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Se la trama di "Beautiful" l'hanno scritta in Sicilia: le storie di tiranni (bigami e trigami)

Si trattano di legami che, con molta probabilità, non avevano niente a che fare il sentimento dell’amore ma erano necessari per la stabilità economica delle città

Roberto Tedesco
Architetto, giornalista e altro
  • 16 novembre 2023

Un mosaico di Piazza Armerina

"Ccu li toi mancia e vivi, e chi fari `un ci aviri" è un proverbio siciliano che invita a non fare affari con i parenti. Anche perché è strettamente conseguenziali a un altro detto, certamente ancora più spietato del precedente: “cu si marita ‘nto parintatu o si fa riccu o svinturatu”.

Anche se non è noto se questi modi di dire esistevano già nella Sicilia del V secolo a.C., sebbene a quel tempo i proverbi erano considerati una componente importante dell’arte oratoria e del bello stile, di certo è che i tiranni li disattesero, instaurando intrecci matrimoniali e originando nuove alleanze.

Si trattano di legami che, con molta probabilità, non avevano niente a che fare il sentimento dell’amore ma erano necessari per la stabilità economica delle città o per raggruppare l’egemonia politica su dei territori sempre più vasti. Nella Sicilia, post arcaica, del V secolo a. C. le famiglie dominanti erano principalmente due: gli Emmenidi e i Dinomenidi.
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I primi attivi ad Akragas e originari, secondo la tradizione, di Rodi. Erano discendenti di Telemaco, lo stesso che detronizzò il temibile tiranno Falaride nel 554 a.C. Tra gli appartenenti più illustri citiamo il despota Terone che ebbe quattro figli: Gorgo, Trasideo, Filocrate e Damarete.

I secondi, i Dinomenidi, furono protagonisti a Gela e Siracusa e per lo storico Erodoto erano originari di Telos, una delle maggiori isole del Dodecaneso, a circa 40 km dalle coste nordoccidentali di Rodi. Il capostipite di questa famiglia fu Dinomene il Vecchio che ebbe sei figli di cui due femmine dove conosciamo i nomi dei mariti: Cromio e Aristono e quattro maschi: Gelone, Polizelo, Ierone (detto anche Gerone) e Trasibulo.

Quest’ultimi molto citati nelle cronache di quel tempo per essersi impossessati, chi prima e chi dopo, delle principali città della Sicilia. Dinomene quando interrogò la Pizia sul futuro dei suoi figli gli venne risposto che sarebbero diventati dei tiranni. Istintivamente il Vecchio esclamò: “per loro sventura. Signore Apollo!”

Immaginando che questo avrebbe procurato dolore alle madri dei guerrieri che sarebbero morti in battaglia. Un altro tiranno molto influente nella Sicilia del V secolo a.C. fu anche Anassilao che tentò di unire politicamente in un’unica metropoli le città di Reggio Calabria e Messina, fu anche il "colpevole" di aver intrattenuto intensi rapporti con i “barbari” cartaginesi.

Dopo aver collocato geograficamente i principali tiranni dell’isola, e ancora prima di chiarire i vari legami di parentele tra i “potenti” della Sicilia del V secolo a.C., è necessario contestualizzare, molto concisamente, il periodo storico ponendo l’attenzione su due date: il 480 e il 409 a.C. che contrassegnarono la storia dell’isola.

Ci riferiamo a due guerre epocali tra la lega greca sicula e i cartaginesi, quest’ultimi decisamente interessati ad ampliare gli interessi economici in Sicilia.

Nel primo scontro, quello del 480, i greci di Sicilia capeggiati da Gelone, tiranno di Siracusa, sbaragliarono il nemico nella piana di Buonfornello alle porte della città di Himera.

Nel secondo conflitto, i cartaginesi tornarono in Sicilia con una nuova spedizione militare, guidata da Annibale Magone. Dopo aver distrutto Selinunte, si diressero verso Himera radendola al suolo, evento questo che determinò l’abbandono definitivo del sito.

La continua pressione dei cartaginesi, già presente nelle città di Solunto, Palermo e Mozia nonché il desiderio di unificare i greci di Sicilia sotto le dipendenze di un unico condottiero imponeva ai siculi di coalizzarsi ecco perché la necessità di sancire accordi anche attraverso dei matrimoni.

Alla vigilia del primo scontro con i cartaginesi, le più influenti città greche dell’isola si erano già divise in due prime linee, a settentrione: Terillo, deposta di Himera e Anassilao entrambi di origine calcidese; a meridione, Terone tiranno di Agrigento, e Gelone quest’ultimi di origine dorica.

Ne conseguì un insolito legame familiare dei quattro tiranni, sia Terillo che Terone erano suoceri rispettivamente di Anassilao e di Gelone. Il primo sposò Cidippe, il secondo Damarete.

Le cronache di quel tempo riferiscono che l’unione più celebre fu quella tra Gelone e Damarete, avvenuta probabilmente intorno al 485 a.C. Così come accade nei momenti più delicati della storia, le donne sono riuscite a cambiare il corso della stessa attraverso la messa in atto di strategie degne del miglior comandante.

Sembrerebbe che Damarete, dopo la vittoria di suo marito, Gelone nel 480 a.C., suggerì, nelle clausole del trattato di pace, il divieto di effettuare sacrifici umani nei riti cartaginesi. Una notizia trionfalistica per Gelone che lo avrebbe etichettato come il garante sul diritto alla vita.

Ma in realtà, la presunta tradizione dei sacrifici umani, attuati dai cartaginesi, è tutt’oggi dubbia, infatti da un esame dei resti dei neonati nei luoghi sacri, detti tofet, gli archeologi hanno verificato che molti bambini erano deceduti durante la gravidanza, senza che si deducessero segni di morte cruenta.

Un'ulteriore conferma su come i vincitori propagandavano ciò che al regime era gradito! Dopo la morte di Gelone, avvenuta nel 478 a.C., Damarete "dovette" sposare il cognato, Polizelo che subentrò alla tirannide della città di Siracusa. Intanto, Terone di Agrigento sposa un’altra donna che era la figlia di Polizelo, fratello di Gelone.

Per essere ancora più espliciti: “il tiranno sposa la figlia del marito di sua figlia avuta da un’altra donna”. Ierone, detto anche Gerone, fratello di Gelone e tiranno prima di Gela e poi di Siracusa, sposa tre donne: la nipote di Terone e più precisamente la figlia del fratello Senocrate; la figlia di Anassilao, nonostante questo nella battaglia del 480 a.C. era a fianco dei cartaginesi; e infine la figlia di Nicocle che partorì Dinomene.

Quasi certamente, chi più chi meno, molti tiranni erano quasi tutti bigami e trigami come nel caso di Anassilao e Terone probabilmente dettato dall’incapacità di dare eredi e pertanto con l’intenzione di fondare alleanze e stirpi in terre differenti. Inoltre nella poligamia dei tiranni l’esigenza pratica di suggellare accordi politici si confonde con due motivi eroici quali l’attitudine alla fondazione dinastica e l’esuberanza sessuale.

Come un eroe, il tiranno è presente in luoghi diversi, congiungendoli con la sua persona e il suo seme. Infine, le fonti antiche riferiscono che il figlio del tiranno di Agrigento, Trasideo, non sposò nessuna donna ma fece di tutto per farsi odiare sia a Himera che ad Agrigento dove per un breve tempo divenne tiranno delle due città.

Secondo lo storico Diodoro Siculo venne condannato a morte dopo un regolare giudizio popolare. Per concludere, una curiosità su come morirono alcuni degli altri tiranni citati: Gelone di idropiosia, Ierone per calcoli renali e Trasibulo in esilio.
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