PERSONAGGI
Se vuoi fortuna tocca ferro: la passione di Alessandro, fra gli ultimi maniscalchi siciliani
Originario di Bagheria, da poco ha deciso di riporre nella cassetta degli attrezzi l’incudine, la forgia e la tenaglia, strumenti di un antico mestiere in via di estinzione
Il maniscalco Alessandro Clemente
Il maniscalco è l'artigiano che esercita l’antica arte della mascalcia, ossia del pareggio e ferratura del cavallo e degli altri equini domestici (asino e mulo), che storicamente si sovrapponeva in parte a quella del fabbro perché i ferri venivano forgiati al momento, e su misura, secondo le necessità dei cavalli.
La scelta di Alessandro è un po’ la testimonianza di un’antica arte e di un patrimonio di conoscenze e saperi che si sta lentamente dissolvendo generazione dopo generazione e di un lavoro che, nel tempo, per sopravvivere, si è dovuto evolvere passando da mestiere prettamente fisso, in cui era il proprietario del cavallo che portava l’animale nella bottega dell’artigiano, a professione itinerante in cui è il maniscalco che si sposta e gira per i maneggi.
Un mestiere umile, fatto prevalentemente di fatica fisica e di sacrifici, simbolo di una Sicilia rurale e prevalentemente agricola che per tanti anni ha fatto del traino del cavallo o dell’asino il suo principale mezzo di sostentamento, ma che oggi a quanto pare non è più considerato al passo con i ritmi dei tempi moderni.
«Quando ho iniziato io la figura del maniscalco era un’immagine quasi sacra, perché da quelle mani umane dipendeva praticamente la salute e la longevità del cavallo o l’efficienza delle sue performance agonistiche - dice Alessandro - Adesso invece, più che la vera arte della mascalcia si tratta di semplice applicazione e adattamento dei ferri che la grande industria produce e propone al mercato ippico».
Raspa, lima, coltellaccio, incastro e martello: questi gli attrezzi usati per pareggiare su misura gli zoccoli del cavallo. Il maniscalco infatti racchiudeva in sé un universo di saperi, oltre a quelli della forgiatura e della posatura dei ferri, perché in quanto figura responsabile della salute dell’animale doveva conoscere anche alcune nozioni di anatomia e ortopedia per la creazione all’interno della sua fucina di ferri terapeutici ad hoc, a seconda delle esigenze del cavallo.
A Palermo saranno circa una decina, o poco più, i maniscalchi attivi ancora oggi e che lavorano come la tradizione comanda, soprattutto grazie alla riattivazione del velodromo, mentre quasi nessuno nelle province. Quello del maniscalco insomma più che una professione era vissuta come una vera e propria passione, che trovava in ogni piccola bottega un micro mondo nel quale potersi esprimere e tramandare.
«Oggi purtroppo i ragazzi non sono più votati ai mestieri di sacrifico come una volta, ma soprattutto sono finiti i tempi in cui era lo stesso maniscalco che costruiva da se gli utensili per la forgiatura a causa dell’avvento delle tante ditte che producono dei ferri di misura standard da adattare poi sugli zoccoli dei cavalli».
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
|