STORIA E TRADIZIONI
Il suo nome lo sbagli sempre, è vicino a Palermo: la (vera) origine dell'antica torre
Oggi, come nei ricordi di bambino, rimane uno dei luoghi dal quale ammirare uno dei panorami più belli in assoluto. Vi raccontiamo dov'è e la sua storia

La Torre delle Mandre
Questo è il caso della bella Torre Normanna, situata tra Altavilla Milicia e San Nicola L’Arena, che tutti chiamano “Normanna” ma che di normanno non tiene neanche un pilu.
In realtà si chiama Torre delle Mandre e per scoprirne la storia bisogna fare un piccolo salto indietro.
È il maggio del 1547 e nella tiepida Sicilia arriva il nuovo viceré Giovanni De Vega. Si trova a Roma insieme a moglie e figlie, quando gli arriva la chiamata di Carlo V. Già, è a Roma ed è avvezzo ad una strana perversione nei confronti del cattolicesimo riformatore ma soprattutto nei confronti di Sant’Ignazio da Loyola, che ancora è vivo perciò non ancora santo.
A scanso di equivoci, quando si parla di cattolicesimo riformatore e Loyola non si tratta di una qualche sottocategoria di Youporn. Molto più semplicemente, dato che in Europa sta divagando la controriforma di Martin Lutero, il cattolicesimo comprende che è il momento di svecchiarsi, quindi di "riformarsi", ed affida questo compito ad Ignazio da Loyola, nonché inventore dei gesuiti.
Ben consapevole che questo motto è un evergreen, ancor prima di essere messo nero su bianco da Tomasi di Lampedusa, il Vaticano manda in accompagno al viceré un certo Jeronimo Domenéch, gesuita spagnolo, ca manco mette piede a Messina e fonda il secondo collegio gesuitico in Italia, dopo quello di Padova.
Il parrino resta a Messina, mentre Giovanni de Vega si reca a Palermo: è lì che ci sono i problemi da risolvere, è lì che dimorano le rogne. Presa effettivamente carica di viceré e sospinto da venti meloniani, comincia a impostare parenti unniegghiè, tutti impegnati nel creare collegi gesuiti: sua moglie Leonora a Palermo, la figlia a Bivona, il figlio Ferdinando a Catania, mentre quello minore, Assuero (viri fantasia!), a Siracusa dove è per giunta governatore.
Per non farsi sgamare troppo assai, in quel 1547, Giovanni de Vega mette anche la prima pietra per la realizzazione della chiesa Santa Maria dei Miracoli, ancora viva e vegeta a piazza Marina, angolo via Lungarini.
Compresa la maniata, per ingraziarsi il viceré, l’arcivescovo Pietro Tagliavia d’Aragona istituisce dunque una festa per ogni 10 di maggio, concedendo quaranta giorni di indulgenza a chiunque visiti la chiesa in quel giorno.
È un leccarsi a vicenda continuo e perpetuo. L’arcivescovo lecca Giovanni de Vega, che lecca Ignazio da Loyola, che lecca Papa Paolo III per le concessioni, che lecca Carlo V per i piccioli. D’altronde lo sanno tutti: cu avi lingua passa u mari.
A questo punto il lettore potrà legittimamente chiedersi: sì, ma che mi*&%#a c’entra tutto ciò con Torre Normanna? Ebbene, in questo andirivieni di amici di amici, tutti si scordano del problema più grosso che in quel momento sta vessando la Sicilia: i pirati.
Non un pirata qualunque, ma Dragut, erede di Barbarossa, terrone dei sette mari, sparviero delle oloturie, incubo dei pedalò.
È per lui che Giovanni de Vega è stato chiamato in Sicilia da Carlo V. Fiore all’occhiello della flotta ottomana, Dragut fa razzie di navi e galee, rapimenti, stupri, furti e saccheggi di città, con predilizione particolare per le coste siciliane e calabresi. Al solo pronunciare il suo nome la gente trema e De Vega deve assolutamente trovare una soluzione.
Giorno 11 luglio del 1553 Dragut riesce ad espugnare la città di Licata, tendendola sotto assedio per una settimana e commettendo le peggiori nefandezze. È il peggio del peggio, l’ora in cui chiù scuru di menzanotte non può fare, è la goccia che fa traboccare il vaso.
Tuttavia, è anche il punto in cui De Vega dice basta, in cui la tragedia affina l’intelletto, in cui -seppur oramai nonnominkia- il suo passato di condottiero e stratega riaffiora prepotentemente. Prende seri provvedimenti.
È Giovanni Evangelista di Blasi in persona a raccontarcelo: «per difendere il regno dalle subite invasioni fe’ ergere per tutto il nostro littorale delle torri dette di ‘avviso’ con una giusta proporzionata distanza l’una dall’altra.
Furono destinati due uomini in ciascheduna di esse, acciò dormendo l’uno, l’altro vegliasse, con cannocchiali, affine di scuoprire i legni che sono nel mare e le loro qualità. […] Da poi che la prima torre dava segno, era seguita dagli stessi segnali dalla torre più vicina, e così di mano in mano da tutte le altre, in guisa che nello spazio di meno di una ora era tutto il regno avvisato di tutti i legni che erano in mare».
Ora, non per contraddire Di Blasi, ma che tutto il regno fosse avvisato in meno di un’ora a me pare n’a minkiata col botto. Forse si era detto così in campagna elettorale, forse le aspettative verso le telecomunicazioni isolane ai tempi erano alquanto rosee.
Quello che è certo è che i soldati di vedetta venivano forniti di un cannone, magari per intervenire immediatamente, probabilmente per ammazzare la noia con una fumata.
Da allora sono passati quasi cinque secoli e quella torre è ancora là, a latitudine 38.0264° N e longitudine 13.5989° E. Come si chiamasse agli inizi, o se avesse un nome, nessuno lo sa.
Nel tempo ha però finito per essere associata ad altre due torri di vedetta di epoca normanna, molto probabilmente per la sua vicinanza con la Chiesa di Santa Maria di Campogrosso (rovina realmente appartenente all’epoca normanna) e da lì il nome.
Poi, caduta in disuso, come tutti i luoghi dove ci passava qualche pascolo vicino è stata rinomata delle "Mandre".
Oggi, come nei ricordi di bambino, rimane uno dei luoghi dal quale si può ammirare uno dei panorami più belli in assoluto. Papà (e non solo) mi diceva sempre che fosse l’unico posto al mondo in cui potevamo cacare, noi, in testa ai gabbiani.
Ecco, per la cronaca, anche questo è un effetto Mandela. Non è vero, e il parabrezza della mia macchina può confermare….
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