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Via Libertà (e non solo) ieri e oggi: le ville e i palazzi che Palermo ha perso negli anni

In meno di venti anni spariscono per lupara bianca monumentale decine di ville, villini e palazzi: un itinerario che sarebbe diventato senza dubbio patrimonio Unesco

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 2 marzo 2018

Palazzo Di Paola era in via Notarbartolo angolo via Libertà fino agli anni 40 dove oggi c'è il Coni

È possibile raccontare una assenza importante di cui non si abbia una diretta memoria visiva? Potremmo spiegare la dimensione sacrale dell'Acropoli ateniese se oggi non potessimo camminare tra le rovine e apprezzarne la spazialità di vestigia seppur erose da tempo e guerre?

Potremmo apprezzare davvero soltanto attraverso i racconti di storici coevi la grandezza delle opere di Roma imperiale, la ricchezza di Pompei o lo sfarzo degli egizi se le tracce di questi importanti habitat immaginati e costruiti da altri uomini in tempi altri, non fossero a noi giunti in larga parte fruibili e visibili?

La storia, attraverso gli stili, sedimenta grandezza, costruisce bellezza, disegnando tutta la potenza espressiva delle nostre città in termini di stratificazioni monumentali, ma troppo spesso sciagure naturali e l'intervento scellerato della furia iconoclasta dell'uomo, concorrono ad annientare la nostra memoria diretta su ciò che ereditiamo da tempi illuminati.
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È proprio il caso dell'olocausto Eclettico e Art Nouveau subito dalle costruzioni realizzate tra le vie Libertà e Notarbartolo, nate come espressione dei desiderata della nuova classe emergente della bellè epoque palermitana e di fatto cancellate con il tramonto del destino di quella stessa classe imprenditoriale che non resiste al sopraggiungere dell'ultimo conflitto mondiale.

In meno di un ventennio spariscono per lupara bianca monumentale i villino Salandra, Raineri, Genuardi-Cavarretta degli architetti Palazzotto, il villino Sillitti, palazzo Di Stefano e La Lomia, palazzo Majo, i villini Nicoletti e Riccobono e il palazzo Gaeta progettati da Armò, villino Planeta, palazzo Restivo, villa Lanza Deliella di Ernesto Basile.

Di questa pesante assenza, frutto del saccheggio edilizio intessuto con la conquista democristiana della città da parte dell'asse Lima-Ciancimino perpetrato attraverso le connivenze con i proprietari dei villini distrutti al cui posto cominciarono a sorgere i condomini costruiti da palazzinari con densità edilizie folli, non abbiamo mai veramente elaborato il lutto perché nessuno ci ha mai spiegato né saputo spiegare cosa abbiamo perso in termini di comunità.

Si, perché in questa vicenda abbiamo perso proprio tutti, guardie e ladri, buoni e cattivi, perché dalla distruzione della nostra grande bellezza, nessun valore positivo è subentrato bensì messaggi antisociali palesemente opposti al tono di una grande capitale culturale che fu per l'ultima volta proprio negli anni in cui i protagonisti del costrutto valoriale del gusto neo-gotico e floreale erano nomi altisonanti.

Come Alliata, Florio, Ingham, Whitaker, Rutelli, Utveggio, supportati da costruttori di tecnica e armonia come i Basile, Armò, Damiani Almeyda, Santangelo, Benfratello, Bonci, Caronia Roberti, Cardella, Mineo, Alagna, Zanca e da artisti come Rutelli, Ximenes, Civiletti, Ugo, De Maria Bergler, Gregorietti, Boldini, Enea, Di Giovanni, Ragusa, De Lisi, Cortegiani e da artigiani come Martorella, Li Vigni, Caraffa, Golia & Ducrot.

Attori tutti del rilancio urbanistico della città in direzione Nord, attraverso la tipologia del palazzo a tre o quattro elevazioni fuori terra e del villino di matrice basiliana posto quasi sempre al centro di un giardino privato a completamento del disegno urbano della scacchiera del Piano ottocentesco dell'ingegner Felice Giarrusso.

Una costellazione di bellezza integrale in cui l'architettura delle forme abitate si fonde alla natura mantenuta come sostanza spirituale nei giardini aggettivati dal ferro battuto che anticipa il lusso di interni governati da decori su pareti e soffitti, impreziositi da arredi lignei disegnati su misura ad integrazione di tessuti, dipinti e sculture.

Un unicum organico reciso in favore di un finto ideale di progresso mai avvenuto. Forse questa assenza pesante la possiamo immaginare compensando attraverso altri sensi.

L'olfatto per esempio, perché gelsomino e zagara unitamente al fiorire di agrumeti ed essenze tipicamente stagionali, completavano il quadro di una città costruita veramente a misura di uomo con guanti, bastone e cilindro e di carrozza e di perdute buone maniere.

Una città in cui i marciapiedi erano autostrade pedonali connotate da riti di conviviale convivenza pacifica, costruita da gesti dal sapore romantico come romantico fu l'ideale di costruzione della via della libertà definita nei suoi eleganti due fronti in soli trent'anni all'apice del quale comincia l'innaturale declino verso le mani sulla città da parte di una classe dirigente "viddana".

Non abbiamo perso solo un'idea di bellezza collettiva che sarebbe divenuta oggi, ne sono sicuro, l'ennesimo tassello patrimonio Unesco "Liberty", abbiamo perso porzioni via via più grandi di innocenza e di storia dell'arte.

Abbiamo perso l'atmosfera felice di una grande capitale del gusto europeo in cui poter incontrare Oscar Wilde e Sigmund Freud tra platani e ibiscus nella passeggiata su via libertà, abbiamo perso un intero segmento di storia dell'arte tradito dalla bulimica voracità di miserabili ominicchi e quaquaraqua prestati al gioco del mero profitto di un cemento armato a distruggere il futuro nel saccheggio del paesaggio della piana della conca d'oro.

Abbiamo perso noi stessi, il nostro diritto conquistato nei secoli di stratificare valore e concesso la congestione contemporanea di una città priva di orientamento e con l'anima sporca.

Serva a contemplare e avvicinarsi a capire tutta la bellezza distrutta dal sacco, la visione delle tele eterne di Michele Catti presenti nelle permaneti della Gam e di villa Zito.

Lui, fotografo dell'anima di quella capitale Art Nouveau come nessun altro attraverso i suoi colori e le sue velature, seppe intuire l'essenza effimera di sensazioni di passaggio di un delicato equilibrio tra convergenze artistiche, di costume, società, economia e intelligenze politico-amministrativo di cui ancor oggi, parti essenziali di una unità spezzata, restiamo in perenne e necessaria ricerca.

Questo e tantissimo altro abbiamo perso. Il diritto d'esser patrimonio Liberty dell'Unesco, unica città a poterne rivendicare il primato esteso di scala dall'arredo al paesaggio di così estesa misura, unica città a non aver protetto la sua natura così eminentemente floreale.

Resta la città balneare di Mondello a ricordare i rapporti dimensionali tra i villini ancora in larga parte rimasti in piedi, mentre qualcosa di strano pare non vada oggi nell'area che il comune concesse di adibire a parcheggio tra i fantasmi di villa Lanza-Deliella.
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