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Bernardo Provenzano, ragioniere della mafia sotterranea

  • 8 maggio 2006

«Quello che mi ha fatto impressione sono state le scarpe: bellissime!» Così parla di Bernardo Provenzano un giovane collaboratore di giustizia, descrivendo agli inquirenti un signore distinto sui sessant'anni, molto curato, con delle strane "bellissime" scarpe «in pelle marrone, con un ovale, un'anatra che volava, tutta dipinta». Il saggio di Ernesto Oliva e Salvo Palazzolo, "Bernardo Provenzano, il ragioniere di Cosa Nostra" (Rubbettino editore, euro 12), come tutti i libri intelligenti e ben fatti, è prezioso. Per la prefazione (assolutamente da leggere) di Umberto Santino, per l'impegno degli autori e perchè certe verità non ci saranno mai sufficientemente sbattute in faccia. Nonostante la discussione sul libro in quanto tale meriterebbe molto più spazio, ci limitiamo a quanto già detto perchè abbiamo parlato con i due autori e riteniamo decisamente più interessante riportare le loro interviste.

Salvo Palazzolo, che risposte ci sono in questo libro?
Più che altro ci sono domande, perchè la cattura di Provenzano non vuol dire la fine della lotta alla mafia, finché non conosceremo i suoi segreti sui mandanti occulti delle stragi e degli omicidi politici, non sarà affatto finita.

È vero quello che pensa la gente riguardo alla cattura dei grossi latitanti, ossia che vengono catturati solo quando non contano più ?

Ma sai, in questo caso il boss è stato arrestato con parte del suo archivio, il che ci dice di un uomo in attività, quindi questo luogo comune sarebbe smentito. Questo sempre in attesa che questo archivio venga decifrato. Certamente, siamo in attesa della decifrazione dei “pizzini” che ci offrirebbero una radiografia aggiornata di Cosa Nostra.

Quando hanno preso Riina il covo è stato "accuratamente bonificato", è quindi auspicabile che dallo studio del covo di Provenzano venga fuori qualcosa di importante?

Certamente non possiamo mettere a confronto la cattura dei due, perchè in questo caso pare non ci siano assolutamente dubbi sulla modalità dell'arresto, al contrario del caso di Riina. I magistrati stanno proseguendo la loro attività per cercare di andare a fondo ai segreti di questo covo. A differenza di quanto si pensasse prima, Provenzano non sarebbe il "trattore" ma un fine stratega che garantiva negli ultimi anni una sorta di pax mafiosa. Diciamo che è rimasto libero anche perchè è stato pesantemente e storicamente sottovalutato da un punto di vista investigativo, poi solo nel 1994 il pentito Pennino ci ha informato che non era "il trattore" ma "il professore", il vero "ragioniere" della politica palermitana, con ritardo quindi abbiamo capito chi era e grazie al duro lavoro dei magistrati si è riusciti a recuperare questo gap.

Se è vero che Provenzano ha garantito una tregua delle attività militari della mafia, adesso che cosa dobbiamo temere?
Questo non lo sa nessuno, adesso siamo in una fase in cui tutto è possibile.

Ernesto Oliva, non è la prima volta che lo Stato dimostra efficacia nella lotta alla mafia, qual è in questo momento l'intensità dell'impegno delle istituzioni?

Giovanni Falcone disse molti anni fa che l'impegno dello Stato nella lotta alla mafia è stato perlopiù episodico e legato alla dovuta reazione a gravi fatti di sangue. L'impegno dello Stato non è mai stato volto ad eradicare il problema alla base. Si è reagito piazzando i colpi migliori nei momenti di maggiore aggressività della mafia, di fronte al rischio anche di un sovvertimento dell'ordine dello stato.

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Da questo punto di vista la cattura di Provenzano pare dunque avvenire in un momento atipico, ciò rappresenta un fatto positivo? Oppure siamo in una fase di intensa attività mafiosa che però non traspare agli occhi di osservatori profani?
Negli anni passati si era mormorato più volte di un suo imminente arresto, di fatto abbiamo assistito alla cattura in un momento in cui di lui non si parlava, e forse questo silenzio l’ha agevolata. In passato più corpi investigativi gli hanno dato la caccia, in maniera più o meno efficace o valida, ciò paradossalmente ha fatto il gioco del latitante. Non è un caso poi che il tutto sia avvenuto in un momento in cui i favoreggiatori di Provenzano erano i suoi stessi vecchi fiancheggiatori corleonesi degli anni sessanta, un nome su tutti, Bernardo Riina, che già nel 1965 era considerato un fedelissimo al boss. Sono passati più di quarant'anni, seguendo Riina si sarebbe facilmente potuti giungere a Provenzano, questo fa un po' pensare. Riguardo alla seconda parte della sua domanda devo dire che sì, c'è una fase di transizione, l'immagine che abbiamo del potere di questo capo mafioso ci descrive una mafia arcaica, che fa affidamento ai pizzini, che gestisce all'antica la "roba" e i rapporti con i politici. Io credo che questa cattura sia stata fisiologica, probabilmente assisteremo al nascere di un'altra guida della mafia con altri personaggi ed altri boss che comunque, ricordiamo, sono sempre latitanti.

Pare che la mafia siciliana ricavi una grossa parte dei suoi utili inquinando gli appalti sui lavori pubblici. Come mai dopo tanti provvedimenti legislativi in materia, oggi questo accade ancora?
Questo è un problema molto delicato, nel momento in cui in Sicilia si fa una legge sugli appalti che intende garantire trasparenza, non si può dimenticare che i lavori saranno controllati da imprese che lavorano sul territorio, siano tali imprese siciliane, di altre regioni o addirittura straniere. Il controllo del territorio, che ci siano o meno leggi sugli appalti, è esclusiva delle famiglie mafiose competenti per la zona in questione. L'impresa, venga da Palermo, Treviso o New York, dovrà comunque passare attraverso il controllo locale. La mafia va sicuramente combattuta sul piano legislativo ma va affrontata in maniera decisa sul piano del recupero sociale e sul controllo della legalità del territorio, altrimenti potremo varare decine di leggi e comunque tutto questo sarà inutile.

Un suggerimento da esperto al nuovo governo?
Bella domanda! Sicuramente bisogna evitare che si creino le condizioni (peraltro già presenti) per latitanze lunghe come quella di Provenzano o degli altri mafiosi tuttora in circolazione, evitare il "toto-boss", l'assuefazione al fatto che la mafia possa garantire latitanze pluriennali ed impunite perché ha il totale controllo del territorio. La mafia va affrontata con una lotta seria e quotidiana, non legata ad episodi straordinari. La lotta a Cosa Nostra deve diventare l'atteggiamento ordinario e quotidiano del governo.

In questi quarantatre anni di latitanza, a parte una spropositata fortuna economica, che cosa c'ha guadagnato Provenzano?
Io credo che questo personaggio alla fine sia rimasto un po' vittima del suo ruolo di boss latitante, lui è stato essenzialmente il garante del controllo mafioso criminale di tutti quelli che sono gli affari leciti in Sicilia, e naturalmente ciò prevede un rapporto con la politica, pezzi di istituzioni e pezzi dello Stato. Lui ha garantito questi rapporti e questo accordo, rimanendo prigioniero anche di questo ruolo, e questo giustifica la sua latitanza da povero. Del resto anche gli altri boss mafiosi, ad eccezione di Salvatore Riina il cui covo era nella villa di via Bernini, hanno incarnato il principio che la mafia innanzitutto garantisce la custodia della roba, intesa anche in senso verghiano. Provenzano sostanzialmente è stato protagonista e vittima di un sistema che nel sud d'Italia e in Sicilia in particolare va avanti da troppo tempo.

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