STORIA E TRADIZIONI
La storia delle (sfortunate) sorelle Tasca Di Cutò: cinque vite segnate da morti tragiche
Vi raccontiamo le storie di Beatrice, Teresa, Nicoletta, Giulia e Maria e dei loro eredi, dai Piccolo di Calanovella a Tomasi di Lampedusa: gli ultimi "Gattopardi"
Le sorelle Filangeri Tasca di Cutò
La coppia avrà sette figli: Lucio (morto ancora bambino); Beatrice (1870), Teresa (1871), Nicoletta o Nicolina (1872), Alessandro (1874), Giulia (1876) e Maria (1877). Giovanna Filangeri (1850-1891), principessa di Cutò, erede di una famiglia aristocratica che discende da uno dei generali di Roberto il Guiscardo e che ha dato alla Sicilia ben tre vicerè, è stata educata a Parigi ed è proprietaria dell’immenso patrimonio Filangeri, consistente in ville, palazzi, mobili, oggetti preziosi e gioielli.
Lucio Mastrogiovanni Tasca Lanza (1842-1918), secondo conte d’Almerita, appartiene a una nobiltà molto più recente: il padre Lucio Mastrogiovanni Tasca, rampollo di una famiglia di imprenditori originari di Mistretta, ha sposato Beatrice Lanza Branciforte, figlia del principe di Trabia.
A Santa Margherita, Giovanna organizza diverse attività, che cadenzano le lunghe giornate estive, passate in campagna insieme ai figli: colazioni sull’erba, lezioni di cucina, feste in maschera e piccole rappresentazioni teatrali. Le ragazze a Palermo in inverno frequentano le loro coetanee, crescono tra studio, mondanità e frivolezze.
Ad ogni compleanno, fin da piccoli e sino ai diciott’anni, tutti i figli ricevono in dono dalla madre un quaderno da utilizzare come diario. Teresa e Lina nei loro diari riportano le annotazioni di una vita protetta, di esistenze felici anche se poco avventurose e di giornate che si concludono con un "niente di straordinario".
Giovanna si spegnerà nel 1891, appena in tempo per non assistere al declino economico di casa Filangieri Tasca di Cutò e alle morti tragiche che funesteranno la sua famiglia.
Dell’immenso patrimonio Cutò, buona parte è destinata ad Alessandro (1874-1943), il solo figlio maschio, detto il principe rosso, per via della sua militanza nel partito socialista. Alessandro consacrerà la sua esistenza alle sue grandi passioni: la politica, il giornalismo e le belle donne. L'attività politica del Tasca per il partito è fervida e intensa e gli costerà persino la prigione. Il principe conduce un tenore di vita lussuoso, spendendo più di quanto gli consentono le sue rendite.
È stato costituito erede universale, salvo le quote di diritto spettanti alle figlie, dalla madre Giovanna ma poiché Alessandro ha molti debiti, all’insaputa della famiglia svende diverse proprietà, tra cui l’amato palazzo di Santa Margherita Belice.
Negli ultimi anni della sua vita, per riuscire a sopravvivere, riceve aiuti dalle sorelle Teresa e Beatrice e dal nipote Casimiro, che da capo Orlando gli manda del denaro. Il principe rosso muore in miseria a Palermo, nel 1943, sotto un bombardamento americano.
Beatrice, nata nel 1870 e morta nel 1946, è la figlia maggiore e probabilmente la meno sfortunata tra tutte le sorelle. Sposa nel 1891 a Palermo Giulio Tomasi principe di Lampedusa e ha una chiacchierata liaison con Ignazio Florio, marito di Franca. Scrive Costanza Afan de Rivera ne “L’ultima leonessa”: "La famosa collana di perle era giunta a seguito dell’ennesimo adulterio, la lunga relazione segreta con Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò". Beatrice e Giulio Tomasi hanno due figli: Stefania nel 1894 e Giuseppe (che sarà l'autore dei "Racconti" e del "Gattopardo) nel 1896.
Stefania muore nel 1897, a soli tre anni, di difterite, e la madre riverserà tutto il suo affetto sull’unico figlio: il loro diventerà un rapporto simbiotico. Nelle lettere che Beatrice scrive a Giuseppe, ormai cinquantenne, lo chiama addirittura “cara”, al femminile, come se fosse una donna.
"Il loro rapporto fu straordinariamente o forse eccessivamente stretto, persino per la società siciliana dove il legame tra madre e figlio è eccessivamente forte. Beatrice mantenne a lungo un’influenza opprimente, quasi soffocante su Giuseppe, anche dopo che questi si fu sposato a 35 anni.
È bene ricordare che la nascita dell’unico figlio era coincisa con la morte dell’unica figlia ed è probabile che in seguito abbia accomodato i due figli nella mente. Giuseppe divenne l’unico oggetto della sua adorazione, ma può darsi che ai suoi occhi conservasse alcune caratteristiche della sorella. Forse proprio questo spiega perché nelle sue lettere gli si rivolgesse al femminile"(D. Gilmour, L’ultimo Gattopardo).
Nicoletta, chiamata da tutti Lina (1872-1908) prediletta del padre Lucio, è una creatura sensibile, buona e affettuosa, ma la vita le riserverà un tremendo destino. Diventata la moglie del cavaliere Francesco Cianciafara, si trasferisce a Messina, dove nasce suo figlio Filippo. Lina muore il 28 Dicembre 1908, insieme al marito, nel terremoto che rade al suolo la città dello Stretto: i due coniugi vengono ritrovati abbracciati, tra le macerie.
Ne “I racconti” Tomasi di Lampedusa scrive: “Ricordo il dolore di mia madre quando parecchi giorni dopo giunse notizia del ritrovamento del cadavere di sua sorella Lina e del cognato. Vedo mia madre singhiozzare seduta in una grande poltrona nel salone verde…la fine di mia zia Lina morta nel terremoto aprì la serie delle morti tragiche fra le sorelle di mia madre che offrono il campione dei tre generi di morte violenta, la disgrazia (Lina), l’omicidio (Giulia) e il suicidio (Maria)".
Il figlio di Nicoletta, Filippo Cianciafara, grande appassionato di fotografia, nel 1908 riesce incredibilmente a salvarsi, insieme alla macchina fotografica che documenta la sconvolgente esperienza del terremoto in cui sono periti i suoi genitori. Rimasto orfano, va a vivere a Palermo con il nonno Lucio Tasca. Avrà vita lunga e felice.
Teresa (1871-1953), è la più simile alla madre Giovanna: esuberante, orgogliosa e volitiva, la sola tra tutte le sorelle ad essere appassionata ai fornelli. La madre, che è cresciuta a Parigi, le ha trasmesso il suo ricettario e i piatti di Teresa hanno sempre qualcosa di esotico e raffinato.
La ragazza finisce su "Flirt": la rivista indice un concorso tra i lettori per eleggere la fanciulla più bella tra le dame palermitane. A vincere è ovviamente Franca, vengono premiate tuttavia anche Teresa per il suo fascino e Beatrice per il suo naso.
Teresa, che sposa il Barone Piccolo di Calanovella e ha tre figli (Agata Giovanna, Casimiro e Lucio) risulta anche la sorella dal carattere più forte e tenace, mostrando doti di grande resilienza di fronte alla sciagura della fuga del marito (fedifrago e scialacquatore) con una ballerina e di una situazione finanziaria familiare ormai al tracollo.
Alla fine degli anni ’20 la famiglia Piccolo si rifugia a vivere nella dimora di campagna di Capo d’Orlando, lontana da Palermo, dai suoi pettegolezzi, dai suoi giudizi taglienti, dai suoi veleni.
Teresa vivrà in quel felice esilio, protetta dall’umiliazione dei debiti e dell’abbandono del marito, insieme ai figli: Agata Giovanna che governa la casa, parla cinque lingue e ha la passione della botanica e gli stravaganti e geniali Casimiro (il nottambulo che va in cerca di fantasmi) e Lucio (il poeta).
Giulia (1876-1911), nata a Santa Margherita Belice, tra tutte le sorelle Tasca di Cutò è sicuramente la più conosciuta, il suo caso è noto: la bellissima aristocratica, che ha sposato il conte Romualdo Trigona (sindaco di Palermo dal 1909 al 1910) verrà brutalmente uccisa a Roma, con parecchie pugnalate al collo, nell'albergo del Rebecchino di Piazza Stazione, dal proprio amante il Barone Vincenzo Paternò.
Giulia è molto amica di Franca Florio, entrambe sono dame di corte della Regina; così come Romualdo Trigona è uno dei migliori amici di Ignazio Florio. L’ amore clandestino con il barone Vincenzo Paternò del Cugno sboccia quando i due si conoscono una sera del 1909, a un ricevimento dei Florio. La loro è una relazione burrascosa, contrassegnata da litigi violenti e dalla gelosia morbosa del giovane ufficiale.
Tanti sono i pettegolezzi e in questo clima di tensione tra i due amanti, persino la Regina si intromette personalmente nella questione e si trova a insistere: Giulia deve mettere fine a quella relazione e tentare una riconciliazione col marito. Il 2 Marzo 1911 il Paternò e la Trigona si vedono, per un incontro d’addio, in un albergo a poca distanza dalla Stazione.
I due consumano un ultimo amplesso e subito dopo il Paternò accoltella Giulia, uccidendola. Scrive Anna Pomar nel romanzo Franca Florio: “I Florio sono sconvolti, Romualdo e Giulia sono i loro amici più cari e le controversie coniugali della coppia erano state più volte per loro motivo di grande preoccupazione…Ripetutamente Ignazio, sperando di scongiurare la separazione era intervenuto presso Giulia e aveva tentato invano di convincerla a troncare la sua relazione col giovane tenente di cavalleria, che rischiava di comprometterla agli occhi di tutti… La conoscenza tra Vincenzo e Giulia Trigona era avvenuta proprio in casa Florio, durante un ricevimento…Giulia, morta così, barbaramente, senza una ragione, sottratta all’affetto di tanti che le volevano bene, delle sue bambine ancora così piccole…".
L’ufficiale, dopo aver ucciso Giulia, rivolge la pistola contro se stesso e si spara ma non muore, anzi guarisce in fretta. Il 28 Giugno del 1912, rigettata la richiesta di infermità mentale, viene condannato all’ergastolo, dopo un processo di cui avevano parlato tutti i giornali d’Italia, scavando impietosamente nella vita privata dei due amanti.
Maria (1877-1924), la più piccola e la più fragile delle sorelle, resta nubile e vive tra Santa Margherita e Palermo. La sua è un’esistenza molto malinconica e infelice, la ragazza sprofonda nel vortice della morfina, tanto da essere costretta a trascorrere lunghi periodi in una clinica bolognese per disintossicarsi. La sua vita di solitudine ed estrema sofferenza terminerà tragicamente diversi anni dopo, con il suicidio, nel 1924.
Alla generazione delle sorelle Tasca succede la generazione dei loro figli, gli ultimi "Gattopardi": Filippo Cianciafara, Agata Giovanna, Lucio e Casimiro Piccolo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa…Acutissimi ritrattisti, fotografi, narratori…tutti propensi alla solitudine, menti creative e geniali chiuse nel proprio malinconico mondo, nella nostalgia dei tempi perduti, incapaci di adattarsi al presente. Una generazione ferma al secolo precedente.
Scriveva Tomasi di Lampedusa: "Ero un ragazzo cui piaceva la solitudine, cui piaceva di più stare con le cose che con le persone”. E inoltre: “Non siamo gente che lavora, non siamo come gli altri esseri umani, noi: siamo sempre stati gente fuori dal comune, nel bene e nel male…La nostra famiglia ha creduto che ogni cosa le ruotasse intorno, è per questo che facciamo tanta fatica ad adattarci ai tempi nuovi".
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