CURIOSITÀ
Una risposta che dice tutto: perché diciamo "quanno asciucano i balate ra Vucciria"
A Palermo, quando proprio vogliamo far capire che "unn'è cosa", usiamo un'espressione che alle orecchie dello"straniero", potrebbe sembrare assurda
Una birra in Vucciria
"Tanuzzo ma quannu l’ha pittare a cammera i ruormere?", "Rosalia... quanno asciucano i balate ra Vucciria!" Oppure,"e quindi? Quann’è ca vi maritate?", e lui volendo fare lo spiritoso, ma senza sapere il pericolo a cui va incontro, "’Ncà... quannu asciucano i balate ra Vucciria!".
Insomma è palese che, a Palermo, con questa espressione si vuole porre un inconfutabile veto sul possibile accadimento di qualcosa che per "ovvie" ragioni, (leggasi camurria), non accadrà mai.
Ma ste mischine di balate picchì non s’avvissiru asciugare mai?
La risposta, e qui per i più anzianotti come me parte la musichetta di Quark, è da ricercarsi nell'origine della Vucciria stessa, uno dei mercati di Palermo più famosi, con i suoi colori sgargianti, odori che sono timpulate na facci e assordamenti per l’abbannio dei mercanti che sbraitano ad un centimetro dall’ orecchio.
A testimonianza della cosa, seppur costruite in epoca successiva, vi sono ancora oggi le famose scalette che collegano la via Roma alla piazzetta Caracciolo, anticamente quasi adiacente al mare, e dove subito possiamo ammirare le balate posate ri turchi, (in arabo Balat significa lastra di pietra).
Il nome Vucciria deriva dal termine francese Boucherie, ovvero macello, difatti, quella piazzetta, denominata in origine piazza di Grascia, era in origine un vero e proprio scannatoio a cielo aperto, soprattutto per la preparazione del “becco”, (da qui l'espressione offensiva, anche se ormai desueta, si comu u becco ra Vucciria!).
E già da allora le balate erano bagnate a causa delle grandi secchiate d’ acqua che i chianchieri usavano gettare per pulire il pavimento dal sangue.
Nel tempo , la preponderante vicinanza del mare e, di conseguenza, dei pescherecci, impose ca preputienza la compravendita del pescato facendo trasferire, volente o dolente, il macello nella vicina piana di Sant’ Onofrio, dislocandolo tra la discesa dei Giovenchi e delle Capre, il vicolo delle Chianche e dei Sanguinazzai e della piazza Caldumai, almeno fino al 1837, quando il Comune, per motivi igienico-sanitari decise di trasferire il tutto in estrema periferia vicino il fime Oreto.
Dal pesce alla presenza dell’ ortofrutta e dei carretti con il cibo di strada per allietare i presenti il passo fu breve, con tutto u Buidello che ne conseguiva. Non per niente, ancora oggi, il termine Vucciria, oltre ad identificare il mercato è sinonimo di estrema confusione. Tutto in divenire, tranne la ormai conclamata tradizione di gettare acqua.
In origine per lavare via il sangue, ora per mantenere vivo e vispo l’ occhio e corpo del pesce in vendita, dato che, si sa, per capire se il pesce è fresco c’ha taliari l’ occhio, se non fosse che a mia mi putissiro impaccare pure u pisci fituso e non batterei ciglio.
Le balate della Vucciria erano sempre e constantemente arruciate, persino di notte, quando il mercato venica lavato per prepararlo all’ esposizione della mercanzia del giorno dopo.
In conclusione, era quasi impossibile che le balate si potessero asciugare, poichè., per un motivo od un altro, ricevevavno sempre grandi secchate d’acqua, per l’espresisone stava prefettamente ad indicare qualcosa che mai sarebbe avvenuta.
Ad oggi, purtroppo, le balate della Vucciria stanno cominciando ad asciugarsi, solo la sera, al massimo, si bagnano del contenuto delle bottiglie o bicchieri dati dai locali che lì stanno sorgendo.
Ma la capacità dei palermitani, di far capire in modo perentorio che non faranno mai qualcosa che un c’attigghia, sparirà solo quando s’asciugheranno le balate ra Vucciria.
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