STORIE
Va via da Londra perché gli manca il sole: chi è l'ex manager che si reinventa in Sicilia
Ventitré anni fa questo ragazzo di Sant’Angelo Muxaro, borgo rurale dell’agro agrigentino, era partito per studiare business e management. La sua storia
Pierfilippo Spoto
"Amunì!" chi in Sicilia non ha mai pronunciato almeno una volta nella sua vita questa esclamazione, o non ne conosce il significato?! Un idioma dialettale di cui qualcuno ha coniato addirittura un “payoff” per rappresentarci, per raccontare la Sicilia e contribuito a farla diventare oggi uno dei luoghi più ambiti da scoprire, da visitare, dove fare più che una vacanza: una esperienza.
È questa la scommessa di Pierfilippo Spoto, tra le guide ambientali escursionistiche siciliane più longeve, che con il suo “Amunì” invita a scoprire un’altra terra, quella dell’anima, del cuore dell’entroterra, una meta al di là delle best destination di Taormina, Agrigento, Cefalù…
La sua è una Sicilia arcaica e ancestrale, fuori dal tempo e autentica, senza sovrastrutture, niente che non sia reale, che non sia la vita di tutti i giorni portata alla luce, vissuta come una sperienza incontrando le persone del posto, gli artigiani, gli agricoltori, i personaggi di un mondo popolare che sono l’essenza delle comunità.
Fino a quando da cameriere d’albergo e poi lavapiatti in ristorante – solo alcuni della miriade di lavori fatti per mantenersi agli studi e non pesare sulla famiglia – si trasformava in un giovane manager con una alta aspettativa di carriera.
Eppure qualcosa lo ha fatto tornare indietro, una sensazione di disagio nonostante avesse tutto, un tassello mancante indefinito, fino a quando non gli fu chiaro di cosa si trattasse.
Quel qualcosa si chiamava sole, quello che come ci racconta lui stesso si intravedeva appena, nascosto da un cielo per la maggior parte dell’anno opaco e nebbioso.
Ma come fanno questi a vivere senza il sole?! Quando in Sicilia c’è u peggiu malu tempu, pure che dura tre giorni alla fine spunta il sole che ti riscalda la faccia, che splende pure in pieno inverno. È stato quel sole che non vedevo, una delle molle che ha fatto scattare definitivamente la voglia di tornare indietro, mentre l’altra fu la curiosità di sapere come era vista la Sicilia nelle agenzie di viaggio e se esisteva nelle mete degli anglosassoni in Italia.
Si esisteva certo - se andava bene - la trovavo nelle ultime due pagine dei cataloghi italiani per turisti dove cerano Taormina, Agrigento, Selinunte, Siracusa e stop. La Sicilia dello stereotipo e niente altro, quella dei tour "mordi e fuggi", delle visite da due ore e via.
La sua Sicilia era molto altro da fare conoscere, andava ben oltre il falso pistacchio “di Bronte” spacciato come vero nei supermercati londinesi, unico alimento trovabile sugli scaffali allora, mentre lui cercava la pasta, la salsa di pomodoro, le arance prodotte nell’isola e sconosciute ovviamente.
«Vivevo abbastanza tranquillamente, mi divertivo, avevo una fidanzata e una vita interessante grazie anche al mio inglese molto migliorato che mi permetteva di aumentare il budget avendo stipendi più alti, con i quali pagavo le spese, affitto e alloggio, la travelcard senza la quale a Londra non ti muovi, un costo irrinunciabile da calcolare sui propri introiti».
Dal 1995 al 1998 erano passati appena tre anni, giusto il tempo per capire che non sarebbe mai rimasto, che quella era una parentesi della sua vita e che mai avrebbe potuto vivere in un posto dove nessuno «stenni i robi fora ad asciucari», quelle che lui chiama le “nostre bandiere” come “i seggi fora” , le sedie messe fuori nei cortili dove le persone chiacchierano, le signore fanno i mestieri.
Questi oggi sono proprio i protagonisti degli itinerari che organizza con la società che ha fondato, per portare in giro i turisti a fare esperienza e che – come dice lui - per noi sono minchiate, mentre per loro sono meraviglia, stupore di un mondo perso e ritrovato.
Un mondo ambito dai tour operator ai quali propone un turismo alternativo, la formula del “turismo esperienziale” di cui lui è un antesignano, coinvolgendo insieme residenti e visitatori.
Un mondo fatto di persone che davvero lavorano il latte per fare il formaggio, di famiglie che ospitano in casa per condividere un pranzo autentico – gli home restaurant di paese – di pasta e di pane da sfornare nel vecchio panificio di paese, nascosto in un vicolo che si trasforma in un laboratorio dei sapori.
Per fare tutto questo c’è voluto il coraggio e la visone di un sogno dell’impossibile, sfidando chi non credeva che tutto questo si sarebbe realizzato, lo stesso coraggio che trasmette a suo figlio ventenne al quale ripete sempre di non permettere mai nessuno di strappargli i sogni, di lottare con unghie e denti per questi, per essere un uomo libero come lui stesso ha scelto di essere.
«Ricordo perfettamente una delle tante frasi dette su di noi: …chissi un arrivanu a manciarisi u panettuni; e invece noi, io con chi ha condiviso l’idea e iniziato questa avventura, di panettoni ne abbiamo mangiati già venti tre, dal giorno in cui gli stessi sindaci ci guardavano come extraterrestri domandandosi come tutto quello che spiegavamo sarebbe stato possibile, in un territorio con poche infrastrutture e quasi insistente la ricettività».
Una Sicilia da promuovere ai tour operator per presentare non un territorio, ma la sua anima e il suo patrimonio, con passeggiate in natura, degustazioni, incontri con pastori e agricoltori, pranzi nei vicoli del paese preparati dalle casalinghe.
«La mia idea è fare arrivare al cuore dell’ospitalità, è far entrare in una comunità ospitante e ospitale, che possa trarre beneficio da una piccola economia, per sentirsi ancora viva e orgogliosa, fiera delle proprie tradizioni che diventano anche un mezzo di sostentamento.
C'è un lato della Sicilia tutto da scoprire, un lato sconosciuto e straordinario, ed è per questo lavoro di promozione fatto di impegno, dedizione e passione che il suo Village Experience ha vinto il primo contest WOW EXPERIENCE 2024 di Destination Italia.
È questa la scommessa di Pierfilippo Spoto, tra le guide ambientali escursionistiche siciliane più longeve, che con il suo “Amunì” invita a scoprire un’altra terra, quella dell’anima, del cuore dell’entroterra, una meta al di là delle best destination di Taormina, Agrigento, Cefalù…
La sua è una Sicilia arcaica e ancestrale, fuori dal tempo e autentica, senza sovrastrutture, niente che non sia reale, che non sia la vita di tutti i giorni portata alla luce, vissuta come una sperienza incontrando le persone del posto, gli artigiani, gli agricoltori, i personaggi di un mondo popolare che sono l’essenza delle comunità.
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Ma ventitré anni fa questo ragazzo di Sant’Angelo Muxaro, borgo rurale nelle terre sicane dell’agro agrigentino, era partito per studiare business e management al Westminster College di quella Londra ombelico del mondo, dove tutto è straordinario, la città europea per antonomasia delle grandi opportunità.Fino a quando da cameriere d’albergo e poi lavapiatti in ristorante – solo alcuni della miriade di lavori fatti per mantenersi agli studi e non pesare sulla famiglia – si trasformava in un giovane manager con una alta aspettativa di carriera.
Eppure qualcosa lo ha fatto tornare indietro, una sensazione di disagio nonostante avesse tutto, un tassello mancante indefinito, fino a quando non gli fu chiaro di cosa si trattasse.
Quel qualcosa si chiamava sole, quello che come ci racconta lui stesso si intravedeva appena, nascosto da un cielo per la maggior parte dell’anno opaco e nebbioso.
Ma come fanno questi a vivere senza il sole?! Quando in Sicilia c’è u peggiu malu tempu, pure che dura tre giorni alla fine spunta il sole che ti riscalda la faccia, che splende pure in pieno inverno. È stato quel sole che non vedevo, una delle molle che ha fatto scattare definitivamente la voglia di tornare indietro, mentre l’altra fu la curiosità di sapere come era vista la Sicilia nelle agenzie di viaggio e se esisteva nelle mete degli anglosassoni in Italia.
Si esisteva certo - se andava bene - la trovavo nelle ultime due pagine dei cataloghi italiani per turisti dove cerano Taormina, Agrigento, Selinunte, Siracusa e stop. La Sicilia dello stereotipo e niente altro, quella dei tour "mordi e fuggi", delle visite da due ore e via.
La sua Sicilia era molto altro da fare conoscere, andava ben oltre il falso pistacchio “di Bronte” spacciato come vero nei supermercati londinesi, unico alimento trovabile sugli scaffali allora, mentre lui cercava la pasta, la salsa di pomodoro, le arance prodotte nell’isola e sconosciute ovviamente.
«Vivevo abbastanza tranquillamente, mi divertivo, avevo una fidanzata e una vita interessante grazie anche al mio inglese molto migliorato che mi permetteva di aumentare il budget avendo stipendi più alti, con i quali pagavo le spese, affitto e alloggio, la travelcard senza la quale a Londra non ti muovi, un costo irrinunciabile da calcolare sui propri introiti».
Dal 1995 al 1998 erano passati appena tre anni, giusto il tempo per capire che non sarebbe mai rimasto, che quella era una parentesi della sua vita e che mai avrebbe potuto vivere in un posto dove nessuno «stenni i robi fora ad asciucari», quelle che lui chiama le “nostre bandiere” come “i seggi fora” , le sedie messe fuori nei cortili dove le persone chiacchierano, le signore fanno i mestieri.
Questi oggi sono proprio i protagonisti degli itinerari che organizza con la società che ha fondato, per portare in giro i turisti a fare esperienza e che – come dice lui - per noi sono minchiate, mentre per loro sono meraviglia, stupore di un mondo perso e ritrovato.
Un mondo ambito dai tour operator ai quali propone un turismo alternativo, la formula del “turismo esperienziale” di cui lui è un antesignano, coinvolgendo insieme residenti e visitatori.
Un mondo fatto di persone che davvero lavorano il latte per fare il formaggio, di famiglie che ospitano in casa per condividere un pranzo autentico – gli home restaurant di paese – di pasta e di pane da sfornare nel vecchio panificio di paese, nascosto in un vicolo che si trasforma in un laboratorio dei sapori.
Per fare tutto questo c’è voluto il coraggio e la visone di un sogno dell’impossibile, sfidando chi non credeva che tutto questo si sarebbe realizzato, lo stesso coraggio che trasmette a suo figlio ventenne al quale ripete sempre di non permettere mai nessuno di strappargli i sogni, di lottare con unghie e denti per questi, per essere un uomo libero come lui stesso ha scelto di essere.
«Ricordo perfettamente una delle tante frasi dette su di noi: …chissi un arrivanu a manciarisi u panettuni; e invece noi, io con chi ha condiviso l’idea e iniziato questa avventura, di panettoni ne abbiamo mangiati già venti tre, dal giorno in cui gli stessi sindaci ci guardavano come extraterrestri domandandosi come tutto quello che spiegavamo sarebbe stato possibile, in un territorio con poche infrastrutture e quasi insistente la ricettività».
Una Sicilia da promuovere ai tour operator per presentare non un territorio, ma la sua anima e il suo patrimonio, con passeggiate in natura, degustazioni, incontri con pastori e agricoltori, pranzi nei vicoli del paese preparati dalle casalinghe.
«La mia idea è fare arrivare al cuore dell’ospitalità, è far entrare in una comunità ospitante e ospitale, che possa trarre beneficio da una piccola economia, per sentirsi ancora viva e orgogliosa, fiera delle proprie tradizioni che diventano anche un mezzo di sostentamento.
C'è un lato della Sicilia tutto da scoprire, un lato sconosciuto e straordinario, ed è per questo lavoro di promozione fatto di impegno, dedizione e passione che il suo Village Experience ha vinto il primo contest WOW EXPERIENCE 2024 di Destination Italia.
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