STORIA E TRADIZIONI
Un'Alcatraz siciliana: quando Lipari era il luogo di confine degli oppositori del fascismo
La vita dei confinati iniziava subito dopo lo sbarco, nelle camerate del Castello. Potevano circolare senza superare la linea di demarcazione che circondava il paese
Un gruppo di confinati a Lipari in un momento di svago (foto Archivio Storico Eoliano)
Trovarsi su un Isola che appartiene a un’altra Isola, vuol dire sentirsi doppiamente straniero, legato al volere degli dei e della natura, dove ogni certezza può essere spazzata via dalle onde di quel mare che la lambisce in ogni intima parte, e dove puoi rischiare di restare confinato a vita sotto il controllo vigile di Pietra Lunga e Pietra Menalda.
Ma è una sensazione che dura per qualche minuto. I Liparoti lo sanno bene (come lo sanno tutti i siciliani), è connaturato in loro il concetto greco della Xenia, l'ospitalità. Non è una norma scritta, è un atto dovuto che prevede sacralità e protezione per l’ospite.
I giochi di luci creati dalle tende, rendono unico questo inizio di serata, lontano dal caos, ma non lontana dal centro, la terrazza guarda il Paese, il Castello, oltre Marina Lunga, si sta bene qui a inebriarsi di racconti e tramonti.
Uso comune in Sicilia, dovunque andrai ad alloggiare, in ogni luogo che visiterai, dovunque mangerai, ci sarà qualcuno che ti cunterà (racconterà) una storia, qui il viaggio è un'esperienza di sensi e sentimenti.
Nel gioco degli intrecci del destino tutto inizia quando questa casa ancora non c’era e Lipari era il più grande centro di confino del periodo fascista.
Domenico Fraternali, è il nonno di Davide e alla fine degli anni Venti è fra i confinati politici. Lui è di Piobbico (un paese delle Marche), non è un antifascista pericoloso o famoso per il regime, ma si ritrova sull’isola insieme a nomi illustri, tra cui: Carlo Rosselli, Ferruccio Parri e Fausto Nitti ed Emilio Lussu.
Lipari ha una lunga storia come luogo di detenzione. È l’isola dove all’inizio erano confinati i delinquenti comuni, poi con la legge del 6 novembre 1926, il luogo dove isolare e confinare gli oppositori.
«Possono essere assegnati al confino di polizia, con l’obbligo del lavoro, qualora siano pericolosi alla sicurezza pubblica: 1. gli ammoniti; 2. coloro che abbiano commesso, o manifestato il deliberato proposito di commettere, atti diretti a sovvertire violentemente gli ordinamenti nazionali, sociali o economici, costituiti nello Stato e menomarne la sicurezza».
La vita del confinato iniziava subito dopo lo sbarco, con l’alloggio nelle camerate del Castello. Sotto la rigida sorveglianza della polizia e della milizia fascista, ogni mattina, i confinati erano sottoposti all’appello e alla consegna della "mazzetta", ossia la paga giornaliera di 10 lire.
Potevano circolare liberamente nel paese, senza però superare la linea di demarcazione che circondava il centro abitato. Passeggiare era la principale attività, i più tristi e malinconici si spingevano fino al limite consentito per vedere arrivare i traghetti da Milazzo, consapevoli che il mare era sorvegliato da motoscafi armati di mitragliatrici.
Situazione che non impedirà a Nitti, Rosselli e Lussu di fuggire dall’isola, in una notte senza luna, tra il 27 e il 28 luglio del 1929. Domenico si ambienta, come altri dopo l’iniziale soggiorno al Castello, può prendere in affitto con la "mazzetta" un piccolo alloggio dentro la cerchia di vigilanza.
Ottenere il permesso non era complicato, bastava non essere degli agitatori, rispettare le regole comuni, e per chi viveva in appartamento, l’obbligo di lasciare aperta la porta di casa, sia di giorno sia di notte.
I confinati erano tanti e spesso tra loro nascevano gelosie, invidie, rivalità ma Domenico ne rimane fuori, conosce Elena e se ne innamora, sceglie di rimanere "confinato" sull’isola.
La famiglia della ragazza è benestante possiede i tipici empori dell’epoca su Lipari e le altre isole, hanno inoltre terre coltivate e immobili. Elena e Domenico si sposano, ma con il tempo la florida condizione patrimoniale precipita, tra i vari motivi del tracollo ci sarà anche il padre di Elena che perderà quasi tutto a carte e fimmine.
La famiglia penserà di lasciare l’isola, progetto che non riusciranno a realizzare. Domenico muore nel 1936 a poco più di quarant’anni, lasciando la moglie con due figli e una terza in arrivo, Aurora, Pino e Nituccia.
È il figlio a partire come emigrante per Milano anni dopo. Nella città avvia un’attività commerciale, si sposa con Angela e mettono al mondo Elena, Tatiana e Davide.
Pino, però, avrà sempre nella testa e nel cuore la sua isola, è il “Richiamo dello scoglio”, come si dice a Lipari. Con determinazione, anno dopo anno costruirà una nuova casa compiendo continui viaggi, vuole tornare sulla sua isola.
È un richiamo a cui non potrà sottrarsi neanche Davide. Lipari sarà il luogo dove vivere e dove avviare l’attività lavorativa.
Ormai è notte, alla fine di questa storia fatta di confini forzati e confini desiderati e scelti, chiedo ai padroni di casa, cosa si prova a vivere qui, rispondono che i muri trasudano di quel sentimento d’appartenenza che lega persone e destini a questi scogli.
La narrazione potrebbe interrompersi, ma c’è ha ancora un’emozione da condividere, la nonna Elena raccontava come nella magica notte Liparota degli anni Trenta, avvolta dal "dolce Zefiro", scioglieva per il marito le sue trecce raccolte a "tuppo",
Domenico amava i suoi capelli, era il dolce preludio a momenti intensi d’amore.
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