STORIA E TRADIZIONI
Ma chi era davvero l'Annunciata: pare che una Santa posò per Antonello da Messina
Gli storici dell'arte a lungo hanno cercato di individuare chi posò per l'artista. Scartata l'ipotesi della Vergine in persona, ci voleva un personaggio che avesse comunque un certo rilievo
Dettaglio dell'Annunciata di Antonello da Messina
Una fra le più “gettonate” dai visitatori è l'Annunciata, il dipinto di commovente bellezza che Antonello da Messina realizzò nel 1475, al culmine della carriera.
Ma vi siete mai chiesti chi fosse, davvero, l'Annunciata? Gli storici dell'arte sì, e a lungo hanno cercato di individuare chi posò per Antonello. Scartata l'ipotesi che la Vergine in persona avesse potuto fare da modella all'artista, ci voleva un personaggio che avesse comunque un certo rilievo.
Niente donne di malaffare come quelle che, qualche tempo dopo, avrebbe scelto Caravaggio, con grave scorno dei committenti (che, difatti, scandalizzati da riconoscere in Vergine e sante il volto di una mendicante o di una prostituta, più volte lasciarono i quadri al loro autore, ma questa è un'altra storia).
A meno che non siate messinesi o particolarmente religiosi o interessati all'agiografia, è probabile che non sappiate di chi sto parlando. I santi, del resto, nel cielo dei cattolici sono una moltitudine. La storia di Eustochia, però, è interessante e perfino attuale, se è vero, come assicurano le monache del convento di Montevergine, dove visse e morì la santa, che ancora oggi avvertono la sua presenza fra loro.
Smeralda Calafato, questo il nome della santa alla nascita, era una ragazza di nobile famiglia messinese. Fin da piccolissima (come sempre in questi casi) lasciò intendere di volersi consacrare alla vita religiosa, un progetto che però trovò la fiera opposizione del padre e dei fratelli, decisi a “mettere a frutto” la bambina con un bel matrimonio d'interesse.
Così, quando aveva appena 11 anni, la promisero a un facoltoso quanto maturo commerciante. Molto maturo evidentemente, perché alla vigilia delle nozze morì. Un caso, si dissero i maschi Calafato, che subito scelsero un nuovo fidanzato per la bambina.
Ma anche lui, ancor prima di aver potuto fare la conoscenza della sua promessa, lasciò questa terra, seguito a stretto giro dal signor Bernardo, il padre di Smeralda. A quel punto i fratelli dovettero cominciare a sentirsi un po' a disagio, sicché, quando la ragazzina che, nel frattempo, aveva compiuto sedici anni, ribadì di voler entrare in convento, si opposero solo a parole, minacciando di bruciare il convento che l'avesse accettata. La qual cosa non scoraggiò Smeralda che decise di infischiarsene e poté così finalmente coronare il suo sogno monastico.
Salvo, poco dopo, rendersi conto che quel sogno non corrispondeva alla realtà. Nei due secoli che erano passati dalla predicazione di San Francesco e Santa Chiara, ai quali Smeralda – nel frattempo divenuta Eustochia – si ispirava, la regola delle clarisse si era alquanto ammorbidita. Niente pene corporali, pochi sacrifici: le novizie, tutte provenienti da buone e agiate famiglie, non avevano alcuna intenzione di abbandonare gli agi in cui erano cresciute.
Eustochia, che si sfiniva nell'assistenza ai malati e ai poveri, digiunava, si flagellava e martirizzava con un cilicio, e, quando finalmente si concedeva riposo, si rinchiudeva in un umido sottoscala ammuffito perché nemmeno il sonno fosse un piacere, decise infine che l'unico modo di proseguire in questa vita di afflizioni era fondare un convento tutto suo.
Cosa che fece, circondandosi di monache da par suo, nel nuovo monastero di Montevergine, l'unico in Sicilia "di primitiva osservanza". Qui morì, a 51 anni, in odore di santità. E qui il suo corpo è rimasto, in una teca di vetro sistemata in verticale sopra l'altare maggiore, dove Eustochia sta in piedi da oltre cinque secoli, la mano atteggiata in un gesto di benedizione.
Le sono stati attribuiti diversi miracoli, il più sorprendente (e anche un po' macabro) risale al 1615. Messina era tormentata da giorni da forti scosse di terremoto. La popolazione era ovviamente atterrita e così autorità e cittadini chiesero alle suore di Montevergine di incrementare le proprie preghiere. Le monache, che evidentemente avevano dato fondo alle proprie orazioni, tolsero il corpo di Eustochia dall'oratorio dove lo custodivano e lo sistemarono fra loro nel coro. E qui il prodigio: la morta schiuse le labbra e iniziò a pregare con le consorelle. Inutile dire che i terremoti cessarono all'istante. Il Municipio di Messina, in segno di ringraziamento, ogni anno il 22 agosto offre al convento “38 libbre di cera lavorata”.
Sebbene non sia stato mummificato, il corpo si è conservato integro, ancorché brunito dallo scorrere del tempo, tanto da reggersi in piedi, e c'è chi giura che la somiglianza col dipinto di Antonello sia reale. Santa e pittore, forse, giocavano insieme da ragazzini. Sicuramente erano accomunati dalla fede in San Francesco.
È possibile che Antonello abbia letto uno scritto attribuito a Eustochia, il Libro della Passione, in cui la donna inserisce alcune raccomandazioni che il pittore in effetti seguì nei suoi dipinti. Ad esempio c'è scritto che l'emblema della Passione è un Cristo con la corda al collo (andate a guardare L'Ecce Homo di Antonello custodito al Collegio Alberoni di Piacenza).
La vita di Eustochia, proclamata santa da Giovanni Paolo II nel 1988, ci è stata narrata da Suor Jacoba, sua consorella. Anche il suo corpo sta sottovetro nel Monastero (ma non in piedi).
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