CURIOSITÀ
Un dono della natura che cambiò la vita della città: la leggenda del "tesoro rosso" di Sciacca
In Sicilia, terra del mito, non c’è cosa che non abbia la sua leggenda. Così anche Sciacca ne ha una e ci dice che il suo corallo rosso fu scoperto casualmente da un pescatore
Nelle acque già erano generose perché molto pescose, che bagnano la costa saccense, emerse nella seconda metà dell’Ottocento un banco di corallo, a cinquanta miglia dal capo San Marco.
Il primo banco di corallo in Sciacca si scoprì nel 1875.
Aneddoti dell’epoca ci raccontano infatti che il 10 maggio del 1875 tre pescatori, Alberto Maniscalco, Giuseppe Muschilda e Alberto (detto “Occhi di Lampa”), nel ritirare la rete a strascico sulla loro barca a vela, vi trovarono impigliati diversi rami rossi di corallo.
Alberto Maniscalco tornò sul posto e scoprì, a un centinaio di metri di profondità, un ricchissimo banco di corallo di circa quattro ettari. La scoperta non poteva rimanere nascosta e il banco iniziò ad essere sfruttato intensamente.
Il periodico saccense ”La Fenice”, che si stampava negli anni in cui avvenne la scoperta, riporta altre cifre: nella campagna di pesca del 1883 se ne pescarono 7200 quintali. I pescatori di Sciacca, soprattutto, ed alcuni imprenditori approfittarono subito di quella manna e la flotta locale venne notevolmente potenziata.
«In quest’anno 1884 per la pesca del corallo vennero armate in Sciacca n. 63 barche della complessiva portata di tonnellate 205 e con il numero complessivo di 567 uomini e n. 4 Bilancelle dei fratelli Di Paola e Curreri della portata media di 10 a 12 tonnellate e con una forza numerica di effettivo equipaggio di n. 44 individui.
Le Barche di Sciacca, tutte veliere di tipo latino, munite di licenze da pesca, sono dirette da marinai o da pescatori Sciacchitani, bastantemente esperti nella pesca del corallo. Esse sono armate con ciurma del paese alla parte degli utili», si legge sul settimanale La Fenice del 4 gennaio del 1885.
Un altro giornale di Sciacca, L’Unione, nel numero del 22 settembre 1878 illustra ai lettori le operazioni compiute per pescare il corallo.
«Trovasi il corallo alla profondità di 13 a 300 piedi. Per strapparlo dagli scogli ai quali è fortemente attaccato i pescatori servonsi di due strumenti: il primo consiste in due travi ligate in croce e fornite nelle loro estremità di reti a forma di sacchetto.
Attaccano una corda nel centro della croce e la calano nel mare dopo avervi sospeso nel mezzo un peso grande quanto occorre per farla andare a fondo.
Il palombaio va a fondo con la croce, ne caccia le punte l’una dopo l’altra nelle cavità delle rocce ed introduce il corallo nelle reti: allora quelli della barca tirano con forza, strappano il corallo, e lo traggono fuor dell’acqua mediante le corde. Il secondo strumento più semplice ancora, non è che una specie di cucchiaio di ferro, intorno al quale pendono le reti, per inviluppare e raccogliere i pezzi di corallo nel modo medesimo dianzi espresso».
Fin qui la storia.
Ma in Sicilia, terra del mito, non c’è cosa che non abbia la sua leggenda.
Così anche il corallo di Sciacca ne ha una e ci dice che il corallo rosso di Sciacca fu scoperto casualmente da un pescatore, Alberto Amareddu, che per recuperare un ciondolo, donato all’amata Tina, caduto in mare, senza pensarci due volte, si gettò nelle profondità del mare per recuperare il gioiello e qui scoprì il tesoro di Sciacca.
La “pesca” durò fino alla fine del secolo quando i banchi di corallo si esaurirono. Si calcola che furono estratti dal mare oltre 20 milioni di kg di corallo e fu esportato in tutto il mondo. Gli studiosi scoprirono che così tanto corallo si trovava in quelle acque perché in esse c’è un vulcano, oggi denominato Empedocle, lo stesso che avrebbe dato origine all’isola Ferdinandea, comparsa e poi scomparsa in pochi mesi nel 1831.
Si trattava quindi di un corallo morto e, in quanto tale, non può riprodursi. La scoperta dei banchi di corallo favorì a Sciacca l’evoluzione del piccolo artigiano in imprenditore. Fu lavorato per farne pallini, bottoni, spole, cannette ma anche ciondoli, orecchini, bracciali e collane non di rado in combinazione con altri materiali preziosi come ad esempio oro e argento.
Celebri divennero le classiche collane formate da trentatré sfere di corallo (quanti gli anni di Cristo), finemente sfaccettate e di dimensioni degradanti.
I colori del corallo di Sciacca sono perfetti anche per essere accostati alle gemme più preziose. Il commercio sviluppatosi in quegli anni portò la città di Sciacca ed altri centri rivieraschi ad una espansione dei processi produttivi che diedero vita ad una notevole espansione urbanistica, con la nascita di nuovi quartieri dove nuovi imprenditori scelsero di costruire le loro abitazioni e numerosi magazzini.
Basti pensare che in pochi anni ben 17.000 pescatori di corallo professionisti accorsero da ogni dove, da Torre del Greco soprattutto.
Quello di Sciacca è un corallo subfossile, databile ad alcuni milioni di anni fa.
È un octocorallo che fa parte della famiglia del Corallium rubrum mediterraneo. Presenta una colorazione rosa salmone dall'intenso al pallidissimo. Talvolta con delle macchie di colore giallo tendente al bruno e al nero dovute all'azione ossidante di alcuni batteri che, attaccando le componenti ferrose del corallo, determinano le bruniture.
Dal 2012 è sorto un consorzio di aziende specializzate nella lavorazione, del corallo, che preserva e promuove metodi di lavorazione artigianali e l’identità della pregiata gemma marina in tutt’Italia e all’estero.
Nei locali di un atelier di Sciacca è sorto il Museo della Storia del Corallo di Sciacca, frutto di venticinque anni di ricerche che racconta ai visitatori la storia e la magia dell’oro rosso di Sciacca.
Divenuto quasi introvabile, viene lavorato da pochissimi laboratori per la creazione di gioielli inimitabili. Viene esposto in mostre internazionali e distribuito oggi anche da New York a Doha. Si calcola che il giro d’affari sia di circa 2 milioni di euro all’anno.
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