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Se il dessert è nato altrove, il gelato è (solo) di Palermo: sua maestà la "zuppa inglese"

C'è chi lo ama e chi lo odia, ma è sempre presente fra i gelati che l'amico di turno porta alla "scampagnata" della domenica. Scopri la storia del gusto made in Sicily

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 23 luglio 2024

Gelato al gusto "Zuppa Inglese"

Da bambino, in estate, dopo aver passato la giornata a impennare con la BMX sudando così tanto da poter risolvere il problema della siccità mondiale, uno dei rituali classici era l’arrivo del signor Taormina con il suo furgoncino attrezzato a gelateria.

Il gelato è sempre stato una delle mie più insane debolezze, al livello che, da solo, sono capace di futtirimi una vaschetta da mezzo chilo minimo, facendomi schifiare dalla mia dolce metà che assiste alla scena.

Alla frutta, creme, imbottiti, modestamente u minni fici scappare uno e, senza falsa modestia, posso autoelogiarmi nel dire che ormai sono diventato un vero intenditore, anche perché, per me, il gelato non è solo un alimento prettamente estivo, sarei capace di pistiariminne quantità industriali anche con temperature sotto lo zero assoluto.

Alla luce di tutto questo ho sviluppato la passione per gusti “alternativi”, tipo “cassata”, “oro verde”, “gelsomino” (che vi assicuro è buonissimo), “ricotta” e, messo per ultimo, ma non ultimo la zuppa inglese, che da alcuni è detestata ma da me è amata anche se contiene in canditi i quali, andando decisamente controtendenza, a me non dispiacciono per nulla.
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Occorre quindi far chiarezza, perché la zuppa inglese, prima di essere un gelato di squisita invenzione tutta sicula, è anche un dolce al cucchiaio.

La sua origine viene identificata a Parma, dalla maestria di Vincenzo Agnolotti, cuoco, pasticcere e liquorista presso la corte di Maria Luigia Duchessa di Parma, Piacenza e Gustalla. Agnolotti e ne espone la preparazione sul suo “Manuale del cuoco e del pasticciere di raffinato gusto moderno” del 1932.

Lì il pasticcere descrive la preparazione del dolce facendo riferimento alla bagna con “Alchermes”, un liquore di origjne araba, ed ammettendo che per le sue ricette ha preso spunto da quelle popolari regionali, modificandole con il suo eccellente gusto. Nulla esclude, quindi, che la cucina siciliana possa aver ispirato la creazione della “zuppa inglese”.

Ad avvalorare tale ipotesi vi è un aneddoto. Pare difatti che Federico II di Borbone, quando grazie all’aiuto degli inglesi riottenne il trono dopo le ribellioni siciliane, volle ringraziare i “pistiaporridge” con uno schiticchio di quello serio.

Al momento del dessert un cameriere fece cadere la portata, per cui il cuoco dovette organizzare in fretta e furia un’alternativa, immergendo dei biscotti in una miscela di Rum e Alchermes e sistemandoli successivamente a strati con della crema pasticcera, dando il tutto ad un altro cameriere con la raccomandazione, “Tè, va portaci sta zuppa all’inglisi!”.

D’altronde l’Alchermes potremmo farlo risalire già ai tempi della dominazione araba in Sicilia.

Voci di popolo vorrebbero che a quei tempi gli arabi avessero portato con loro una sorta di bevanda a base di tintura di cocciniglia (diteglielo a Salvini che noi gli insetti ce li pistiavamo molto prima che all’Europa gli venisse l’idea), petali di rosa, zucchero, chiodi di garofano, cardamomo e cannella. Questa bevanda veniva chiamata Al-Qirmiz.

Ci volle poco che Al-Qirmiz divenisse “archemisi”, con l’aggiunta di vino fermentato (che in epoca moderna divenne semplice alcol o rum), promuovendolo a toccasana contro i “vermi ru scanto” che si sarebbero potuti creare nello stomaco dei picciriddi in caso di forte spavento.

Questa sorta di rosolio veniva usato per un dolce che potremmo considerare l’antenato della zuppa inglese.

Ho ancora memoria di mia nonna paterna, maestra nella preparazione di questa “zuppa inglese sicula”, che faceva un biancomangiare un po’ più cremoso e arriminato con l’ “archemisi” o, in sostituzione, l’ ”estratto finissimo di zuppa inglese” della Elenka che prendeva da Nuccio (ve lo ricordate?).

Successivamente faceva uno strato di firrincozza (i nostri savoiardi in chiave sicula) in cui colava il biancomangiare ed una pioggia di gocce di cioccolato, continuando a fare strati fino ad arrivare al bordo della teglia, dalla quale spessissimo veniva direttamente mangiato.

A volte sostituiva i “firrincozza” (o firrioli) con gli anicini che lei stessa faceva, mettendo nell’impasto alcune gocce di anice unico Tutone e mennule sminuzzate, che mentre erano in fase di cottura u ciavuru arrivava fino in strada facendo sbavare i cristiani a tipo cani di Pavlov.

Fu solo più tardi, grazie alla genialità di Antonino Galvagno, fondatore della Elenka, che arrivò il gelato alla zuppa inglese, invenzioni totalmente sicula.

Galvagno iniziò la sua attività nel 1959, creando liquori e distillati che poi rivendeva ai vari bar di Palermo.

Forse era ispirato dalla possibile origine siciliana della zuppa inglese quando, mentre smachinava con i liquori, si inventò l’ estratto, che però purtroppo si rivelò inadatto per un liquore.

Galvagno allora ebbe la pensata di usarlo come aroma per un gelato e nel 1964 depositò il brevetto con il nome di “estratto finissimo di zuppa inglese”, avendo un successo epocale presso tutte le gelaterie.

E così mentre tutti noi eravamo già alle prese con una bella brioscia alla zuppa inglese, lui mise su la Elenka, solida realtà industriale panormita, creando anche il “dariloy”, primissima base per il gelato.

Ad oggi la Elenka produce ancora l’estratto, ingrediente fondamentale per il gelato zuppa inglese, e volendo si può trovare anche di concorrenza ma… non babbiamo con la cose serie! L’originale è solo quello di Galvagno e della sua Elenka, solo solo per u beddu ciavuru che t’arricria tutto quando passi ravanzi lo stabilimento a via Partanna Mondello.
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