CINEMA E TV
“In un altro paese”, dal fallimento la spinta al risveglio
In un altro paese
Italia, Francia, 2005
di Marco Turco
voce Fabrizio Gifuni
Se il film racconta verità attraverso la finzione cinematografica, lo stesso non si può assolutamente dire per il documentario, genere verso il quale il pubblico delle sale ha manifestato negli anni un interesse via via crescente ovunque nel mondo e ultimamente, sempre col dovuto ritardo che ci caratterizza, anche nel nostro paese. «La finzione nel documentario non è mai finzione», come ebbe a dire William Rothman, critico americano degli anni quaranta, e ormai, oltre a raccontare verità, il documentario sta diventando sempre più uno strumento di conoscenza e diffusione di notizie e informazioni che queste verità trasformano in quel patrimonio collettivo di sapere, indispensabile per la crescita e lo sviluppo di una società consapevole, dove la consapevolezza è prerogativa necessaria per potere cambiare la realtà nella quale si vive, lì dove tali cambiamenti sono doverosi. E, giusto per citare qualche esempio, si pensi a “Fahrenheit 9/11” (Palma d’oro Cannes 2004) dell’americano Michael Moore, autore anche di quel “Bowling a Columbine” (Premio Oscar 2002 quale Miglior Documentario), intelligente inchiesta sulla diffusione delle armi e sulla cultura della violenza in America. Quando i fatti ci toccano da vicino poi, l’effetto è ben diverso, inutile dirlo, molto più coinvolgente, e di questo se ne è reso ampiamente conto il pubblico presente in sala, al cinema teatro Metropolitan di Palermo per la proiezione in anteprima del film documentario “In un altro paese” di Marco Turco, tratto dal libro dell’americano Alexander Stille “Excellent Cadavers - The Mafia and the Death of the First Italian Republic”, prodotto da Vania Del Borgo, con Marco Visalberghi, co-produttore Olivier Mille, sceneggiatura Vania Del Borgo, Alexander Stille e Marco Turco (direzione della fotografia Franco Lecca, Enzo Carpineta, adattamento italiano Marco Bardella, musiche Andrea Pandolfo, C.A.M. Original Soundtracks, montaggio Luca Gazzolo, fotografie di Letizia Battaglia, Franco Zecchin, Ernesto Battaglia, Riccardo Liberati, Filippo La Mantia), distribuito dalla Fandango e prodotto da Doclab Rai Radiotelevisione Italiana – Raitre in associazione con Artline Films (Parigi), con la partecipazione di France 2, in associazione con BBC, YLE Teema, Sveriges Television, Sbs Tv Australia, sviluppato e distribuito con il sostegno del Programma Media dell’Unione Europea, con la partecipazione del Centre National de la Cinématographie, di Procirep e Angoa-Agicoa, con il patrocinio della Città di Palermo, Miglior Documentario Italiano al 46° Festival dei Popoli.
Del potere mafioso tanto si è detto, e dei delitti di mafia pure, da Placido Rizzotto a Dalla Chiesa, da Montana a La Torre al politico mafioso Salvo Lima, fino alla fine tragica dei due giudici palermitani e degli uomini della loro scorta, ma l’analisi qui proposta, priva di facile retorica, porta ad altro. Invita a riflettere sui nostri giorni, sull’eredità che questo fallimento ha lasciato al nostro paese, sulle nuove figure politiche sorte negli anni novanta, il Silvio Berlusconi che tanto diverte l’Europa, inorridendola al tempo stesso (e a proposito, questi, nel documentario, gioioso come sempre, riferendosi a Dell’Utri, mediatore per trent’anni fra Cosa Nostra e la Fininvest, dice: «è lui il vero colpevole, è a lui che si deve la nascita di Forza Italia»), sul terribile dubbio che a nulla siano valsi tanto impegno e sacrifici di vite umane se poi quel che resta è un tragico abbassare la guardia nei confronti di una mafia che, mutata nell’apparenza, persiste nella sostanza. Perché, se tanto allora gli oscuri rapporti fra mafia e politica, intimorirono Tommaso Buscetta, il pentito le cui lunghe e preziose deposizioni furono essenziali per il maxi-processo, molto di più avvilisce e deve indignare la situazione attuale nella quale la nuova mafia col silenzio delle armi si muove a proprio piacere all’interno delle istituzioni. Un’ultima nota merita infine il toccante appello esposto in sala dal giudice Giuseppe Di Lello presente alla proiezione in anteprima del film, affinché opere come questa possano essere diffuse e rese note il più possibile anche grazie al contributo del servizio pubblico televisivo, auspicando una programmazione di grande fruibilità per tutti. E per concludere, se grande è lo sconforto che da siciliani (e non solo) si prova vedendo questo bel documentario, parimenti grande deve essere la volontà di intervenire contro la connivenza fra mafia e politica, ormai nota e sempre più incancrenita nell’amministrazione del paese.
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