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Ci passi sempre e non sai che la chiamavano così: dov'è a Palermo "Villa Cuppinu"

Un tempo quando non si sapeva più dove sbattere la testa al muro, non rimaneva che andare in questo luogo oggi molto frequentato dai palermitani. La sua storia

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 8 dicembre 2024

La fontana di Villa Bonanno senz'acqua (foto di Anna Brisciano)

A Palermo, quando non si sapeva più dove sbattere la testa al muro, non rimaneva che andare a villa Cuppinu. Questo però noi alle scuole medie non potevamo saperlo.

Ogni tanto al professore Terranova gli acchiappava la fantasia del compito in classe: oggi tema!. Traccia: Rifugio dalla città. Riflettendo sul ritmo frenetico dei centri abitati moderni, presentati e descrivi le sensazioni che ti richiama alla mente la parola "villa".

Svolgimento: "Mi chiamo Carollo Claudio ma tutti mi chiamano Carollo ebbasta. Quando non vengo a scuola vendo i CD a' mercatino co' mio patre, Carollo Vincenzo, figlio di Carollo Giuseppe, che vendeva cassette della musica pure lui a' mercatino. Un giorno è accapitato che mio patre stava vendendo le cassette di Claudio Villa, e nel mentre che abbanniava "accattate'Villa, accattate'Villa!", ha passato mia matre, ancora picciotta schietta, si sono innammorati e se ne hanno fujuto. Per questo motivo mi hanno chiamato Claudio, come a Claudio Villa".
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Svoglimento: "Sono Antonio Maniscalco, e quando sento la parola villa penso al paese di Villabate. Mio nonno dalla parte di mia madre è nato a Villabate, ma pure quello dalla parte di mio padre è nato a Villabate. Pure i padri e le madri dei miei nonni, sia dalla parte di mio padre che dalla parte di mia madre, sono nati a Villabate.

I miei zii anche, nati a Villabate, e pure i miei cugggini, tutti nati a Villabate. Mia madre a Villabate, mio padre a Villabate. Anche io sono nato a Villabate. Mia sorella più grande a Villabate, mio fratello quello il grande a Villabate. Poi è nata mi sorella più nica, ci hanno fatto i' sfratto, ci siamo trasferiti a Palermo e finìu Villabate".

Svolgimento: "Di Bella Paternò Rosaria, anni tredici ma sembrano quattordici. Capelli neri lisci, occhi verdi. Quando io sento la parola villa, penso a via Villagrazia, dove abitavamo prima. Poi a papà l'hanno fatto quadro della banca e ci siamo spostati in via Marchese di Villabianca. Ogni anno, papà, quando finisce la scuola, ci porta a tutti in villeggiatura in giro per l'Italia, ma a mammà ci siddìa perché si deve vedere le telenovelas.

Di posti che hanno la "villa" nel nome ne ho visti assai, piedi piedi: Francavilla sicula, Villa San Giovanni in Calabria, Villa Castelli in Puglia. E poi, ancora, salendo salendo: Villa D'agri, Villa Adriana, Villa Fastigi, Villa Umbra, Villa Bartolomea e un sacco di altre Villa. Questo però è stato l'ultimo anno, dice mammà, perchè il prossimo anno ci affittiamo la Villa a mare con la televisione e vafanculo a papà".

Ecco, questi sono alcuni esempi, ma quando il professore Terranova comprendeva che del tema non ne avevamo capito un beato Karamazov, prima ci stracazziava per tutte le ruote, poi, da fan di San Tommaso, ci faceva fare una gitarella cittadina, perché per comprendere certe cose bisognava toccare con mano.

Nel tragitto, ci raccontò che anticamente Palermo era ricchissima di giardini e ville bellissime, ma nel tempo era stata svilita da gente nemica della bellezza e violentata dal cemento. Quelle ville, quelle rimaste, diceva il professore, erano come delle oasi nel deserto, come i silenzi tra una nota e l'altra che danno senso alla musica.

Quel giorno specifico decise di portarci in una di queste, dimenticata da quasi tutti i palermitani, chiamata: villa Cuppinu. "Professò, ma quale villa Cuppinu, chista è villa Moranno..." "Sè, villa di to' nanno!" Effettivamente il compagno Carollo tutti i torti non li aveva.

Quella in cui ci trovavamo era una villa familiare un po' a tutti, solo che si chiamava villa Bonanno. Ex piano del Palazzo Reale, poi piazza Vittoria, situata nel cuore del centro storico, tra la Questura, il Museo diocesano, Palazzo Sclafani, a due passi dalla Cattedrale, fu trasformata in villa nel 1905 dall'architetto Giuseppe Damiani Almeyda.

Quello che molti non sapevano o che ricordavano in pochi è che, dopo poco più di un quarantennio, nonostante ufficialmente si chiamasse villa Bonanno, i palermitani cominciarono a chiamarala villa Cuppinu. No, non si erano rincoglioniti dall'oggi al domani; molto semplimente ci colpava la guerra appena terminata.

Erano stati giorni bui, non perché a Palermo avevano staccato la luce, ma perché le colonne di fumo delle bombe avevano coperto quel sole spavaldo e raggiante. Una volta dissipate, avevano lasciato posto solo a macerie e devastazione. Tempi di grande povertà, tempi quando c'era pititto assai. Come si fa in questi casi? "Oggi ci penso io", dice il proverbio, rumani ci pensa Dio" .

E così fu veramente, perché la Curia palermitana, per fronteggiare la carestia, mise a disposizione quel poco che era rimasto e cominciò ad organizzare un banchetto quotidiano, proprio a villa Bonanno, con l'intento di sfamare i più disgraziati. Niente di speciale, per carità, un grande pentolone con della semplice minestra senza troppo pretese.

Ad ognuno, quelli che arrivavano in tempo, ne toccava un cuppinu, che da noi, oltre ad essere il mestolo, è anche un'unità di misura, quella che non ti sazia ma che non toglie nemmeno dignità alla persona.

Da quei tempi tristi, per i palermitani che ne hanno ricordo, villa Bonanno è rimasta villa Cuppinu, un luogo in cui giace l'ultima speranza, un modo di dire quando si è arrivati all'ultima spiaggia.

Tutta quella passeggiata, ma soprattuto quella storia, forse per contrapposizione, ci aveva stimolato una certa fame. Nessuno ebbe il coraggio di proferire parola, solo Carollo si svelò. "Professò, mi scordai i piccioli a casa. Cheffà, me la offre un'arancina?" "Carò, per quanto mi arriguarda ti ni po' iri a villa Cuppinu...".
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