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Ha il nome di un fiore, è fritta e ha 120 anni: come nacque l'amore tra l'Iris e Palermo

La storia di un dolce tra i più lussuriosi e apprezzati in Sicilia si intreccia con l'Oriente, Pietro Mascagni e un pasticcere seduto a 15 repliche del teatro Massimo

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 27 marzo 2025

È una storia di gente che si intrippa male, quella dell’iris: Il croccante del fritto, il soffice della pasta, la ricotta dolce e calda che esplode in bocca. Ma come si fa a resistere? Il primo morso - proprio come il primo bacio - non si scorda mai e quando la si gusta si ha impressione di avere un’opera di Mascagni in Bocca.

“L’opera di Mascagni in bocca? Ta putievi niesciri n’avutra!” E invece si, signori miei, Mascagni ci sta quanto ci sta la ricotta di pecora e l’olio per friggere.

Ma facciamo un passo indietro… . È il 1901, il teatro Massimo è stato inaugurato da quattro anni, è stato realizzato il primo tratto di via Roma (sarà terminata nel 1936 con Piazza Giulio Cesare), e passeggiando per Palermo si possono incontrare per strada Giuseppe Pitré, Ernesto Basile, Luigi Natoli, Padre Giovanni Messina e altri. Proprio in quell’anno il livornese Pietro Mascagni, già autore di Cavalleria Rusticana, porta a Palermo l’opera Iris.

Dici: "ma che c’entra il nome di un fiore (che in greco significa arcobaleno) con la rosticceria fritta? C’entra, eccome se c’entra, anche se non ci appizza niente! In quegli anni i fighetti di tutta Europa si erano un po’ intrippati male con tutte queste cose che venivano dall’oriente (vedi fenomeno sushi oggi).

Per non restare indietro, o per dimostrare che “se la fidava” pure lui, Pitrino Mascagni decide, sotto proposta del librettista Luigi Illica che gli mangiava il cervello, di tentare questa scommessa. Si, ma di cosa parla? Iris di Mascagni è una bella figghia, con un padre cieco, ma un po’ abbabbasunata, perché vive felice e briosa facendo quello che le passa per la testa e senza mai accorgersi che le strade (non solo di Palermo) sono piene di mommi.

Questo suo viver brioso un bel giorno attira le attenzioni del nobile Osaka, che appena la vede annorba della bella e si intrippa male pure lui. Ora, questo Osaka era del lontano oriente, tuttavia forse doveva avere un antenato siciliano perché pensa bene di attirare la bella Iris tramite un teatrino ambulante di pupi e rapirla (pupi giapponesi si intende).

コルトとメゾごとに!!! “p’un cuinnutu, un cuinnutu e mienzu”, dice Osaka in giapponese, e con Iris tra le braccia decide di farla vastasa.

A quel punto con le peggio intenzioni la conduce nello Yoshiwara, secondo la cultura giapponese un luogo di perdizione che per noi sarebbe su per giù come la Favorita dei tempi d’oro. Iris non è solo abbabbasonata, è stonata completa, infatti nonostante il rapimento e lo Yoshiwara crede ancora di sognare o di essere in paradiso.

Per grazia divina, proprio mentre Osaka è bello e pronto a calarle il polpo, la ragazza si spaventa e fugge via. E siccome si chiude una porta e si apre un portone, Iris finisce nelle mani di Kioto, un tenutario di case “chiuse”, che ci vede del talento e decide di portarla in una di queste case.

Sarà proprio dentro una di queste che Iris verrà beccata da suo padre, che evidentemente era cieco ma il gusto per le cose belle però lo teneva.

Distrutta e affranta dal dolore e dalla vergogna, Iris porrà fine alla sua esistenza gettandosi da un baratro. Morirà così, baciata da un raggio di sole che la trasformerà in un fiore.

Sempre nel 1901, sempre a Palermo, al numero 148 di via Roma, ci sta ci sta un pasticcere che si chiama Antonino Lo Verso, e che per caso si trova a vedere la prima di Iris e al teatro Massimo di cui si intrippa malissimo, tant’è che guarda tutte e quindici le rappresentazioni.

Infilato bene nella borghesia, e già nominato cavaliere del lavoro da Vittorio Emanuele III, decide alla serata di gala conclusiva di presentare in onore dell’opera di Mascagni un nuovo dolce, presso la sua pasticceria, a cui darà proprio lo stesso nome.

Dopo il primo morso è già amore folle tra l’iris di Lo Verso e i palermitani, che si intripperanno malissimo e la incoroneranno regina della rosticceria dolce palermitana.

Sono passati più di 120 anni da quel giorno, e nonostante le diete, il diabete, le intolleranze, quando un palermitano si trova di fronte una iris esclama sempre la stessa cosa: コルトとメゾごとに!!!
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