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"Burdunaru, tistetta e pudìa": le parole in dialetto siciliano che dicono solo gli anziani

Il punto è che questa lingua, per antichi retaggi culturali e stereotipi lontani da ogni logica, non viene più studiata e approfondita e molti dei termini stanno scomparendo

Balarm
La redazione
  • 31 ottobre 2021

Quante volte vi sarà capitato, girando tra borghi e mercati, di sentire parole per voi incomprensibili?

Spesso infatti, soprattutto parlando con gli anziani - coloro i quali custodiscono fedelmente gli antichi saperi, soprattutto quelli legati alla lingua - ci vengono riferiti termini per noi incomprensibili.

E non c’è neanche da stupirsi perché, come più volte è stato sottolineato, anche nella cronaca di questi giorni, il dialetto siciliano è una lingua a tutti gli effetti con sfaccettature profonde, legate alle dominazioni e alle influenze culturali che si sono susseguite nei secoli.

Il punto è che questa lingua, per antichi retaggi culturali e stereotipi lontani da ogni logica, non viene più studiata e approfondita e molti dei termini stanno scomparendo, risultando incomprensibili.

Ciò che più frequentemente accade è che nei decenni queste parole vengano anche storpiate e tramandate erroneamente. Per non parlare dei casi in cui, emigrando, i siciliani hanno imbastardito la lingua.
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Oggi il siciliano è parlato da circa 5 milioni di persone in Sicilia, oltre che da un numero imprecisato di emigrati o discendenti di emigrati delle aree geografiche in cui è madrelingua, in particolare quelle che si sono trasferite negli Stati Uniti, in Canada, in Australia, in Argentina, in Uruguay, in Venezuela, in Belgio, in Germania e nella parte meridionale della Francia.

Tornando a queste parole che appartengono alla tradizione e che molti non conoscono, vogliamo condividerne alcune con voi.

Chi di voi ha mai sentito nominare la “tistetta”? In effetti questo è pure un termine tecnico che potrebbe, anche per questo motivo, non essere conosciuto. Nella fattispecie si tratta di un grosso mattone utilizzato per costruire.

E se vi chiedessero come si chiamava anticamente l’orlo dei vestiti? Vi aiutiamo e vi suggeriamo che si chiama “pudìa.

Rimanendo in ambito di vestiario, sapreste dire cosa è il “paltò”? È il termine, di derivazione spagnola, che indicava il cappotto.

E così via: il “burdunaru” sarebbe il mulattiere e il “custureri” il sarto.

Questi sono solo alcuni esempi ma siamo sicuri che ciascuno di noi ha nel proprio bagaglio culturale spunti simili che custodiamo nella nostra memoria.
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