STORIA E TRADIZIONI
Chi era il "Principe Rosso" di Palermo: amava il lusso ma aiutava poveri e oppressi
Vi raccontiamo la storia di Alessandro Tasca Filangeri Principe di Cutò, zio del futuro autore del "Gattopardo" e che a Palermo abbracciò la causa socialista
Alessandro Tasca Filangeri, Principe di Cutò con le sorelle Beatrice, Teresa, Nicoletta, Giulia e Maria
Così scriveva Alessandro Tasca Filangeri, Principe di Cutò, una delle figure più interessanti – e più discusse - dell’aristocrazia palermitana della Belle Epoque.
Alessandro nacque nel 1874. «Fu un siciliano eccessivo, capace di ispirare intensi sentimenti, profonde simpatie o accese antipatie», afferma una delle sue discendenti, Beatrice Feo Filangeri.
«Crebbe come tanti aristocratici siciliani in una gabbia dorata - spiega -. Da ragazzo fu uno spirito ribelle, un giovane allegro e scapestrato a cui si perdonava tutto, forse persino con troppa indulgenza; ma era difficile arrabbiarsi con Alessandro, era ironico, brillante, scherzava sempre con tutti, era impossibile non volergli bene».
L’unico fratello, Lucio, si spense in giovane età, ma Alessandro ebbe 5 amatissime sorelle: Beatrice, Teresa, Nicoletta, Giulia e Maria.
Beatrice, nel 1891 sposò Giulio Tomasi, Principe di Lampedusa: la coppia ebbe due figli Stefania, spirata a solo 3 anni e Giuseppe (futuro autore del "Gattopardo").
Nicoletta fu data in moglie al Cavaliere Francesco Cianciafara: entrambi i coniugi persero la vita nel catastrofico terremoto di Messina del 28 dicembre 1908.
Teresa fu impalmata dal Barone Piccolo di Capo d'Orlando, che molti anni dopo l’avrebbe abbandonata, lasciando lei e i tre figli con molti debiti. Giulia andò a nozze con il Conte Romualdo Trigona; visse a Roma dove fu dama di corte della Regina Elena.
Venne brutalmente assassinata nel 1911, in uno squallido alberghetto di Piazza Stazione in Roma, dal proprio amante, il giovane Barone Vincenzo Paternò.
Maria rimase nubile e morì a soli 47 anni.
Da giovane Alessandro viaggiò molto attraverso l’Europa, soggiornando spesso a Parigi e si dedicò presto all’impegno politico, interessandosi ai problemi dei lavoratori.
In Sicilia abbracciò la causa socialista, seguendo le idee e le iniziative di Napoleone Colajanni, leader del partito.
Nella Palermo dei primi del ‘900 Alessandro si propose di denunciare e combattere clientelismi, continui episodi di corruzione, speculazioni, intrecci tra gruppi affaristici e potere politico.
Nell’aprile del 1898, a soli 24 anni, dopo aver fondato due giornali, "Il Gibus" e "Il Siciliano", diede vita anche al settimanale "La Battaglia" (destinato a diventare l’organo ufficiale del partito socialista a Palermo), su cui scriveva articoli al vetriolo, schierandosi apertamente contro i potenti.
Il suo spirito battagliero non gli attirava certo molte simpatie: il principe criticava e metteva alla berlina anche personaggi in vista, ponendosi a difesa del bene comune e del buongoverno nella pubblica amministrazione.
I suoi articoli non sembrano invecchiati, nonostante sia trascorso oltre un secolo da quando furono scritti: terribilmente attuale sembra il riferimento alla "tristissima mancanza di coraggio civile" dei siciliani, "all’incapacità morale delle classi dirigenti" spesso colluse con la criminalità.
Le campagne di stampa del settimanale erano sferzanti: nel luglio 1901 Alessandro ad esempio prendeva di mira la "setta angelica", formata da diversi preti di Alia e Cammarata, che segretamente avevano rapporti carnali con le proprie parrocchiane.
Nei suoi maliziosi resoconti giornalistici la penna di Alessandro indugiava su piccanti dettagli che facevano triplicare le vendite del giornale, nonostante le proteste della Curia palermitana che invano ammoniva i fedeli: "A leggere La Battaglia si cade in peccato mortale!".
Nel 1902 alcuni articoli costarono ad Alessandro Tasca una denuncia e una condanna a diversi mesi di galera, per avere diffamato il senatore Paternò, ex sindaco di Palermo, accusandolo di corruzione e di avere gestito l'amministrazione cittadina in modo non corretto, con sperpero di denaro pubblico.
La sera del 5 marzo, mentre era in carrozza, il principe fu fermato nell’affollata via Maqueda: la platealità dell’arresto era stata ideata dai suoi detrattori politici, per screditarne la figura. Manifestazioni di solidarietà si levarono invece dal mondo politico, intellettuale, studentesco.
Ogni pomeriggio diversi lavoratori andavano a passeggiare sotto la sua finestra, nel carcere dell’Ucciardone, in segno di solidarietà. Alessandro, da sempre amante del lusso, si era fatto assegnare tre celle comunicanti, arredandole con tappeti, dipinti e tende provenienti dal proprio palazzo di famiglia. La scarcerazione fu festeggiata dall'Unione Operaia con un sontuoso banchetto in onore del principe.
Solo dopo l’uscita dal penitenziario palermitano, l'inchiesta nata per verificare le accuse che Alessandro Tasca aveva mosso contro il senatore Paternò si concluse, dando ragione al giornalista e decretando il conseguente scioglimento del Consiglio comunale di Palermo.
Nel 1903 Alessandro sposò Marie Thérèse Zakrzewska (chiamata affettuosamente Ama) da cui avrebbe avuto due figli: Gioia ed Alessandro.
Il principe era molto generoso con i poveri e gli oppressi, spendeva senza pensieri, ma nonostante la sua costante attenzione per i deboli amava la vita aristocratica, frequentava i circoli, fra cui il Bellini di Palermo e fu tra i primi ad acquistare in Sicilia un’automobile elettrica.
La sua doppia natura di facoltoso nobile e di convinto militante socialista gli valse l'appellativo di Principe Rosso.
Nel 1906 fu eletto deputato in Parlamento, vi sarebbe restato per due legislature, battendosi per la questione meridionale, per l’affermazione dei diritti dei lavoratori del Sud, sempre comunque piuttosto emarginato per il suo spirito ribelle e contro corrente.
Dopo l'iniziale entusiasmo per la corrente massimalista, si avvicinò alle idee riformiste.
Negli stessi anni aderì alla Massoneria di Palazzo Giustiniani, ma la sua vera dimensione era quella siciliana. Il vizio del gioco, la passione per la causa politica e per le belle donne, i finanziamenti a periodici e quotidiani, gli aiuti ai più indigenti lo portarono a dilapidare l’enorme fortuna che aveva ereditato.
Dalla madre, Principessa Giovanna, era stato costituito erede universale di tutta la proprietà, salvo le quote di diritto spettanti a quattro figlie: Beatrice, Nicoletta, Giulia e Maria e al marito superstite Conte Lucio Tasca. Alessandro fu costretto a svendere all’insaputa della famiglia anche il palazzo di Santa Margherita di Belice, descritto da Tomasi di Lampedusa, come dimora amata dei ricordi d’infanzia.
Si ridusse così in miseria, negli ultimi anni della sua vita, affrontati comunque con grandissima dignità: le sorelle Beatrice e Teresa gli pagavano l’affitto e gli davano un po’ di denaro per le piccole necessità quotidiane.
Spesso, nell'indifferenza generale da parte di quelli del suo ceto, ad aiutarlo erano proprio coloro che gli erano rimasti riconoscenti, per il bene che aveva fatto quando era ancora famoso e ricco: il sarto, l’oste, il panettiere, il calzolaio.
Alessandro Tasca di Cutò morì nel 1943.
Soltanto nell' aprile del 2007, con la collaborazione di alcuni esponenti della cultura siciliana è stata costituita a Palermo da Bent Parodi l'associazione Alessandro Tasca Filangeri di Cutò.
«Alessandro e le sue sorelle, i cugini Lucio, Agata e Casimiro Piccolo, Giuseppe Tomasi…sono stati dei privilegiati ma anche delle grandi menti in ambiti diversi», conclude Beatrice Feo Filangieri.
«La memoria di questi miei avi è sempre presente nella mia vita, negli oggetti tramandati, nella ricerca dei luoghi da loro amati; ma l’eredità più importante resta sempre l’educazione e i valori che mi hanno trasmesso».
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