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Scelte (di vita) controcorrente: la visionaria dell'architettura tornata nella sua Sicilia

Da trent’anni Maria Giuseppina Grasso Cannizzo vive a Vittoria, dove ha trova lo stile di vita che meglio risponde alla sua visione del mondo: quello essenziale e funzionale

Balarm
La redazione
  • 15 gennaio 2021

Maria Giuseppina Grasso Cannizzo - foto web

Maria Giuseppina Grasso Cannizzo è un nome che forse ai più non dirà nulla ma che, per gli addetti ai lavori - ci riferiamo al mondo dell’architettura - è di sicuro un eccezionale punto di riferimento.

Ai molti non dirà molto anche perché, da circa trent’anni, è ritornata a vivere nella sua Sicilia, a Vittoria in provincia di Ragusa, senza grandi clamori di vita pubblica eppure, sempre nel suo ambito professionale, ha segnato importanti traguardi in un curriculum ragguardevole iniziato nel 1974 con la laurea in Architettura presso l’Università degli studi di Roma La Sapienza.

Da quel momento in poi, in lungo e in largo in Italia e non solo, la Cannizzo ha lasciato segni (pochi ma d’effetto, solo il 2% dei suoi progetti hanno trovato piena realizzazione) che oggi la fanno essere faro per vecchie e nuove generazioni di architetti.

Tra gli ultimi riconoscimenti ricordiamo il premio Medaglia d’Oro alla Carriera assegnato dalla Giuria della Triennale di Milano 2012 e la segnalazione per il Mies van der Rohe Award 2013; per non parlare della partecipazione alla Biennale di Venezia nel 2016.
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In un’intervista di qualche mese fa, riportata da un'importante rivista di settore - Domusweb.it -, l’architetto, chiamata a partecipare ad un dibattito, racconta della sua scelta di vivere in aree interne rispetto alle grandi città.

La considerazione, infatti, a causa della pandemia, oggi si ricopre di una particolare visione: secondo alcuni studi - come si legge sull’articolo di domus, in futuro molte persone potrebbero trasferirsi in “aree marginali” per affrontare al meglio eventuali nuove emergenze sanitarie e l'imminente crisi economica.

Esattamente come ha fatto - da trent’anni a questa parte come ricordavamo - Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, conducendo uno stile di vita - molto prima della pandemia - controcorrente dove non trovano spazio i social, tra le altre cose.

Una scelta di vita definita da qualcuno quasi “ascetica” ma che non ha minimamente appannato la sua professione, anzi forse l’ha nutrita ancor di più.

Al suo attivo ci sono pochi progetti realizzati (qualche casa private, una piccola torre di controllo a Marina di Ragusa, un paio di locali commerciali e alcune installazioni) che l’hanno posizionata nel gotha dell’architettura, non solo per l’opera in sé ma per ciò che evoca ogni progetto che, dalla sua autrice, assorbe valori umani antichi, oggi rarefatti tanto nella vita quotidiana quanto nelle opere architettoniche.

Dal modo di gestire i lavori stessi Maria Giuseppina Grasso Cannizzo esce dai canoni consueti: non ha una sede e un numero di collaboratori fissi, se non un punto di riferimento in Salvatore Ingrao, con uno studio autonomo.

Basta guardare anche le case per vacanze, realizzate a Noto e Ragusa, per farsi un’idea immediata dell’essenzialità che la Cannizzo riversa nei suoi progetti, sempre concettualmente intensi.

Certamente anti-accademica e in qualche modo sovversiva - nell’accezione migliroe del termine - l’architetto siciliano ha assorbito negli anni della professione anche le influenze del mondo giapponese, valorizzando il vuoto, la precisione, a tratti ossessiva, e il “perfezionismo dell’imperfezione”.

Altro caposaldo a cui si ispira è il così detto riuso architettonico, detto anche “Architettura Parassita”, ovvero l’azione che si appropria delle preesistenze, ridona dignità, bellezza e identità a manufatti già realizzati e non riusciti, creando nuovi progetti.

Questa nuova destinazione diventa il punto di forza stesso del progetto, unico. Perché "l'architetto è un accordatore di desideri e obiettivi, consuetudini e norme".

Non c’è dubbio che il risultato del progetti della Cannizzo siano talmente lontani, in senso positivo, dalla visione generale - e spesso ancora troppo provinciale - anche a livello nazionale, da renderla unica nel panorama dell’architettura moderna.

Perché come sostiene qualcuno il gusto si educa e la bellezza è frutto di studio e duro allenamento, soprattutto in “aree marginali”.
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