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Fede, storia, libertà: Zanussi torna sul grande schermo

  • 9 febbraio 2006

PERSONA NON GRATA
Polonia, Russia, Italia, 2005
Di Krysztof Zanussi
Con Zbigniew Zapasiewicz, Nikita Mikhalkov, Daniel Olbrychski, Andrzej Chyra, Marta Bekker, Remo Girone, Victoria Zinny

Il cinema di Krysztof Zanussi ha più volte raccontato, con onestà e rigore, l’orrore della Storia: l’occupazione nazista in Polonia, il profondo strazio dello sterminio, la drammatica ricostruzione del dopoguerra. Un regista il cui impegno di analista del proprio tempo coincide con l’anelito dell’uomo di fede. Da qui l’incontro con la storia umana di Giovanni Paolo II da cui è nato un film, “Da un paese lontano”, che rievoca l’esaltante tragitto di un protagonista del Novecento. In tempi più recenti, Zanussi ha diretto un altro film, “Fratello del nostro Dio”, dove il soggetto è stato tratto da un’opera del periodo giovanile di Wojtyla. Dunque, l’ispirazione cristiana è l’elemento chiave per comprendere l’opera del grande regista polacco. Zanussi è uno di quelli che crede ad una possibilità di riscatto dell’uomo occidentale, crede con convinzione nell’utopia di un Europa unita, come ha dichiarato durante le ultime giornate veneziane dove ha presentato la sua ultima opera in concorso, “Persona non grata”, uno dei suoi film più belli e più importanti. La fede, per lui, è soprattutto ricerca di una possibilità di emancipazione dell’uomo, la reificazione di un’utopia possibile, elementi evocati fin dal suo film d’esordio, “La struttura del cristallo”, dove l’incontro di due compagni di scuola mette a confronto due contrapposte visioni del mondo. Il cinema di Zanussi non lavora solamente i contenuti: tutta la sua opera è segnata da un anelito poetico risolto nella fluidità di una narrazione raffinata. Così il regista è tornato a Venezia, dove aveva vinto il Leone d’Oro nel 1984 con “L’anno del sole quieto” (rimasto, purtroppo, inedito in Italia). Vi è tornato con un film intriso di amarezza, il racconto di Wiktor (un magnifico Zbgniev Zapasiewicz, già attore per Wayda e Kieślowski), ambasciatore polacco in Uruguay che, dopo la morte della moglie, torna al suo paese natale dove incontra una vecchia conoscenza, divenuto viceministro degli Affari esteri russo, Oleg (un indimenticabile prova d’attore del regista russo Nikita Mikhalkov).

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Un nuovo confronto tra due uomini vissuti sotto il comunismo, due nemici-nemici: Oleg, una volta, era un giovane funzionario sovietico in Polonia ed è riuscito ad affermarsi, al contrario di Wiktor. Quello che adesso li fa restare uniti sono soltanto i comuni interessi di Stato dei due paesi di cui sono i rappresentanti. C’è da portare avanti un importante appalto di una fornitura di elicotteri in Uruguay, e la Polonia è in forte competizione con la Russia che vuole a tutti i costi non perdere l’affare. Wiktor è un uomo vinto dal dolore e, tra i molti sospetti che continuano ad ossessionarlo, c’è quello di un possibile tradimento della moglie ormai morta con Oleg. La trama scioglie una matassa assai ingarbugliata: fra coloro che gestiscono l’intrigo c’è Waldemar (Andrzej Chyra), il nuovo console protetto da Wiktor, che finisce implicato in un traffico di droga, e la sua giovane moglie Oksama (Maria Bekker) che forse è una spia per conto dei russi. Il consigliere dell’ambasciata (interpretato da uno straordinario Jerzy Stuhr) è un altro di coloro che Wiktor sospetta, come del resto il viceministro polacco (l’ottimo Daniel Olbrychski). Quando l’indagine si complica, l’anziano ambasciatore è costretto a ricorrere all’amico Alfredo (il nostro Remo Girone), collega di origine italiana, accompagnato dalla moglie Luciana (Victoria Zinny), che dimostra solidità e furbizia. Gli intrighi hanno per scenario centrale Montevideo, dove si svolge un congresso internazionale.

Ma qui è meglio fermarsi con la trama, per non sciupare le non poche sorprese che il film ci riserva. Basti sapere che le ragioni pubbliche insieme a quelle private conducono Wiktor a confrontarsi con la propria coscienza: la misura etica di un dolore non ancora sufficientemente elaborato (quello della scomparsa della moglie) trascina il nostro ad interrogarsi sul proprio passato e sulla propria assurda condizione presente, fino a trovare sfogo in un desiderio di amore nei confronti dell’ambigua Oksama. L’amore come punto di fuga possibile. L’amore che incrocia la morte. Del resto, “Persona non grata” si apre con un funerale, e il film ci mostra pure un'altra morte, quella del cane di Wiktor, Ippolito, un pastore tedesco roso dal cancro, in una sequenza di struggente bellezza accompagnata dai violini scritti dal compositore Wojciech Kilar, autore della colonna sonora originale. La figura di questo protagonista ricorda quella di un altro personaggio raccontato da Zanussi nel lontano “Illuminazione”, il fisico Franciszek Retman: entrambi vivono la loro funzione pubblica come riflesso di un travaglio privato da cui non è facile liberarsi.
Del resto, ogni antieroe di Zanussi possiede un passato contraddittorio dove ha comunque avuto spazio la lotta, disperata ed utopistica, per la libertà. Questo thriller esistenziale sembra, dunque, una summa delle tematiche care al suo autore. Come al solito, Zanussi è assai abile a far affiorare i nodi concettuali più arditi della sua poetica con uno stile semplice e scarno. Raccontandoci della necessità di fuga dal labirinto del Male, il regista dona ai propri personaggi uno spessore psicologico rimarchevole, guidando i suoi attori con amore da demiurgo. E’ la morte o è l’amore la nostra salvezza? L’importante, sembra ripeterci Zanussi, è la ricerca della grazia, anche in tempi feroci come i nostri, anche a costo di eternizzare il passato, trasformandolo in futuro.

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