STORIA E TRADIZIONI
I nasi "scugnati" e Diana senza testa: la vita (travagliata) delle statue di piazza Pretoria
Si trovano al centro di Palermo e sono sopravvissute a guerre, bombe, atti di vandalismo e sfregi di ogni tipo. La storia avventurosa dell'opera di Camilliani
La Fontana della Vergogna a piazza Pretoria a Palermo
"Chianu di la curti il popolino chiama Piazza Pretoria, come si diceva fino al 1860, o del Municipio" (Pitrè). Il piano della Corte era dunque la magnifica piazza realizzata dal senato palermitano tra il 1570 e il 1572, diroccando alcune case, per fare posto a una “Fonte stupendissima che non ha pari in Fiorenza, nè forse in Italia” (Vasari).
La costosissima fontana in marmo bianco di Carrara e pietra grigia di Billiemi, con vasche, gradini, balaustre, putti, statue allegoriche e teste di animali e mostri, giunse in Sicilia nel 1574, smontata in 644 pezzi. Francesco Camilliani aveva realizzato l’opera nel 1554, per il giardino dell’aristocratico spagnolo Don Luigi Alvarez Toledo a Firenze.
Spinto dai debiti ed in procinto di spostarsi a Napoli, don Luigi, grazie al fratello don García, era riuscito nel 1573 a vendere la fontana alla città di Palermo, per una cifra esorbitante (Mortillaro). Camillo Camilliani (figlio di Francesco) si occupò dei lavori di riposizionamento della fontana e del suo adattamento alla piazza.
Le fasi di montaggio si rivelarono complesse e durarono più di un decennio, concludendosi solo nel 1581. Fu chiesto dal senato, al poeta Antonio Veneziano, di scrivere un lungo commento relativo alla fontana ("Discorso sopra le statue della fontana pretoria di Palermo").
Veneziano reinterpretando in chiave panormita le statue di divinità mitologiche (Ercole, Euterpe, Opi, Venere, Adone, Cerere, Demetra ecc.), 2 rappresentò la celebrazione della civitas palermitana, il suo legame con la Roma pagana e il riscatto della città nei confronti dell’assolutismo religioso.
Sulla stessa scia di Veneziano, Baronio Manfredi scrisse un commento sugli animali reali e fantastici della fontana e nel 1709 l’erudito padre Biagio di Benedetto, crocifero, scrisse "Fontaneo", un nuovo commento denso di motivi esotici ed esoterici. A guardare con attenzione si nota che a molte statue della fontana è stato “riattaccato” il naso: si racconta che i Messinesi deturparono il monumento in segno di sfregio nei confronti dei Palermitani, nel periodo dell’accesa lotta tra le due città per il ruolo di capitale dell’isola.
“E qui non vada senza ricordo la famosa Fontana Pretoria di Palermo, le cui statue di uomini rappresentano tutte i nasi mutilati per opera, fu detto e scritto, dei Messinesi nel sec. XVII per vendetta della rottura che i palermitani sarebbero andati a fare al pollice, al medio e all’anulare della statua di Nettuno a Messina" (Pitre’).
Il proposito di vendetta dei messinesi era motivato dunque dal fatto che i palermitani avevano rotto una volta durante la notte, il primo, il terzo e il quinto dito della statua del Nettuno di Messina: la mano mutilata faceva il gesto delle corna, un chiaro insulto che nessun siciliano vorrebbe mai ricevere.
Gli abitanti della città dello Stretto avrebbero ricambiato l’offesa tagliando il naso alle statue di Palermo, perché quella era l’infamante punizione inflitta alle mogli adultere e ai mariti ruffiani.
Leggiamo direttamente dalle pagine del Pitrè: “In tempi meno belli per la Sicilia, quando Palermo e Messina si bisticciavano per ragione di capitale e non capitale, i palermitani spinsero l’odio loro fino a recarsi a Messina, a rompere nottetempo il primo, il terzo e il quinto dito della statua del Gigante o Nettuno di quella città.
L’ingiuria fu sanguinosa ed i messinesi se la legarono al dito. Un bel giorno le statue della Fontana Pretoria si videro quasi tutte senza nasi. Che è e che non è? I messinesi erano venuti alla sordina a render pariglia a’ palermitani; sicchè a vedere il Nettuno di Messina e le statue di Palermo, i palermitani eran mezzani ed i messinesi i becchi.
Queste delizie in pieno secolo XVII! Intanto se le dita furon sostituite al Gigante, non lo furono i nasi alle statue di Palermo, le quali anzi duraron tanto e rimasero tale spettacolo che per esse nacque una frase divenuta proverbiale, dopo il desiderato risarcimento dei nasi amputati; frase che si ripete quando si vede una persona senza naso, brutta o di dubbia vita: Pari chidda di lu chianu di la curti!... La mancanza del naso…dà ragione all’ingiuria: senza-nasu, marianu, ruffianu.
Questa ingiuria…ci richiama a una delle costituzioni di Guglielmo II il Normanno, la quale minacciava l’amputazione del naso a mezzo di illeciti amori … Quando s’ha a nominare un mezzano …si accosta l’indice al naso come per reciderlo col polpastrello: gesto poco lusinghiero per chi ne è l’argomento… …l’amputazione del naso pei mezzani è rimasta solamente nel nostro gesto siciliano, e la persona senza naso dà luogo a motteggi e commenti sfavorevoli. …” (Pitrè).
Al di là di questo racconto, sospeso quasi tra storia e leggenda, bisogna precisare che le statue nel corso dei secoli sono state spesso danneggiate. La vicenda dei restauri della fontana si intrecciano con la sua stessa storia; infatti già all’arrivo da Firenze si resero necessari dei lavori: “vi erano statue ed altre cose rotte, scollate".
Bisogna giungere al 1656, per avere notizia di nuovi restauri e delle spese che il senato sostenne per far ripulire e “acconciare” la fontana “deturpata e guasta in alcune parti da gente malevola” (Lo Presti).
Forse in seguito allo sfregio dei Messinesi? Anche nel gennaio del 1718, Gioacchino Vitagliano riceveva l'incarico di "acconciare alcune parti nel fonte", cioè di rifare alcune parti minori delle statue (dita, nasi) e riparare balaustre. Un intervento di restauro della Fontana Pretoria è attestato nel 1737, a causa dello stato di degrado in cui si trovava il monumento: "Per essersi tutti i marmi non solo denigrati, ma incrostati dall’acqua e dalla polvere".
Venne posta una recinzione con 4 inferriata intorno al monumento e si stabilì che i fiorai si spostassero dalla parte della Chiesa di San Giuseppe. La mole dei lavori, la cui entità fu notevole e comportò persino lo smontaggio dei singoli pezzi e il rifacimento di alcune parti, per la spesa di onze 1008.28.13, giustificò l'impiego di artisti di un certo livello, quali lo scultore Giovan Battista Marino.
Nel 1763, sotto la direzione dell'architetto Nicolò Palma, lo scultore Ignazio Marabitti eseguì alcuni rifacimenti, ovviamente "in stile", che si limitarono a parti di secondaria importanza e non alterarono il generale aspetto dell'insieme. Il principe di Galati, pretore di Palermo nel 1858 fece restaurare nuovamente le sculture, affidandone l'incarico allo scultore Rosolino La Barbera.
In tale occasione fu pure rimossa l'inferriata, sostituita l'anno seguente con un'altra disegnata da G. B. Filippo Basile. Intorno al 1864 la fontana si ritrovò al centro di un problema urbanistico: la ristrutturazione di tutta la piazza in conseguenza dell'abbassamento della via Maqueda.
Tra le ipotesi formulate per la non facile risoluzione del problema ci fu persino quella di trasportare la fontana in un luogo ritenuto più idoneo, ovvero Piazza della Vittoria.
Infine si stabilì di creare un’ampia scalinata come raccordo tra via Maqueda e Piazza Pretoria. Anche nel 1933 qualcuno suggerì di trasportare il monumento in piazza Castelnuovo, ma la proposta non ebbe seguito.
Giungiamo così all'immediato dopoguerra, per ritrovare la fontana alle prese con un restauro a seguito dei danneggiamenti delle statue, delle gradinate e dello stelo centrale nei bombardamenti del 29 e 30 giugno 1943, nonostante le precauzioni prese in precedenza.
In un primo tempo la Soprintendenza ai Monumenti intervenne, con fondi del governo militare alleato, per riparare i danni più urgenti e per tutelare la generale stabilità del monumento: il restauro di statue mutilate e il rifacimento di tratti di gradinata e di balaustra costarono Lire 119.864. (Scaturro).
I restauri veri e propri si svolsero parecchi anni dopo, a cominciare dal 1958.
Ciò che si salvò dalle bombe non ebbe purtroppo possibilità di salvezza con i ladri: nella notte tra il 24 e il 25 agosto 1975 avvenne il furto delle teste di Diana e della Venere Verticordia.
Al progetto del Municipio, di procedere con un ripristino in stile, la Soprintendenza dava parere negativo e il suggerimento di rifare, in nome di un'interpretazione più corretta della Carta del Restauro del 1972, le sole "parti accessorie della statua di Diana" e "quelle essenziali per motivi statici della statua di Venere " cadeva nel vuoto: ancora oggi, a distanza di quasi 50 anni, la statua è purtroppo acefala.
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