MISTERI E LEGGENDE
Voci e strani odori nel borgo (siciliano) dei 14 marchesi: il mistero dei cugini fantasma
Gli storici narrano di aver individuato i fantasmi dei giovani fino agli anni Sessanta, quando si è verificato un evento di pacificazione tra le loro anime e i loro spettri
La facciata di Palazzo Corvaja a Mongiuffi Melia (Messina)
Jolanda Barrile era l’erede del marchese Tommaso tiranno e sanguinario a Mongiuffi Melia, paese sul versante sud di Messina: la sua unica colpa è stata quella di innamorarsi del cugino Mario di primo grado 14enne, pur essendo stata promessa in moglie ad un signorotto di Taormina.
Gli storici e la collettività del luogo narrano di aver individuato i fantasmi di entrambi i giovani sicuramente fino agli anni Sessanta, quando si è verificato un evento di pacificazione tra le loro anime e i loro spettri.
Ma qualcuno ha continuato ad avvistarli fino al 2000, insieme alla presenza di voci, lamenti, luci e cattivi odori, nonostante la finestra fosse murata, fino a quando la residenza aristocratica non è diventata un palacongressi di proprietà del Comune.
A consentire l’apertura di quel varco infestato dove ha sempre fatto capolino “l’inquilina eterea” Jolanda è stato lo storico del paese, Giovanni Curcuruto, che 41 anni fa (dal 1985) è stato assessore comunale alla Cultura, Turismo e Spettacolo e ha mediato con le Belle Arti illustrando l’attendibilità dell’argomento.
L’appartenenza alla nobiltà ha sempre destato un po’ di curiosità o addirittura invidia da parte di chi non ha potuto permettersi una vita tra lauti pranzi e cene super sontuose con ospiti ammessi solo se dello stesso lignaggio o dello stesso ceto sociale e tra balli di corte e etichette di comportamento rigidissime.
Ma l’esteriorità dello sfarzo ha spesso celato una realtà di infelicità nei rapporti umani proprio tra i nobili congiunti in mezzo a tradimenti, disobbedienze e, nei casi limite, persino ferocia.
Il primo marchese della dinastia è stato il napoletano Giuseppe Barrile, insediatosi nel 1643, comprando il titolo di Marchese di Mongiuffi e Barone di Melia che poi sono stati riuniti in un’unica attribuzione come Marchesato da Antonio (il nipote).
Già Senatore di Messina, Giuseppe si è fatto conoscere per cultura e sagacia, è stato un habitué delle passeggiate a cavallo e ha sempre indossato una parrucca con un copricapo vistoso perché calvo.
Alla sua scomparsa nel 1660, la successione è toccata al figlio Giovanni Maria che si è distinto perché ha amato moltissimo l’agricoltura donando appezzamenti agli “pseudo coloni” ed è deceduto nel 1666.
Il 17 dicembre di quest’ultimo anno, è Tommaso a prendere il posto del fratello Giovanni Maria. Il nuovo marchese è quello che ha istituito lo Ius primae noctis (ovvero il diritto del marchese di consumare la notte con le giovani appena sposate) e che si è macchiato di diversi delitti come sanciscono i fatti trasmessi per iscritto, tra cui quello della figlia Jolanda.
In quel periodo, sono stati gli alti casati a comandare e non sono esistiti per esempio l’arresto o punizioni, malgrado i reati efferati.
La fanciulla di sangue blu che è stata merce di scambio per un matrimonio combinato, vista l’usanza comune nel XVII secolo, non ha rinunciato a frequentare di nascosto il cugino Mario e a soddisfare gli amorosi sensi adolescenziali.
Il padre è stato allertato, come nelle migliori drammaturgie, dalla servitù o dal prete del luogo perciò, un giorno rincasato prima del solito, ha beccato in flagrante la coppia innamorata l’uno nelle braccia dell’altro o, secondo lui, le serpi in seno.
Questo siparietto non ha potuto lasciare impassibile un uomo così spietato che ha pugnalato figlia e nipote e li ha fatti gettare fuori dalla finestra e nel giardino antistante alla dimora. I corpi sono stati sepolti nelle Officine del Palazzo, dove Jolanda e compagno però non hanno raggiunto la tregua con il mondo terreno.
I fantasmi di chi ha violato i propositi e il patto di famiglia (secondo l’opinione del marchese Tommaso) hanno vagato per circa tre secoli in quell’edificio che, a tutt’oggi, è denominato Palazzo Corvaja, serbando la memoria di uno dei suoi proprietari più generosi e benvoluti dal popolo.
Non solo omicida, Tommaso, a differenza del fratello, ha disprezzato i contadini ed ha esercitato la sua autorità con i soprusi: il reclutamento del personale per il lavoro dei campi è avvenuto senza pagarlo e senza rispettarlo.
Quando ha saputo che il fantasma della sua figliola con l’altro traditore è apparso ai contadini, si è scatenato un certo subbuglio al punto che nessuno avrebbe voluto più prestare servizio.
Così, il marchese ha fatto serrare la finestra con mattoni, pietre e calce che è rimasta interdetta fino agli interventi di ristrutturazione di un ventennio fa.
Un altro passaggio di boa per questa vicenda intrisa di mistero è stato il 1960, quando sono stati effettuati degli scavi nello scantinato e da lì è affiorata la tomba unica dei ragazzi, dove hanno riposato abbracciati e con abiti eleganti per tutto quel tempo dal giorno del delitto.
Le salme sono risultate inspiegabilmente ben conservate e, non appena si è precipitato il fotografo dell’epoca con l’apertura totale del feretro, hanno preso aria e si sono polverizzate. Le ceneri sono state trasferite al cimitero dove sono state richiuse in un’altra tomba a due.
Da quel momento, le dicerie di avvistamento sui fantasmi sembrano affievolirsi anche se la suggestione ha pervaso soprattutto la gioventù che si è sempre recata sotto quella finestra, spargendo la voce eclatante: “Ho visto la marchesina, ho visto la marchesina!”.
D’altronde, lo stesso storico Curcuruto ammette che l’attrattiva, anche da ragazzino, verso quel sito e la tragica fine della coppia in amore è stata enorme e qualche visita al palazzo insieme ai suoi amici non è mai mancata. Con la scomparsa del truce Tommaso nel 1685, è stata la volta del figlio Antonio che ha sposato Bianca Parisi e dopo circa un anno di nozze è morto forse per la peste.
Qui, è entrata in gioco la famosa stirpe dei Corvaja perché Bianca si è unita in matrimonio nel 1686 con Pancrazio Corvaja, un discendente di Taormina che ha elargito una grande quantità di bene alla comunità realizzando strade, fontane e servizi e istituendo il Palio dove i contadini gareggiavano con i taorminesi altolocati.
Da allora, il Palazzo ha acquisito il suo cognome. Alla sua morte nel 1710, gli è subentrata la figlia Nicolina che è convolata a nozze con Francesco Rao di cui si sa poco. Dopo di lui, il figlio Mario Rao che ha sperperato denaro con abbuffate e feste (1725-1752) ed è stato sepolto nella Cattedrale di Taormina.
L’erede più in vista che gli è succeduto è un altro Francesco Rao Corvaja, definito “Il buono” e deceduto a 44 anni nel 1768. Ha avuto due figli forse gemelli che hanno perso la vita giovanissimi e le loro lapidi giacciono nella Chiesa Madre di Melia.
Di lui si racconta che si è preso cura degli agricoltori, facendo anche inviti nella propria casa durante le festività e regali ai poveri; durante la trebbiatura, ha condiviso i viveri con i lavoratori e con profusione, oltre a divertirsi e cantare e bere con loro. Il figlio Mario ha rappresentato una comparsata di nobiltà perché fugacemente ha traslocato a Messina, dove ha esaurito la sua esistenza nel 1801.
Il Marchesato è colato a picco con la cattiva gestione del figlio (l’ennesimo Francesco) passando poi per i coniugi Giovanna Rao Corvaja e Silvestro D’Auria in Loffredo (dopo l’investitura del titolo di Marchese) che è stato anche sindaco di Messina dove entrambi hanno vissuto.
Saltata una generazione con Giuseppe perché sacerdote, il titolo è spettato a Gaetano Loffredo nel 1903 che non è mai arrivato a Melia ed è rimasto a Messina città con i suoi affari da parlamentare delegando suo nipote Vincenzo Loffredo Calcagno. Da tale Loffredo il passo è breve alla nipote Donna Flavia Rao Corvaja che ha venduto in diversi round le due metà dell’edificio al Maestro Leonardo Cuzari, che era falegname.
Tramite il secondo ed ultimo Cuzari (nipote del primo) che ha ricoperto il ruolo di Podestà, è stato possibile ricostruire gli accadimenti e l’albero genealogico della gamma privilegiata.
Gli ultimi marchesi si sono indebitati e non hanno avuto nulla da mangiare perché non hanno potuto più pretendere dai contadini che hanno faticato e barattato il proprio cibo con le terre dei potenti.
Palazzo Corvaja dagli anni 2000 è stato molto modificato e forse anche per questo motivo i segnali di una casa infestata sembrano dileguati.
Curcuruto è convinto che l’anima di Jolanda abbia smesso di camminare nella dimensione terrena da quando il corpo è stato collocato al cimitero, ma questo non spiegherebbe perché altra gente abbia visto o pensato di scorgere in quell’abitazione, dopo gli anni Sessanta fino al 2000, la ragazza nella sua veste bianca.
In base a quello che si evince da questa materia, le anime non si fanno più sentire quando i corpi riposano in pace e non ci sono più situazioni in sospeso nella vita.
Il primo marchese Barrile ha chiamato la sua residenza “castello” per ragioni di ostentazione tanto che nel profilo architettonico ha avuto sul tetto la raffigurazione dei merli che sono stati rimossi dalla Sovrintendenza ai Beni culturali rovinando di fatto quella magnificenza.
Il palazzo è stato depredato dal 1980 al 2000 perché conteneva quadri pregiati, un pianoforte, decorazioni, botole dove sono stai nascosti dei tesori. È stato convertito, oltre a Palazzo dei Congressi, anche in Museo di arte contadina, al pian terreno c’è una sala conferenze e riunioni richiesta in maggior misura da associazioni e poi, a fianco di questo locale, c’è un altro vano che corrisponde alla biblioteca comunale con l’utilizzo del wi-fi.
La struttura, a 200 metri dal palazzo del Comune, consiste di due piani: pian terreno (che nell’epoca signorile era la cantina dove si conservano le botti e dove sono state rinvenute ossa umane, forse dei contadini che scomparivano) e piano rialzato con tre balconcini, che sporgono sulla piazza San Sebastiano; da uno di questi, il marchese di turno porgeva il suo saluto.
Ci sono tre ingressi per il Palazzo, superando un cancelletto (entrata principale) con una scalinata che dà sull’attuale via Umberto, nonché via Grande durante il Marchesato. Alle spalle di questo prospetto, c’è la strada che corrisponde alla finestra dei fantasmi con una facciata ormai rifatta, una seconda finestra e un altro balcone.
Di rilievo una chiesa annessa che è stata di proprietà del marchesato, ora dedicata a San Sebastiano protettore di Melia, dove si celebra la messa quasi ogni sera. A quel tempo, è stata la chiesa gentilizia di questa aristocrazia, adiacente alla dimora e a cui si è potuto accedere mediante una passerella esterna (di un metro e mezzo/due metri) collegata alla cantoria per ascoltare la funzione dall’alto e scongiurare la promiscuità con il popolo posizionato al di sotto.
Questa chiesa ha al suo interno anche una cappella privata, di cui resiste solo la statua di San Giuseppe che il primo marchese Barrile ha fatto erigere. Le prime tombe risiedono in questo spazio ma non si vedono più. Altre sono seppellite nella Chiesa Madre ovvero la Chiesa di San Nicolò di Bari nel cuore del paese.
Pare che altre siano finite a Taormina mentre Loffredo, anche per la sua salma, ha scelto Messina città. La casa nobiliare nel suo più alto fulgore è stata circondata da un vasto giardino di limoni, sostituito dall’agglomerato urbano del paese.
Nel giardino, si ricorda pure una bella fontana chiamata “Rizza” che è stata demolita. Sopra di essa, è stata allestita inizialmente la scuderia per i cavalli con lo stemma dei Corvaja sulla porta, poi edificata un’altra abitazione mentre l’acqua è stata incanalata.
Oltre alla peculiarità dei 14 marchesi e dei suoi “fantasmi per amore”, Mongiuffi Melia è formata da due borghi che si aprono sulla Valle del Ghiodaro, incuneata dal fiume omonimo che offre cascate e colori che virano al rosso per alcuni minerali delle rocce.
Quest’area verde tra vigneti e uliveti è immensamente spirituale con tre santuari (in onore della Santissima Vergine, di particolare interesse Santuario della Madonna della Catena alle pendici del Monte Kalfa) e percorsi mariani che sono destinati a rientrare nel Patrimonio dell’Umanità, coinvolgendo la platea del pellegrinaggio.
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