STORIE
Un coppo di ''calia'' e ''simenza'' mette tutti d'accordo: la tradizione sicula che vale sempre
A tavola o al Festino, per le feste patronali oppure ogni giorno dell'anno, non possono mancare mai. Curiosità di uno dei passatempi preferiti dai siciliani
Le tipiche bancarelle per la calia e la simenza (foto: Flickr/duegb)
''Calia'' e ''simenza'' sono una delle tradizioni più importanti della Sicilia, immancabili nelle feste patronali in sgargianti bancarelle, nelle sagre di paese ma anche per le vie antiche delle città nei fine settimana e, a Palermo, anche in alcune botteghe storiche nel quartiere della Kalsa.
Ma cosa sono esattamente? I ceci piccoli ''caliati'' sono la ''calia'', croccanti al punto che potresti spezzarti un dente e i semi di zucca tostati e salati sono la ''simenza''. Ogni festa che si rispetti in Sicilia ha ''ù caliaru'', che porge a volontà la frutta secca grazie al ''coppu''. Immancabile infatti quel prezioso insieme di fogli arrotolati che per magia diventa più resistente del marmo e tiene custodito il bottino.
I semi di zucca invece inizialmente venivano essiccati per essere conservati in vista di una nuova semina, gradualmente divennero un alimento da gustare con un po' di sale. Oggi i semi di zucca sono mainstream soprattutto tra chi tende a mangiare sano, perché sono molto nutrienti e versatili, possono accompagnare lo yogurt a colazione o l'insalata a cena. Ma vuoi mettere quelli essiccati e col sale, presi direttamente dal ''coppu''? Tutta un'altra storia.
Il ''coppu'' è quell'entità mitologica che non trova un corrispettivo in italiano, è una sorta di scatola a forma di cono, così resistente che nemmeno l'acciaio inossidabile. La tradizione della degustazione di calia e simenza in abbondanza – perché si sa, ne prendi uno e ne vuoi altri cento e poi torni a casa rotolando – ha origini antichissime.
L'originalità dei piatti siciliani deriva dall'incontro tra le tante culture che nel corso dei secoli hanno attraversato l'isola e la calia e la simenza sono un'eredità araba, così come la ''cuccìa'' (grano bollito nel latte) nel giorno di Santa Lucia. La tecnica della ''caliatura'', ovvero la tostatura, è infatti con molta probabilità di origine araba.
In qualsiasi momento dell'anno, a oriente e a occidente, a nord e a sud dell'isola, se c'è una festa, un festino, una sagra, un carnevale, un battesimo, un funerale (ok, no, quello no), ci saranno i semi abbrustoliti a farci compagnia. E oltre a questo, in ogni casa siciliana c'è l'angolo della ''simenza'' e se non c'è, qualcosa non va, ci sarà una dieta di mezzo a privare di tanta gioia i commensali della sfortunata dimora.
Oltre ai ceci e ai semi di zucca, troviamo a volte nel mitico ''coppu'' anche le arachidi essiccate, dette ''calacausi'', e a volte anche pistacchi, mandorle, castagne ( se è periodo), fave, noccioline e, dulcis in fundo, nelle bancarelle non mancano i ''cannellini'', colorate caramelle di zucchero alla cannella.
Il termine ''calacausi'' in siciliano significa ''abbassa i pantaloni'' e deriva proprio dall'effetto che le arachidi provocano: mal di stomaco, pantaloni abbassati e vissero tutti felici e contenti.
Fino a qualche decennio fa ci si poteva imbattere nella preparazione della ''salatura'': i semi venivano ricoperti di sale sull'asfalto ed era una vera e propria tradizione. Era anche diffusa la vendita dei semi al cinema e al teatro, al posto dei gelati e delle patatine.
Il modo in cui si mangiano lo conoscerete tutti: la ''calia'' va giù che è un piacere senza togliere buccia, la ''simenza'' va aperta, con cura e attenzione, con gli incisivi, cercando di beccare quel punto esatto in cui la sua buccia si aprirà magicamente in due e la simenza cadrà nella bocca.
E adesso che sta per arrivare il Festino di Santa Rosalia, non ci resta che moltiplicare le scorte di calia e simenza che abbiamo in casa, per non farci trovare impreparati.
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