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Il segreto meglio custodito di Palermo: il Pantheon dei grandi siciliani è un museo

Esistono capolavori dentro San Domenico tali da farne un museo di scultura aperto e fruibile in pieno centro: questa è la storia del monumento al generale Di Maria

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 11 settembre 2019

Particolare del monumento al Generale pluridecorato del Primo conflitto mondiale Eugenio DI Maria in San Domenico a Palermo

A Palermo, il Pantheon degli illustri siciliani si trova all'interno della chiesa di San Domenico. Tipico impianto basilicale trinavato a croce latina con cappelle laterali la cui facciata, caratterizzata dal contrasto evidente tra la bicromia alternata della calcarenite ocra e del bianco intonaco, si apre traguardando la colonna dell’Immacolata, sulla piazza tagliata dal ramo primo-novecentesco della via Roma.

L'isolato all'interno del quale essa insiste, è uno dei più estesi del perimetro del centro storico murato, il suo skyline riconoscibile e consolidato, monumentale e visibile per scorci suggestivi come quello dal mercato della Vucciria, caratterizza come fosse un biglietto da visita l'immagine stessa di questo prezioso luogo di culto, straordinario punto notevole della città "tutto porto".

Ma se l'esterno è già di per sé patrimonio culturale acquisito, lo spazio interno e dunque il vero protagonista del luogo di culto, meriterebbe maggiore attenzione mediatica.
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È al suo interno infatti che la basilica dei padri domenicani si apre al mondo in quella duplice veste di accoglienza e confronto in uno slancio estetico di rara armonia che vede grandi scultori come Mario Rutelli, Valerio Villareale, Salvatore Valenti, Domenico Costantino, Benedetto Delisi, Pasquale e Benedetto Civiletti, Giovanni Nicolini, disegnare quella tridimensione fatta di marmo e gesso, che affida il ricordo dei lineamenti degli illustri che hanno fatto la storia a quella sapienza manuale che può restituire solo la grande scultura.

La grande scultura come quella di Cosmo Sorgi, nato a Palermo nel 1898 quando il Novecento irrompe prepotentemente sulla scena globale erodendo spazio e tempo al secolo della Rivoluzione Industriale.

Allievo di Gaetano Geraci e di Ernesto Basile, non ancora diciottenne verrà inviato da parenti a New York dove frequenterà presso la Cooper Union, l’Accademia del nudo sotto la guida dello scultore Bruster.

Tornato in città nel 1919 a guerra finita, sarà ancora allievo di Mario Rutelli diplomandosi proprio in Scultura e abilitandosi all'insegnamento a soli ventitre anni.

Una carriera piena e fulminante quella dello scultore palermitano amico di Michele Dixit ed Eustachio Catalano, che lo vede protagonista nella costruzione del mito del ricordo in onore ai caduti attraverso la stagione prolifica in pieno fascismo, dei monumenti ai caduti della guerra vittoriosa del 1914-18 a Caltanissetta, Favara, Licata, Alimena.

Sarà l'autore della piccola Santa Rosalia a Palazzo delle Aquile (1955), deli volti delle cariatidi della Banca d'Italia (1929), del Cristo risorto con le braccia spalancate nel piazzale del cimitero di Santo Spirito (1938), dell'altorilievo della Scuola Centrale dei Vigili del Fuoco a Roma che per il dinamismo serrato e la narrazione ininterrotta mi ricorda il fregio Wiligelmico della cattedrale romanica di Modena.

Sarà proprio dagli effetti di quella guerra evitata durante il soggiorno americano, che arriverà nel 1929 la commessa che salda il nome di Sorgi al Pantheon palermitano, proprio a ridosso del pilastro sinistro che cinge la cappella laterale dedicata a San Domenico, dove realizza il monumento commemorativo al Generale Eugenio Di Maria medaglia d'oro sul fronte italo-austriaco.

È il figlio Carlo, progettista trasferitosi nella capitale a volere le mani dello scultore modernista per rendere eterno il ricordo del sacrificio paterno, e il risultato è stupefacente.

Basato sulla assoluta simmetria rispetto al piano verticale, impostato su un basamento rivestito da lastre di marmo dal decoro estremamente minimale al centro del quale è posta la nicchia contenente il sarcofago ligneo recante i resti del defunto, spicca sopra un cuscino marmoreo a volute laterali, la figura marmorea dell'uomo disteso su di una composizione cruciforme calibrata su piccoli dislivelli generatori di ombre gravi.

Il volto piegato all'indietro, le mani come le braccia adese al corpo arreso al trapasso, incantano il visitatore rapendo l'attenzione, come tipicamente avviene quando, giunti finalmente in un museo ricco di opere, lo sguardo autonomo del fruitore si posa sapientemente al cospetto di una grande opera d'arte dal respiro superiore alle altre.

Se dovessi azzardare un parallelo stilistico, la scelta cadrebbe immediata sul grande artista simbolista Adolfo Wildt (1868-1931) con cui Sorgi condivide la ricerca di quella spiritualità concessa al mondo solo e soltanto attraverso l'artista "creatore e medium" dell'opera d’arte.

Scriverà Sorgi: "Verso la vita, verso l'arte immortale, Verso Dio, bellezza infinita". Che ci sia una sua opera così indicativa del talento e della sensibilità artistica all'interno di una chiesa cristiana, oltre a non sembrare cosa strana, ci suona quasi familiare e rappresenta la cifra culturale di un fare che oggi appare spento e privo di slancio.

Cosmo Sorgi moriva quarant’anni fa, forse è arrivato il momento di una mostra che ricordi chi, come lui, fu costruttore di bellezza attraverso la memoria così fatta materia.
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