STORIA E TRADIZIONI
Vino dalle fontane e alberi da frutto nei saloni: le feste dei nobili nella Sicilia del '700
In un'epoca di lusso sfrenato e pubblica ostentazione, curiosare tra abitudini e stili di vita dei nostri antenati ci fa scoprire dettagli impensabili e ameni
La sala degli Specchi di villa Palagonia
La parola d'ordine è: festa! Perché l’esigenza impellente da parte della classe nobiliare, non solo della capitale ma anche all’interno dell'isola, è quella di acquisire visibilità sociale, sinonimo di potere e prestigio.
A cominciare dai palazzi: situati sempre sulle vie principali, costruiti con magnificenza e, soprattutto, dotati di un ingresso “ufficiale" per le carrozze.
Perché i Siciliani avevano una vera passione per le carrozze (status-symbol dell'epoca) ma ovviamente solo la nobiltà poteva permettersele. Basti sapere che il principe di Biscari a Catania se ne era fatta inviare una da Livorno! In carrozza dunque si andava alle feste mentre per i trasporti in strade non carrozzabili c'erano le portantine e di sera, quando i portantini accompagnavano a veglie e festini le dame, venivano scortati da sei o otto paggi che reggevano torce accese.
Ma torniamo al palazzo. All'ingresso, ampie e scenografiche scalinate doppie introducono al piano nobile, ai grandi saloni da ballo, a sale da pranzo riccamente decorate e arredate con lunghe tavole ricoperte da tovagliati preziosi di raso o damasco, drappeggiati fino al pavimento. Il salone principale di Villa Palagonia, a Bagheria, ha il soffitto ricoperto da specchi, in modo da rimandare infinite volte il riflesso degli ospiti presenti nella sala, cosicché durante i balli si aveva l'impressione che altri invitati assistessero alla festa, osservando dall'alto.
Il ballo, oltre ad essere puro divertimento, rivestiva una importante funzione aggregante (e spesso complice di sentimenti tra i due sessi) e il minuetto, il più diffuso, si può considerare espressione della società di allora per il suo cerimoniale di figure che ben rappresentavano il modo d'essere pomposo e artefatto dell’aristocrazia settecentesca.
Anche gli abiti sontuosi costituiscono un linguaggio in codice: non più ricchezza ma lusso, non più gusto del bello ma sfarzo. Re della festa è il banchetto dove la creazione di strutture effimere, ovvero costruite in funzione dell' occasione, è motivata dalla pubblica ostentazione.
Al centro del grande tavolo troneggiano scenografici “trionfi” fatti di uccelli impagliati, specchi, statuette, lunghi spiedi (hatelets) su cui si montano tartufi, gamberi, ostriche e maestosi supporti di pergamena (socles, zoccoli) per le pietanze e ancora pupi di zucchero (pupaccena); il coreografico “servizio alla francese", in cui i cibi sono disposti tutti contemporaneamente su prezioso vasellame in oro e argento, completa l'opulenza della tavola.
Non a caso nasce nel periodo barocco la figura dell'allestitore di banchetti (antesignano dell’odierno wedding planner!) che si occupa di rendere piacevole e ricercata la degustazione dei cibi: tutto deve parlare di ricchezza. Le smanie di sfoggio della classe nobiliare siciliana si esprimono in un lusso esagerato, legato al sogno della magnificenza, a una “ vetrina" fatta di arte, di esibizionismo, che però nasconde anche il timore di perdere potere e privilegi.
Qualche esempio tra i molti: sotto il governo del Vicerè Eustachio de Laviefuille a Palermo si viveva in continua festa: nel 1747 si festeggiò l’arrivo in città di Luigi Reggio e Branciforte, principe di Campofiorito; poi è la volta dei festeggiamenti per l'ambasciatore di Malta e così via.
Il Vicerè Fogliani nel 1772, in occasione del primo parto della regina Maria Carolina, invitò la nobiltà a un ballo nella villa Zati a Mezzomonreale, mentre il popolo in piazza si divertiva con un ricco albero della cuccagna e poi tutti insieme ad ammirare i fantastici “fuochi di gioia", cioè fuochi d'artificio (già allora costosissimi!).
In una sorta di gara in cui si bruciano migliaia di onze, la moneta del Regno di Sicilia, altri aristocratici organizzano feste memorabili: duemila persone danzano, giocano, mangiano, servite da uno schieramento di paggi e maestri di casa, nel palazzo del Piano della Marina del Principe di Partanna.
Nel 1777 in onore del matrimonio del figlio del Vicerè Marcantonio Colonna si svolgono ricevimenti, balli e feste degni di un sovrano, per più di quindici giorni consecutivi.
"Il Pretore – racconta il Pitrè - non può restare indietro e bandisce una festa al palazzo di città, a sue spese perché la cassa dell’erario è vuota!”. E commenta: “Tutto per una coppia di giovani sconosciuti ai più!”. A una festa si videro fontane versare vino e i saloni immensi furono addobbati di alberi appena divelti e carichi di frutta, che si riflettevano nelle pareti a specchio, amplificandosi in un bosco virtuale.
Il tutto culminava nell'ultimo salone in fondo, dove era stata allestita una collina folta di alberi, in mezzo ai quali un sentiero di bonbons e gateaux di ogni specie conduceva alla sommità! Oggi tutto ciò sarebbe considerato l'apoteosi del kitsch ma all'epoca era fondamentale ottenere l'“effetto sorpresa".
Il 1797 poi fu un anno memorabile negli annali palermitani: “ da gennaio a dicembre fu un carnevale continuo: teatri, trattenimento e feste senza soluzione di continuità”, scrive ancora il Pitrè.
E Palermo non fu l'unica città a vivere una intensa vita mondana nel lungo periodo della dinastia borbonica in Sicilia: nel 1806 arriva re Ferdinando in visita a Siracusa e la città si trasforma in un'eccezionale messa in scena del lusso: non solo le tavole ma persino le strade vennero, per così dire, imbandite perché, perduto il loro quotidiano (e reale) aspetto dimesso, divennero anch'esse espressione di illusoria magnificenza, simbolo di un potere precario.
Proprio come gli archi posticci costruiti per nascondere le casupole al passaggio reale! Anche a Catania si pensa a giocare e ballare. Uno dei viaggiatori del Gran Tour, Thomas Wright Vaughan, partecipa a un gran ballo, ospite del principe di Reburdone, e rimane colpito dall'ampiezza dei saloni dove centinaia di invitati potevano danzare, conversare e giocare comodamente.
Capolavori di fantasia e di invenzioni si susseguono in un climax di eccessi che sembra presagire la catastrofe: questo schema rigido e rigoroso delle feste nobiliari, momento insostituibile di identificazione “di classe”, è destinato infatti a crollare come un castello di carte.
L’illuminismo, corrente di pensiero democratica, la Rivoluzione francese e, a seguire, i moti rivoluzionari liberali del primo Ottocento, cambiano le sorti dei giochi di potere: la nobiltà cede il passo alla borghesia, nuova classe dominante.
Abbigliamento fastoso, addobbi di saloni, cerimoniali della tavola di lusso somigliano al canto del cigno di una classe sociale che non vorrebbe morire.
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