, fino alla fine del 1850, prima dell’Unità d’Italia, si riunivano tanti poeti da ogni parte della Sicilia, per gareggiare scrivendo e recitando versi.
Si racconta che questa pietra riportasse a una religione non solare, celeste, bensì sotterranea, fondata sulla convinzione che le divinità risiedessero nella terra. Si sa che in certi punti del suolo si avvertono delle emissioni di forze gravitazionali, alle quali le persone più sensibili reagiscono con percezioni diverse, di benessere o di malessere. Anche la costruzione dei templi prevedeva il rintracciamento di questi punti di emissione di forze gravitazionali.
Ecco, Bonaviri è nato e maturato in questa atmosfera arcaica, sospesa tra realtà e magia, ed è questa atmosfera ad avere alimentato la sua passione poetica.
L’infanzia è stata per Bonaviri il Giardino delle Esperidi: tante deità che immaginava presenti negli alberi, nella pioggia, gli spiriti, i racconti, le fiabe della madre, la miseria, il senso filosofico dei poveri, i proverbi. Insomma, un mondo sconfinato.
Fino a trentatré anni visse a Mineo, a stretto contatto con la campagna e ciò gli permise di acquisire una conoscenza diretta del mondo arboreo, soprattutto di ulivi, mandorli e carrubi. In Sicilia svolse per sei anni la carriera di medico e poi, per altri sei, a Frosinone. Questa esperienza gli permise di scendere nelle caverne del dolore umano e di penetrare meglio nelle pieghe più segrete dell’animo. Nel ’64, quando morì improvvisamente il padre, andò incontro ad una sindrome ansiosa e depressiva e divenne per lui più pressante il senso della labilità della vita.
Uno scrittore cosmico nel senso vero della parola, con conoscenze, saperi, intuizioni che vanno dalla letteratura all’astronomia, dalla medicina, alla fisica, alla biologia, dalla linguistica alla storia delle religioni, alla mitologia classica, in un sorprendente caleidoscopio di scienza tuttologica.
Bonavir, fu uno scrittore che sfugge a ogni catalogazione, che è sempre stato oltre i canoni e le mode, mai conformista o legato a schemi precostituiti, costantemente fuori dal coro.
E forse, proprio per questo, non completamente conosciuto (e apprezzato) in Italia per il valore che invece meritava e che merita. Nel 2015 Dagmar Reichardt, allora docente all’università olandese di Groningen e traduttrice in tedesco di molti libri dello scrittore, ha organizzato a Ginevra, in collaborazione con l’Università svizzera e con la Fondazione Erica Sauter, un grande simposio cui hanno partecipato studiosi americani, spagnoli, tunisini e romeni.
Nel 2016 la stessa Reichardt, docente all’Accademia di Cultura di Riga, in Lettonia, si è fatta promotrice di altri due convegni, sempre dedicati a Bonaviri, a Vienna e a Budapest. Si può dire che l’opera dello scrittore siciliano viva due fasi diverse (ma non necessariamente contrapposte).
Nella prima abbiamo uno scrittore nostalgico, ostaggio consapevole degli insopprimibili ricordi della sua infanzia, delle memorie di Mineo, dei rimpianti di un mondo antico che non c’è più nella realtà ma che vive, incancellabile, nella sua mente. Un autore che fa del realismo, del verismo alla Verga, alla Capuana, l’asse portante della sua scrittura.
Nella seconda fase, la più moderna, invece, pone in secondo piano le memorie isolane per creare universi fantastici, avventure straordinarie, visioni e miraggi di mondi lontani, inafferrabili, irraggiungibili.
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