"Burdunaru, tistetta e pudìa": le parole in dialetto siciliano che dicono solo gli anziani
Il punto è che questa lingua, per antichi retaggi culturali e stereotipi lontani da ogni logica, non viene più studiata e approfondita e molti dei termini stanno scomparendo

Quante volte vi sarà capitato, girando tra borghi e mercati, di sentire parole per voi incomprensibili?
Spesso infatti, soprattutto parlando con gli anziani - coloro i quali custodiscono fedelmente gli antichi saperi, soprattutto quelli legati alla lingua - ci vengono riferiti termini per noi incomprensibili.
E non c’è neanche da stupirsi perché, come più volte è stato sottolineato, anche nella cronaca di questi giorni, il dialetto siciliano è una lingua a tutti gli effetti con sfaccettature profonde, legate alle dominazioni e alle influenze culturali che si sono susseguite nei secoli.
Il punto è che questa lingua, per antichi retaggi culturali e stereotipi lontani da ogni logica, non viene più studiata e approfondita e molti dei termini stanno scomparendo, risultando incomprensibili.
Ciò che più frequentemente accade è che nei decenni queste parole vengano anche storpiate e tramandate erroneamente. Per non parlare dei casi in cui, emigrando, i siciliani hanno imbastardito la lingua.
Oggi il siciliano è parlato da circa 5 milioni di persone in Sicilia, oltre che da un numero imprecisato di emigrati o discendenti di emigrati delle aree geografiche in cui è madrelingua, in particolare quelle che si sono trasferite negli Stati Uniti, in Canada, in Australia, in Argentina, in Uruguay, in Venezuela, in Belgio, in Germania e nella parte meridionale della Francia.
Tornando a queste parole che appartengono alla tradizione e che molti non conoscono, vogliamo condividerne alcune con voi.
Chi di voi ha mai sentito nominare la “tistetta”? In effetti questo è pure un termine tecnico che potrebbe, anche per questo motivo, non essere conosciuto. Nella fattispecie si tratta di un grosso mattone utilizzato per costruire.
E se vi chiedessero come si chiamava anticamente l’orlo dei vestiti? Vi aiutiamo e vi suggeriamo che si chiama “pudìa.
Rimanendo in ambito di vestiario, sapreste dire cosa è il “paltò”? È il termine, di derivazione spagnola, che indicava il cappotto.
E così via: il “burdunaru” sarebbe il mulattiere e il “custureri” il sarto.
Questi sono solo alcuni esempi ma siamo sicuri che ciascuno di noi ha nel proprio bagaglio culturale spunti simili che custodiamo nella nostra memoria.
Spesso infatti, soprattutto parlando con gli anziani - coloro i quali custodiscono fedelmente gli antichi saperi, soprattutto quelli legati alla lingua - ci vengono riferiti termini per noi incomprensibili.
E non c’è neanche da stupirsi perché, come più volte è stato sottolineato, anche nella cronaca di questi giorni, il dialetto siciliano è una lingua a tutti gli effetti con sfaccettature profonde, legate alle dominazioni e alle influenze culturali che si sono susseguite nei secoli.
Il punto è che questa lingua, per antichi retaggi culturali e stereotipi lontani da ogni logica, non viene più studiata e approfondita e molti dei termini stanno scomparendo, risultando incomprensibili.
Ciò che più frequentemente accade è che nei decenni queste parole vengano anche storpiate e tramandate erroneamente. Per non parlare dei casi in cui, emigrando, i siciliani hanno imbastardito la lingua.
Oggi il siciliano è parlato da circa 5 milioni di persone in Sicilia, oltre che da un numero imprecisato di emigrati o discendenti di emigrati delle aree geografiche in cui è madrelingua, in particolare quelle che si sono trasferite negli Stati Uniti, in Canada, in Australia, in Argentina, in Uruguay, in Venezuela, in Belgio, in Germania e nella parte meridionale della Francia.
Tornando a queste parole che appartengono alla tradizione e che molti non conoscono, vogliamo condividerne alcune con voi.
Chi di voi ha mai sentito nominare la “tistetta”? In effetti questo è pure un termine tecnico che potrebbe, anche per questo motivo, non essere conosciuto. Nella fattispecie si tratta di un grosso mattone utilizzato per costruire.
E se vi chiedessero come si chiamava anticamente l’orlo dei vestiti? Vi aiutiamo e vi suggeriamo che si chiama “pudìa.
Rimanendo in ambito di vestiario, sapreste dire cosa è il “paltò”? È il termine, di derivazione spagnola, che indicava il cappotto.
E così via: il “burdunaru” sarebbe il mulattiere e il “custureri” il sarto.
Questi sono solo alcuni esempi ma siamo sicuri che ciascuno di noi ha nel proprio bagaglio culturale spunti simili che custodiamo nella nostra memoria.
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