STORIA E TRADIZIONI
A Palermo i morti "uscivano" dal convento dei Cappuccini: il lato oscuro del 2 novembre
Il lato "horror" della festa che celebra il culto dei morti, una scusa per i genitori per fare un esame di coscienza ai figli, per riconoscere le monellerie e le mancanze
Alcune delle mummie conservate ai Cappuccini (Palermo)
Trascorsa la notte, al risveglio saltando giù dal letto ,si lanciavano alla ricerca dei doni recitando una preghiera, ricordata Pitrè: "Armi santi, armi santi, io sugnu uno e vuatri siti tanti, mentre sugnu ‘ntra stu munnu, di guaii, cosi di morti mittitinimi assai".
Questa festa tipicamente siciliana aveva anticamente regole e riti precisi. Si riteneva che i morti uscissero dai conventi dei Cappuccini, una volta i cimiteri erano là, mettendosi in processione per entrare in città. La tradizione raccontava che i morti seguissero un ordine: per primi coloro che erano deceduti di morte naturale, poi i giustiziati, i morti per morte accidentale, poi quelli per disgrazia , i morti "all’improvviso", ed altri ancora.
I genitori si preoccupavano di far superare un esame di coscienza ai figli, che dovevano riconoscere eventuali monellerie e mancanze. In questa messinscena famigliare non mancavano racconti e descrizioni, in alcuni casi i morti avevano una tunica bianca, in altri un lenzuolo.
Su come facessero a entrare nelle abitazioni vi erano alcune teorie fantasiose da parte dei piccoli :alcuni pensavano che penetrassero attraverso i muri, altri che diventati magicamente piccoli come formiche, passassero sotto finestre o porte. Chiaramente la gioia di trovare i doni, non poneva il problema su come facessero a entrare Pupaccene, giocattoli, vestiario e dolci che non potevano rimpicciolirsi o diventare evanescenti.
Sappiamo oggi che questa festa così articolata è rimasta come testimonianza di costume, soppiantata dalla festa di Halloween dove la differenza ,oltre l’aspetto macabro, è nello stravolgimento del messaggio, sono i bambini a mascherarsi per tenere lontano i morti in un giorno che secondo le tradizioni celtiche, creava un pericoloso contatto tra mondo terreno e ultraterreno, e dove i più fragili erano quelli a rischio.
Buttitta diceva che i bambini sono coloro che non hanno superato i riti di passaggi dell’età adulta, rimanendo sospesi tra natura e cultura, tra vita e morte. Punti di contatto più significativi si possono trovare con la festa Messicana del Dia de los Muertos, festa piena di suoni allegria e colori.
Nella settima del Los Muertos, adulti e bambini si vestono con costumi sgargianti, truccandosi da teschi. Vengono preparati dolci come il pan de muertos, crani di zucchero, il tutto accompagnato da canti e musica.
Nel 2019 venne promosso un convegno a Palermo mettendo a confronto analogie e differenze, con rappresentanti degli organizzatori della festa Messicana diventata Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. Questo fa riflettere su come queste tre feste legate alla morte racchiudano un comune messaggio: il ricordo dei defunti ed il timore della morte. Le feste di Ognissanti e dei Defunti furono istituite da Papa Bonifacio IV alla fine del sesto secolo, e Papa Gregorio IV decise che fossero festeggiate il 1 e 2 novembre.
Sappiamo che Il Cristianesimo più popolare aveva contribuito a diffondere la credenza che i morti tornassero in visita come fantasmi o nel caso di anime dannate sotto le sembianze di gatti neri, streghe o demoni. Lo scopo era provocare una netta cesura tra regno dei vivi e quello dei morti, accompagnato dal timore di trovarsi nel momento dell’’estremo passaggio in una condizione di peccato.
Quest’aspetto oscuro e spaventoso che ritroviamo nella festa di Halloween è stato in questi giorni oggetto d’invettiva da parte di un sacerdote lombardo che ha invitato i propri fedeli a non mascherare i bambini, e a portarli al cimitero per partecipare ai riti funebri, considerando la giornata del 31, il Capodanno del Satanismo.
Qualcosa che ricorda quelle forme di cristianesimo popolare. Lugubri processioni di morte erano in uso dal medioevo in poi . Una di queste feste è stata ritrovata in Sicilia. Sotto la regia di un prelato, fu organizzata nel febbraio del 1563 a Palermo, una Processione che fu equiparata ad una spettacolare Danza Macabra. La "festa" si svolgeva di notte con la città illuminata solo da fiaccole. Usciti dal Collegio dei Gesuiti, 60 uomini aprivano il corteo, seguiti da una banda, dalla bara del Crocifisso e da 12 uomini a cavallo di ronzini macilenti, identificati come i servitori della morte.
Chiudeva la processione, la Morte vittoriosa, con falce, picconi e pale, su un carro trainato da bovini neri, condotti da un anziano. Ai lati 15 persone incatenate che rappresentavano, pontefici, principi e poveri. Non avendo alcuna vicinanza con le festività pasquale, questa processione era una rappresentazione che aveva come scopo spaventare e ricordare al vivo l’ineluttabile destino.
Ritornando a quella che è stata una festa identitaria per la Sicilia, non si può ignorare l’elemento magico, Yeats diceva: “il mondo è pieno di cose magiche, pazientemente in attesa che i nostri sensi si acuiscano" e sicuramente in questa festa ,come nelle altre, i sensi sono grandemente sollecitati dal mistero della morte, che porta con sé orrore e domande senza risposta.
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