ITINERARI E LUOGHI
È il terrazzo magico di Sicilia: l'incontro con il pastore "architetto" del Teatro Andromeda
Lorenzo Reina, l’ideatore visionario, il costruttore del meraviglioso Teatro di Santo Stefano Quisquina. Un sogno celebrato anche dalla rivista National Geographic
Il Teatro di Andromeda a Santo Stefano Quisquina (Agrigento)
Un sogno, una sfida, una vittoria riconosciuta e celebrata anche dalla prestigiosa rivista National Geographic che ne parla nel secondo numero del 2020 annoverandola tra le meraviglie del nostro pianeta e indicandola come meta turistica di notevole pregio per l’impatto emozionale che la sua visione suscita nel visitatore.
Una costruzione ardita, interamente calata nel paesaggio che l’accoglie e la circonda fino a diventare essa stessa parte integrante dell’ecosistema senza soluzione di continuità. Posta poco distante dalla ridente cittadina di Santo Stefano di Quisquina, tra i monti Sicani ad un’altezza di circa mille metri dal livello del mare, assicura a chi sale lassù la vista di un panorama mozzafiato, ricco di simboli che si richiamano all’infinito.
Un terrazzo naturale che guarda alle stelle e al panorama circostante e riempie gli occhi e gli animi di ammirato stupore per tanta bellezza.
Gli occhi di Lorenzo brillano di orgoglio quando mi racconta la sua storia. Egli è riuscito in un’impresa che tutti ritenevano impossibile. Un ragazzo costretto ad abbandonare gli studi per fare il pastore e contribuire al mantenimento della sua famiglia, ma non che smette di coltivare i suoi sogni e così, con grandi sacrifici, mettendo da parte soldo su soldo, inizia la costruzione del teatro Andromeda.
Pietra su pietra, il sogno diventa realtà.
E nasce il teatro all’aperto dedicato alla costellazione di Andromeda, una tra le principali costellazioni dello zodiaco nell’infinita Via Lattea, distante da noi circa 88 anni luce, che rimanda all’infelice storia della principessa incatenata allo scoglio dal padre, il crudele Cefeo, re d’Etiopia.
Egli, per placare l’ira di Poseidone, che era stato offeso dalla moglie Cassiopea, offre la figlia Andromeda in pasto alla famelica Balena Ceto ma verrà salvata dall’eroe Perseo che di lei si era infatuato. Un mito che mi ha sempre affascinata perché racconta la storia di una giovane donna, vittima di violenza da parte di un sistema sociale sicuramente misogino ma dove infine a prevalere sarà l’amore!
E che cosa sarebbe questo teatro se non un’autentica dichiarazione d’amore verso le donne e verso l’intero universo? Sì! Ma anche un atto d’amore verso la sua terra, la Sicilia a cui Lorenzo è profondamente legato.
Una risposta a chi ci accusa di immobilismo creativo: le nostre opere d’arte, teatri e anfiteatri, ville e monumenti, chiese e castelli risalgono infatti ad epoche lontane, antiche vestigia di un glorioso passato.
Ed ecco che il Teatro Andromeda, di recentissima costruzione, è la risposta migliore a tale accusa che, si deve ammettere, non manca di un certo fondamento.
Nel parco sono state sistemate alcune originali sculture, opera dello stesso Lorenzo Reina che richiamano non soltanto la cultura panellenica in cui la Sicilia è immersa ma anche quella precolombiana. Viene così donato al visitatore un effetto di magica suggestione che emoziona e travolge tra il naturale gioco della luce del sole e delle stelle che, per parafrasare il noto romanzo di Joseph Cronin, look down.
In tale simbologia trovano spiegazione le 108 pietre, tante quante sono le stelle della costellazione di Andromeda, che fungono da sedili mentre al centro del palcoscenico, dove si sono esibiti già tanti artisti, spicca il punto centrale della scena, “ l’omphalos, attorno a cui, come l’ombelico del mondo, sembra girare l’universo.
Ed è inevitabile per me, essere immersa in quel mare di cui parlava Giacomo Leopardi nella sua celeberrima poesia, composta tra il 1818 il 1819, di cui riporto i versi che meglio di qualsiasi altra descrizione, raccontano le mie emozioni: "L’Infinito".
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella,
e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo,
ove per poco il cor non si spaura.
E come il vento odo stormir tra queste piante,
io quello infinito silenzio a questa voce vo’ comparando:
e mi sovvien l’eterno e le morti stagioni,
e la presente e viva, e il suon di lei.
Così tra questa immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce il questo mare.
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