STORIA E TRADIZIONI
Dall'abito porpora al saio francescano: le "mode" di Santa Rosalia, la diva di Palermo
Dopo la scoperta delle sue ossa iniziò una ricerca negli archivi e nei documenti noti e meno noti per tracciare le fasi salienti della sua "breve" esistenza
La statua di Santa Rosalia del 399° Festino (Foto di Rossella Puccio)
Si iniziò dunque una forsennata ricerca negli archivi e nei documenti noti e meno noti per tracciare quantomeno le fasi salienti della sua "breve" esistenza.
Per la verità già prima della scoperta delle sacre ossa di Rosalia qualcuno si era accinto a scrivere della vergine romita.
«Soli cinque scrissero di s. Rosalia prima del 1624, cioè Valerio Rossi nel 1590, Filippo Paruta nel 1609, Simone Parisi e Bologna, barone di Melocca, nel 1610, Vincenzo La Farina, barone di Aspromonte, nel 1620, e certo prima di questa epoca scrissene pure il Gaetani».
Quello che interessava sapere, prima del 1624, è che «la Santa era vergine, romita e palermitana; era "una delle serve della regina Margherita"; era già in qualche modo associata alla protezione contro la peste; su Monte Pellegrino erano vissuti gruppi eremitici degli ordini poveri; le ricerche del corpo della Santa avevano preso impulso dall'iniziativa di una donna travestita in abiti da monaco eremita, detta Angelo».
In sostanza, dopo il 1625 e dopo gli eventi miracolosi legati alla Santa, i quali nulla hanno a che vedere con la sfera politica di quegli anni, l'immagine di Santa Rosalia fu strumentalizzata per fini propagandistici.
Ma soltanto dopo e non durante gli anni immediatamente prossimi alla scoperta delle ossa, ciò è evidente anche dalla riluttanza del Cardinale di Palermo, Giannettino Doria, a voler riconoscere pubblicamente le ossa come reliquie di Santa Rosalia.
Un altro tema molto discusso nell'ambito degli studi rosaliani è quello dell'iconografia di Santa Rosalia, ancor di più adesso, in seguito ad una nuova e importante scoperta avvenuta nella biblioteca di Palazzo Branciforte a Palermo da parte dei professori Maria Concetta Di Natale e Sergio Intorre.
Si tratta una rara incisione del 1629 attribuita al pittore fiammingo Antoon Van Dyck, di cui dirò dopo.
Stando alle fonti in nostro possesso, l'immagine più antica che possediamo di Santa Rosalia, con tutte le riserve del caso, è raffigurata nella cosiddetta "tabula marturanensis" che secondo Giordano Cascini risaliva a poco dopo la morte della santa (1170 ca.) ed era venerata già nel 1194 dentro la chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio (Martorana).
Oggi si conserva presso il Museo Diocesano di Palermo. Recenti studi tuttavia la datano nella seconda metà del XIII secolo.
La tavola in stile bizantino presenta su un fondo oro quattro figure di santi.
La principale tra queste figure posta in basso al centro è quella di Santa Oliva, vergine Palermitana in abito monacale e con croce in mano, fiancheggiata da due ulivi stilizzati. Sopra di lei sono schierati in ordine da sinistra a destra San Elia, Santa Venera e la nostra "Rusalia".
L'immagine ieratica della santa risulta essere quella di una monaca eremita basiliana di rito greco che secondo la tradizione, ma senza prove certe, avrebbe ereditato la sua educazione monacale al monastero basiliano del SS. Salvatore di Palermo.
Rosalia indossa un abito di porpora e regge il crocifisso patriarcale con la mano sinistra.
Con siffatte sembianze vi sono altre importanti opere che raffigurano Santa Rosalia, ad esempio la statuetta d'argento posta in cima all'urna reliquiaria della cattedrale, alcune incisioni del XVII secolo e almeno due dipinti dei quali uno si trova nella cappella dedicata a Santa Rosalia della Chiesa del Gesù (Casa Professa) e l'altro al Museo Diocesano.
Dopo il 1624, la "moda" di Rosalia si va perfezionando, cambia abiti e appartenenze a seconda di chi scrive la sua agiografia, attribuendone la paternità all'ordine religioso di riferimento o al gusto dei committenti dei libri, soventemente illustrati, o delle opere d'arte, in ogni caso con un preciso scopo autoreferenziale.
Oltre che monaca basiliana, quindi, la vediamo indossare i panni di una monaca benedettina, o più semplicemente indossare il saio dei francescani. Tra il XVI e il XVII secolo una comunità di francescani dell'ordine dei minori si era trasferita sul Monte Pellegrino, alcuni di loro furono tra i primi ad effettuare le ricerche delle sante ossa di Rosalia.
Proprio il saio dei francescani diverrà l'abito più diffuso nell'iconografia rosaliana.
Assieme al vestito compaiono di volta in volta altri simboli interessanti che Rosalia porterà con sé quasi sempre: la rosa e il giglio ("Rosalia" deriva dai termini latini "rosa" e "lilium"), il crocifisso (Rosalia è sposa di Cristo), il bastone (simbolo di eremitaggio) il rosario (simbolo mariano) il libro sacro (obbedienza alla Chiesa), il teschio (simbolo della mortalità e della vittoria di essa).
Ma Rosalia a Palermo non abbraccerà soltanto la sfera religiosa, all'occorrenza diventerà emblema di tutta la città, prima giganteggiando su di essa come liberatrice, trionfante sul male, sino ad identificarsi completamente con essa e ad essere la sua promotrice brandendo vessilli con la pianta topografica di Palermo.
Dalla seconda metà del Seicento l'iconografia di Rosalia sarà accompagnata dall'aquila simbolo del Senato palermitano e della città al contempo. Infine Rosalia regala una nuova vita ad un altro simbolo cittadino, rimasto nella penombra fino a quel tempo, si tratta del Genio di Palermo, divinità pagana e nume tutelare della città.
I due diventeranno simboli inseparabili della "magnificenza" di Palermo, specialmente durante i festeggiamenti in ricordo della liberazione dalla peste, e mentre Rosalia rimarrà tra le nuvole sorretta da putti in volo, Panormos, il Genio, sarà ai suoi piedi a ringraziarla e venerarla.
È lei la vera "diva" della città.
Tornando alla recente scoperta dell'incisione, il disegno della quale è stato attribuito ad Antoon Van Dyck, già autore a Palermo della meravigliosa crocifissione con teschio di Palazzo Alliata di Villafranca a piazza Bologni, nonché di tele raffiguranti Santa Rosalia in estasi, va notato che Rosalia è raffigurata in un contesto boschivo, genuflessa e in estasi mentre rivolge gli occhi al cielo.
Con la mano destra tocca una collana avvolta nel suo collo mentre sembra che le stia per cadere. La collana rimanderebbe alla corona di un rosario per via dei grani di cui è formata ma non si vede la croce, elemento mancante nell'intera raffigurazione.
In basso a sinistra si vede una corona ducale posta per terra al contrario e un monile che serpeggia vicino la corona, questi due simboli potrebbero rimandare al Genio di Palermo e quindi alla città. Seguono altri oggetti non facilmente riconoscibili ma indubbiamente preziosi.
Per ultimo, ma non è elemento secondario, l'abito da nobildonna rabescato che Rosalia indossa sembrerebbe avvertirci che nel momento in cui Rosalia è ritratta nell'incisione non avrebbe ancora abbandonato la sua vita di corte.
In conclusione, affascinati o meno dal culto della nostra santa patrona, non finiremo mai di dire "Viva Palermu e Santa Rusulia!".
(Per approfondimenti confronta Il Restauro della tavola antiquissima di Santa Rosalia del Museo Diocesano di Palermo di Giovanni Travagliato e Mauro Sebastianelli; La Patrona contesa. L’iconografia di Santa rosalia e le dispute della committenza religiosa a Palermo da Van dyck a de Matteis di Pierfrancesco Palazzotto; Scoperta a Palermo una rarissima incisione su disegno di Van Dyck, articolo del GDS del 22 febbraio 2024)
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