CURIOSITÀ
Un'erba di mare "antenata" dello street food in Sicilia: dove c'è lei, l'acqua è pulita
Consumata in purezza nel “coppu" è anche ottima come contorno per la grigliata di pesce, servita cruda nei ristoranti, con olio, sale e limone
"U mauru"
Non tutti sanno infatti che il mare Ionio nasconde qui, 30/50 centimetri sott'acqua, un'erba e un fiore sempre più rari. Per i catanesi e gli acesi doc si chiamano u mauru e “l'ogghiu ammare" e ormai non sono più cibo povero ma vere e proprie golosità, apprezzate da chef stellati e buongustai.
"U mauru" (forse chiamato così, in italiano "magro", per il suo aspetto filamentoso oppure nel senso di “povero”, perché consumato a bordo dai pescatori in mancanza d'altro) è un’alga rossa dal difficile nome scientifico (Chondrachantus teedei).
Oggi purtroppo è cambiato tutto: l'inquinamento ha causato quasi l'estinzione di questa come di molte altre specie, perché l'habitat naturale del mauro è là dove l’acqua salata (e pulita) incontra le correnti d'acqua dolce.
Per questo il mauro è quasi sparito dalle ceste dei venditori ambulanti, dalla Pescheria (storico mercato del pesce di Catania), dai ristoranti ed è una sorta di caccia al tesoro per gli intenditori e i commercianti, ma "nun ci nné mauru" è la risposta ricorrente e chi riesce a trovarlo non dice dove lo ha pescato neanche sotto tortura.
Ovviamente il suo prezzo è aumentato in proporzione alla difficoltà di reperirlo: u mauru va dai 30/40 euro al kg. Che peccato. Perché quest'erba di mare, consumata in purezza nel “coppu" (il cono di carta tornato di moda), è l'antesignana dello street food ma è anche un perfetto contorno per la grigliata di pesce, come viene proposta nei ristoranti, cruda e condita solo con olio, sale e limone.
Che sapore ha il mauro? All’intenso sapore di mare si aggiunge una nota ferrosa dovuta alla sua ingente quantità di iodio che si fa sempre più forte a stagione avanzata (cresce da marzo a giugno).
Ma ancora a proposito di strani abitanti commestibili del nostro mare, l'ogghiu ammare è una strana creatura dalla doppia natura di pianta-animale. Soffermiamoci un attimo sul suo nome dialettale che deriva addirittura dal francese oeillet, in italiano garofano (e infatti l'altro suo appellativo dialettale è ialoforu di mari, garofano di mare) ma comunemente è anemone di mare (Attinia il nome scientifico) ed è temutissimo perché fortemente urticante.
Non sedete mai su uno scoglio a pelo d'acqua lungo il litorale tra Catania e Acireale: potreste fare un incontro ravvicinato niente affatto piacevole. Ma la buona notizia è che l'ogghiu manifesta la sua dolorosa caratteristica solo da crudo. Come il mauro, per crescere ha bisogno di acque pulite e anche lui vive avvinghiato allo scoglio vulcanico, ma a differenza dell’altro non è commestibile da crudo.
Tuttavia, vale la pena armarsi di guanti, cucchiaio (e pazienza) e avventurarsi alla ricerca di questa specie sempre più rara. Se ne vedete qualche esemplare dai lunghi tentacoli multicolori, staccateli piano piano per non urticarvi e una volta a casa godetevi un piatto di spaghetti straordinario con gli anemoni di mare (ormai innocui!).
In padella con olio buono, aglio, prezzemolo e un ingrediente segreto che darà al piatto il profumo e il sapore del mare: l'acqua dello stesso mare, dove li avete trovati, perché se ci sono loro l'acqua è certamente pulita.
Una cucina davvero emozionale, perché coinvolge i sensi e arriva all'anima, quella che ha ispirato anche grandi cuochi nell'utilizzo di questo ingrediente: dagli spaghetti con anemoni e ricci agli anemoni e burrata ma anche le goduriose frittelle.
Protagoniste queste ultime di un raccontino “amarcord" di due sessantottini catanesi che, marinata la scuola per un tuffo tra gli scogli di Ognina, finirono morsicati da qualche ogghiu e doloranti si fermarono a mangiare in una piccola osteria di pescatori che su pochi tavoli con le tovaglie a quadri bianchi e rossi offriva semplici specialità marinare della zona.
E fu così che si ritrovarono nel piatto, impastellati e fritti, i loro "carnefici" e dopo molta diffidenza dovettero ricredersi, gustandosi una vera e propria leccornia.
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