STORIA E TRADIZIONI
Insulti, sesso, botte da orbi e petardi: com'era un tempo (il folle) Carnevale in Sicilia
Calunnie e dileggi in strada, comportamenti lascivi, sfilate, giostre, gare. Tra il 1500 e il 1800 c'era un mese di eccessi e risate in previsione della Quaresima
Il Carnevale in Sicilia
Un periodo di divertimento sfrenato, in previsione di quello successivo fatto di liturgie e rinunce. Il Carnevale di una volta in Sicilia come in altri luoghi, era clamore, risate, desiderio di trasgredire e rovesciare regole e comportamenti.
Niente a che vedere con il Carnevale di oggi che continua a sopravvivere solo nei piccoli centri che ne conservano tradizione e usi. Solo Venezia tra le grandi città continua a perpetuarne il ricordo, ormai del tutto dimenticato nei grandi centri.
La grande stagione del Carnevale Siciliano abbraccia un periodo che va dal 1500 al 1800, era un evento che si apriva con uno squillo di tromba e richiedeva nella sua preparazione disponibilità, programmazione, impegno e tanto denaro, accompagnato da un’incredibile fantasia.
Tra gli spettacoli più graditi vi erano quelli Cavallereschi con sfilate, giostre, gare cui assistevano “nobili e plebei“. I trionfatori, ricorda un cronista, con mascherina nera di velluto “sfilavano per tutto il Cassaro anche dopo aver cavato un occhio al cavaliere”.
Si ricorda una Galea messa su ruote portata tra le strade di Palermo con tanto di rematori, che andavano ad assaltare un “Castello di Saraceni”.
Il Carnevale era spesso la scusa per portare armi, come uno staffile, uno stiletto o bastoni: “Si menavano botte a destra e a sinistra senza guardare a chi e a come”, spesso sotto la copertura della festa e del mascheramento si potevano impunemente regolare vecchi conti in sospeso.
Ma non solo, il mascheramento consentiva di entrare impunemente nelle case, concedendo quello che “il decoro e la rigidità dei costumi non avrebbero mai consentito”.
Vi furono vari bandi per arginare la violenza, Il Vicerè Ettore Pignatelli Duca di Monteleone nel 1519 proibì ogni arma, pena per chi l’avesse solo tirata fuori, il taglio della mano o in caso di ferimento la condanna a morte.
Un Carnevale senza esclusione di colpi dove persino le donne erano oggetto di attenzione, spesso nascondevano nel corsetto lo stiletto, pronte a passarlo agevolmente al momento più opportuno. Lo stesso mascheramento da donna fu a lungo utilizzato per confondere le guardie.
Si mascheravano tutti compresi, gli ecclesiastici, che così s’intrattenevano in torbidi incontri, frequentavano taverne, e bische.
Dal 500 al 700 vi furono diversi Vescovi che condannarono questi comportamenti scorretti e scurrili. A Monreale, nel 1554 furono previsti due mesi di carcere per i chierici mascherati.
Pene ancora più esemplari a Catania Patti e Cefalù, per gli ecclesiastici mascherati che si dilettavano ad assistere a commedie ritenute oscene, concedendosi persino serenate d’amore presso i balconi di belle ragazze oggetto dei loro desideri.
Dileggio, calunnia facevano parte del divertimento, le imperiture “corna” venivano “ buttate addosso” ai mariti, le cui donne erano per vendetta o anche solo per scherzo ritenute poco oneste.
A Trapani un’intera comitiva di ragazzi girava per i quartieri gridando a voce alta il nome della donna, accompagnandolo da numerosi epiteti e additando al pubblico ludibrio colpe vergognose e infami.
Se grandi carri e costosi mascheramenti era appannaggio dei più ricchi, il popolino si sollazzava schernendo e motteggiando senza alcun ritegno o paura.
Non mancavano la costruzione di petardi da buttare in mezzo alle persone, o gli scherzi, alcuni di questi continuati anche fino alla metà del secolo scorso, come attaccare con mano lesta sulle spalle delle persone, teschi, immagini di animali, titoli ingiuriosi, che provocavano un riso sfrenato.
Il quartiere preferito era il Cassaro e soprattutto via Maqueda chiamata anticamente “Strada Nuova”. C’era inoltre il lancio della Cruscarella, polvere di gesso mescolata a un liquido che spesso non era solo acqua… .
Buttata dalle finestre, non era solo scherzo, ma anche risposta delle donne offese dalle ingiurie. Il gioco di lanciare qualcosa sulle persone, prevedeva anche uova svuotate e ripiene d’inchiostro, petrolio o del solito liquido fisiologico.
Fra questi lanci vi furono anche le arance riempite di crusca e acqua, “prima causa di perdita di qualche occhio o dente”, insuperabili in questa guerra gli abitanti della “ Conzaria” i conciatori ingaggiavano una vera e propria sassaiola, che richiamava persone e carrozze, che assistevano schierandosi a circolo.
Una guerra non a esclusivo appannaggio della Sicilia; in Piemonte a Ivrea è una tradizione ancora viva quella degli aranceri e della guerra delle arance. I rioni si affrontano lanciando dai carri le arance, che possono essere “ arricchite” come quelle in Sicilia.
Il divertimento smodato e dissoluto, ha radici antichissime, è l’andare “oltre” senza freno o norma, un atto liberatorio, che poteva essere raggiunto con qualunque metodo lecito e illecito e che coinvolgeva ogni gradino della scala sociale e ogni età…
Ma tutto aveva un termine: poco dopo la mezzanotte di Martedì, la campana del Duomo di Palermo suonava a morto per un quarto d’ora.
Il mese di eccessi e risate volgeva a termine, le ultime feste sarebbero continuate a casa con grandi abbuffate e bevute.
Qualche ora dopo sarebbero iniziate prediche, espiazioni e digiuni, il Mercoledì delle ceneri con il suo monito “Cenere sei e cenere ritornerai”, cancellava e assolveva ogni eccesso, era la fine del Carnevale e l’inizio alla Quaresima.
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