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Se in Sicilia (per una volta) la mafia non c'entra: la vera origine di "baciamo le mani"

Anche se nei film ci ricamano sopra, in realtà viene da luoghi e tempi lontanissimi e in buona parte ci colpa perfino Alessandro Magno, quello della Macedonia

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 4 settembre 2023

Andy Garcia ne "Il Padrino - Parte III"

Quando nel corso del paese scendeva lo zio Alfonso si alzavano tutti e facevano le riverenze. Era buono, era troppo buono e di conseguenza era impossibile non volergli bene. Ah, e come ne parlava sua sorella: "Ma chi mio fratello? Un pezzo di pane! Quanto bene che ha fatto!”.

E proprio grazie a questo bene compiuto tutti a portargli rispetto, partendo dal maresciallo che quando passava si toglieva il berretto, finendo dal parrino che faceva fermare la processione sotto casa sua.

E oltre tutti questi pregi - perché quando uno nasce di un altro livello c’è poco da fare - teneva la pelle delicata come quella delle pesche tant’è che facevano tutti a gara a volergli baciare le mani. "Baciamo le mani zu’Alfò! Baciamo le mani!".

Insomma, era tutto un baciamo le mani di qua, baciamo le mani di là. Com’è che quando è morto non l’hanno fatto santo manco io lo so. In compenso però l’hanno messo su tutti i giornali.
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Questo saluto tipicamente nostrano, nel senso che è una cosa nostra tipica, complici i film "ri Ollivùdd", oramai diventò una questione da souvenir tra tazze e magliettine con la scritta pu’ zizì quando t’arricampi dalla vacanza a Palermo.

Ma è stato sempre così? Datemi un attimo che rispondo al citofono a ve lo dico… Ecco, un’altra multa! Con me si tolgono le soddisfazioni, altro che cappello! Comunque, anche se questa cosa del "baciamo le mani" sembra impregnata di Sicilia più di quanto lo sia la mio amato "spitino" fritto con la carne, ebbene, in realtà viene da luoghi e tempi lontanissimi e in buona parte ci colpa perfino Alessandro Magno, quello della Macedonia.

"Proskýnesis" la chiamavano gli antichi, anche italianizzata con proscinèma, ed era un’antica usanza per mostrare riverenza usata prima dal popolo assiro (quelli famosi del libro di storia tra il Tigri e l’Eufrate) e poi pure i persiani. A quanto pare consisteva nel baciare le punte delle dita della propria mano destra quando ci si trovava di fronte a un pezzo da novanta, e se era un pezzo da novantissimo, quasi cento, si soffiava per farglielo arrivare in maniera dolce e delicata. Mamma mia quanta fatica!

Fanno bene quelli della Regione che si scambiano le leccate di kul e si sbrigano in due secondi. Erodoto, uno che di storia ne capiva assai, s’apprecò talmente a sta cosa che ne lasciò testimonianza scritta: "Quando i Persiani si trovano per la strada, si può capire, nel modo che segue, se le persone che si incontrano sono dello stesso livello sociale.

Se sono pari, si baciano sulla bocca senza pronunciare una sola parola di saluto; se uno è leggermente inferiore all'altro, egli è il solo a baciare l'altro sulla guancia; se invece è di gran lunga inferiore, si inchina e tributa la proskýnesis al suo superiore".

Teccà, mancia! Dall’oriente la proskýnesis passò ai greci, e furono loro a dargli stu nome complicato. Però i greci erano così, complicati nelle cose semplici e semplici nelle cose complicate, infatti questo di tipo di riverenza la destinavano soltanto al culto degli dei perché pensavano che un atto di prostrazione così eclatante fatto verso un uomo svilisse il loro concetto di libertà.

E ci dice sempre Erodoto, che con questa cosa si era intrippato male: “Si sa che gli ambasciatori greci alla corte persiana assunsero in più occasioni un atteggiamento … provocatorio; uno preferì spedire una lettera al sovrano piuttosto che tributargli la proskynesis, un altro lasciò cadere l'anello con il suo sigillo, in modo da potersi chinare a raccoglierlo e apparire rispettoso grazie a questo movimento, benché in esso andasse perso il vero gesto del bacio… Ciò nonostante, greci come Temistocle e Alcibade furono abbastanza ragionevoli per comportarsi come i Persiani quando si trovavano in Persia”.

Quando arrivò la volta di Alessandro Magno questa cosa del “baciamo le mani” diventò in realtà un po’ una patata bollente. E già, perché se da un lato del proscinèma se ne fotteva altamente, dall’altro era pure vero che i popoli orientali sotto il suo dominio erano abituati a trattare i sovrani in tutt’altro altro modo; e se avessero visto i sudditi di Alessandro salutarlo senza quel gesto prostrante lo avrebbero preso un po’ un malaminkiata.

Per questo motivo si vide costretto ad estendere il costume non solo ai popoli orientali, ma anche ai greci proprio per risultare più credibile.

«Efestiò…» giustamente perplesso si rivolse al suo braccio destro Efestione. «Ma come li convinciamo i greci con stu baciamo le mani?» «Bella domanda Allessà… a lavare la testa allo scecco si perde acqua, sapone e tempo!». Alla fine si decise di organizzare un banchetto dove ci fossero sia i greci che gli ambasciatori provenienti dell’oriente.

«Se ad un certo punto, appena il Tavernello inizierà a fare il suo lavoro,» partorì quel geniaccio di Efestione «gli orientali cominceranno a farti la proskynesis, magari i greci si prenderanno di coraggio e si uniranno a loro».

Eh, ma prima di metterli in atto i piani sono tutti belli. È come quando mi gioco un terno secco sulla ruota di Palermo e ancora prima di uscire i numeri nella mia testa ho già speso i soldi che non vincerò (ah, a proposito, questa cosa del banchetto accade nel 327 a.C., quindi se volete ci escono due bellissimi ambi: 3 e 27 & 32 e 7).

Ad ogni modo, come previsto dal rito greco bevvero tutti il vino passandosi la stessa coppa d’oro, poi gli orientali, secondo i loro usi, si alzarono per rendere omaggio e come andò a finire ce lo racconta lo storico Arriano: «resero ad Alessandro la proskynesis, baciando la propria mano e forse inchinandosi leggermente come i funzionari persiani …

Dopo questo gesto, si accostarono alla tavola reale e scambiarono un bacio con Alessandro … Questa piccola e modesta cerimonia fece il giro di tutti gli ospiti, ciascuno bevve, baciò la propria mano e in cambio fu baciato dal re… Poi arrivò il turno di Callistene che bevve dalla coppa, ma ignorò la proskynesis e mosse dritto verso Alessandro, aspettandosi di ricevere da lui il giusto bacio.

Ma… poiché Callistene non si era conformato al comportamento degli altri, Alessandro rifiutò di baciarlo”. Il banchetto termino così, con Callistene che si congedò dicendo "me ne vado più povero di un bacio".

Come fu, come non fu, alla fine l’usanza di riverenza prese lo stesso piede e si diffuse in tutta la Magna Grecia, quindi in Sicilia dove non se ne andò più.

Quando il professore Terranova mi raccontò tutta questa lunga storia gli chiesi se forse non erano più filosofi i nostri politici dei greci stessi che invece di fare tutto sto macello se ne uscivano veloci con le leccate di kul. Non mi rispose ma volle darmi un saggio consiglio per il futuro: "lavora alla Regione e non lavorerai un giorno della tua vita…".
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