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Se ti vogliono "impaiare", stai attento: come nasce (in Sicilia) uno strano modo di dire

Una pratica antichissima e utilizzata da moltissimi popoli. In Sicilia si è trasformata (come sempre) in qualcos'altro. Qual è l'origine di questo curioso modo di dire

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 19 settembre 2023

Il leone del Castello di Gripsholm

Franz Kafka diceva che «la giovinezza è felice perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di vedere la bellezza non diventerà mai vecchio».

Bho, non lo so Francè, mentre ripenso a questa tua frase tengo un tuo libro in mano e dentro ci ritrovo la foto di classe della mitica 2°D.

Le scuole medie erano, Francè! In alto a destra c’è il professore Terranova con l’immancabile giornale sotto il braccio, poi tutti noi. Chi se lo scorda quel maledettissimo giorno in cui arrivava il fotografo, ci metteva tutti nelle scale (chissà poi perché proprio nelle scale) e ci tirava la foto di gruppo…

Ma quale bellezza, Franz! Ma ci hai guardati? Tu forse parli così perché te ne sei andato negli anni '20; non lo sai come ci vestivano a noi da bambini in quegli anni. Eravamo tutti mali impaiati. Eh, i ricordi…

«Professò, sono le otto e mezza, poi si butta macello per strada e alle catacombe ci arriviamo quando siamo già morti noi! E la informo che all’una dobbiamo riconsegnare il pulmino ah».
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«Tu intanto conta se sono tutti e ventuno che come al solito manca Barbera. Eh, ma quest’anno lo boccio per fargli sfregio a sua madre!. Se tutti noi come detto eravamo mali impaiati, Barbera era in assoluto il pallone d’oro del malo impaiamento.

«Signò,» fece Terranova lì per lì per sbroccare appena arrivò finalmente il ritardatario accompagnato da mammà «le catacombe sono a Palermo non sul monte Cervino». La madre di Barbera era così, a novembre entrava in apprensione per l’inverno e cominciava piano piano a rivestirlo di strati e strati di lana e flanella fino a che Barbera spariva sotto i tessuti come nei migliori trucchi di magia.

Non importava come andasse vestito, ma quanto fosse vestito. Effettivamente quando ne parliamo coi vecchi compagni, nessuno si ricorda che faccia avesse. Comunque non c’era tempo da perdere, gas ai motori e partimmo.

E siccome che a quei tempi avevamo tutti un’alta considerazione del pedagogico e delicatezza verso il prossimo, manco dopo dieci minuti, il mio compagno Carollo raggiunse la testa del pulmino appropriandosi del tanto agognato microfono che gli avrebbe conferito il titolo di re della gita e capo della classe.

«Ouuuu!», richiamò gentilmente l’attenzione di tutti. «Taliate tutti a Barbera. Ma com’è impaiato!?».

La risata collettiva venne subito soffocata dal professore e a Barbera scese una lacrimuccia. Anzi no, gli occhi erano coperti dal berretto quindi non lo potevamo sapere se gli scese veramente, in compenso però gli colò un poco di moccolo dal naso e lo interpretammo come una lacrimuccia.

Il professore Terranova a quel punto prese il microfono e ci comunicò che una volta arrivati a destinazione ci saremmo fatti - se la matematica non è un’opinione - una chiacchierata a 46 occhi perché, detto con parole sue, «è vero che il vostro compagno è malo impaiato, ma quando si usa una parola bisogna sapere da dove viene».

Fermo restando che nell'iconografia "impaiare significa", bardare cavalli, muli, e asini, volle in ogni caso darci un'altra interpretazione, forse per ricordarci che "Nulla è creato dal nulla né si distrugge nel nulla".

Il luogo era angusto, c’era un leggero frescolino e le pareti erano piene di corpi appesi il cui tempo dopo la morte sembrava essersi fermato per sempre.

Faceva impressione, ma quel tipo di impressione che ti portava a non potere staccare gli occhi di dosso dai morti. Fu proprio in quel momento che osservando un cadavere, Carollo fece una scoperta: «Taliate a questo, pare u bidello!».

Il bidello, nonché autista del pulmino, però non fu d’accordo con la sua tesi, e volle rimarcarlo di fronte a tutti ma soprattutto di fronte all’interessato che lo aveva fisiognomicamente interpellato: «pare du curnutu di to patri!».

E detto questo lo mise a tacere un "pugno ca manciaciume" in testa, ovvero un famoso colpo di karatè siciliano, dato di striscio con le nocche e che arreca un terribile prurito. Approfittando di quel silenzio Terranova ci domandò se tutti quei morti ci sembravano mali impaiati o no, e di fronte a quella scena muta si rispose da solo: «E invece sono impaiati benissimo perché chi li impaiava era maestro di impaiamento».

Proprio così, quella impagliamento, più correttamente, impagliatura, o tecnicamente tassidermia, è una pratica antichissima e utilizzata da moltissimi popoli.

Camminava a braccetto con il lavoro dei conciapelli, di cui la Sicilia era provvistissima, e consisteva nel lavorare le pelli di animali perlopiù cacciati e riempirli successivamente con la paglia proprio ridare la forma all’animale che aveva in natura.

Quella dell’impagliare era una vera e propria arte perché se il lavoro non veniva fatto come vuole il Signore l’animale perdeva le parvenze stravolgendosi o semplicemente come diciamo veniva tutto sgummato.

Famoso è il caso del leone del castello di Gripsholm (quello della foto). Nel 1731 Federico di Svezia diede un leone che aveva cacciato ad un impagliatore da quattro soldi e quello è il risultato.

«Professò ma cosa ci la pagghia dentro il leone che qua siamo in mezzo alle mummie?». Terranova fece segnale al bidello che fu ben contento di reiterare il pugno "ca manciaciume" a Carollo, questa volta imprimendo ancora più forza nella speranza di farlo scaltrire.

Beh, come veniva fatto con gli animali, veniva fatto con le persone, anche e soprattuto se ci stanno catacombe. Quando un defunto veniva infatti portato in questo luogo e consegnato ai frati cappuccini veniva per prima cosa svuotato degli organi interni, messo a disidratare su un colatoio, infine impagliato un po’ per colmare il vuoto, un po’ per completare l’asciugatura. Solo dopo un anno poteva essere appeso.

E se vi state chiedendo che correlazione c’è con impaiarsi una persona, inteso come fare un bel liscebusso, ecco basta pensare che il processo di impagliamento prevedeva un soggetto attivo e l’altro inerme a subire.

Per questo motivo impaiarsi una persona è sinonimo di cazziare una persona senza dargli il tempo di ribattere.

Ascoltammo tutti affascinati quella lezione, ma più di chiunque altro Barbera che adesso non sentiva più un malo combinato qualunque ma sentiva ricongiungersi con la storia, fosse anche la tassidermia.
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