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U signor Muluni e donna Pollanca: quello che non sai sulla coppia più amata dell'estate

Origini, evoluzioni, aneddoti, tutto quello che avreste sempre voluto sapere sulla coppia dell'estate e non avete mai osato chiedere: il "melllone" e la pollanca

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 23 agosto 2021

Dettaglio del dipinto di Giovanni Stanchi e a destra un dipinto di Guttuso

Chissà perché noi siciliani, figli della Magna Grecia, delle tragedie greche, delle invenzioni di Archimede, della Valle dei Templi e del magna magna in generale, non abbiamo mai avuto troppa familiarità con una parola proveniente giusto dell’antica Grecia, scritta ἀγγούριον, pronunciata angoúrion, col significato di “cetriolo selvatico”, e che sta ad indicare l’anguria.

Proprio cosi, questo frutto da noi si è sempre chiamato muluni o al massimo, se italianizzato, melllone, con tre, quattro l a scelta; e se non fosse stato un tipo tutt’altro che pignolo probabilmente avrebbe tirato fuori la carta d’identità e avrebbe detto: «Signori miei, non ve la prendete a male ma il mio nome completo è Citrullus lanatus, per gli amici cocomero».

Ha colorato le nostre estati, profumato le nostre tavole imbandite, stimolato la diuresi e ha invaso i frigoriferi sfrattando qualche collega di reparto costretto a lasciare lo scomparto per problemi di spazio.
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Lo abbiamo addentato ovunque: in balcone, per strada, al mercato e in spiaggia, sputacchiandone i semini sulla tovaglia da mare del vicino che con tutto lo spazio che c’era a disposizione è venuto a piantare l’ombrellone, con tribù al completo, proprio accanto a noi.

E siccome l’arte dell’arrangiarsi è raffinatezza allo stato puro che parte sempre dal popolo, dato che pur essendo un frutto di terra il suo habitat naturale è proprio la spiaggia, qualche altro Archimede dei nostri tempi ha inventato lo strano stratagemma di mettere u muluni per intero dentro un sacco plastica, legarlo con una corda (cui altra cima spesso si collega all’ombrellone) e buttarlo a mollo per tenerlo fresco; in caso di predatori appartenenti ad altre tribù si sguinzagliano gli esemplari più giovani (nonché bambini) che nuoteranno attorno al bottino per tenerlo al sicuro.

La domanda è: ma in fondo in fondo quanto ne sappiamo di questa anguria? Bene, a proposito di Grecia, visto che Socrate diceva che il saggio è colui che sa di non sapere, ed Epicuro ripeteva sempre che la vita si perde nei rinvii, ed ognuno di noi muore senza aver goduto di una sola giornata, non perdiamo tempo a andiamo a vedere.

Se pensate che l'anguria sia sempre stata così vi sbagliate di grosso. Nell’immagine sopra, per esempio, potete ammirare un
bellissimo dipinto di Giovanni Stanchi, pittore del 1600, che si trova alla Galleria degli Uffizi di Firenze: ufficialmente è la rappresentazione anatomica di come era questo frutto più di quattro secoli fa. Notate niente di strano? Proprio così, era completamente diversa da come la conosciamo oggi: la polpa era molta di meno, la parte bianca attaccata la scorza era più spessa e il frutto era diviso in sei sezioni che sembravano richiamare la forma dei ghirigori.

La sua trasformazione è da attribuire all’uomo che selezionandola nei secoli è riuscito a renderla molto più polposa e
consistente (questo non lo dico io ma lo dice James Nienhuis, professore di orticoltura all’università del Winsconsin, negli Stati Uniti, che ha usato proprio il dipinto di Giovanni Stanchi per spiegare l’evoluzione del melllone).

Ma le sue origini si perdono nel tempo, infatti, provenendo dall’Africa, questo frutto, si è sparso in tutto il Medioriente e poi pure nel sud Europa. Già 5000 anni fa, come testimoniano altri dipinti in alcune tombe o immagini in alcuni papiri, era noto agli egiziani che lo mettevano vicino al sarcofago dei faraoni morti.

Sì, era considerato un frutto sacro ma per dirla tutta un frutto sacro un poco schifoso perché gli egiziani ritenevano provenisse dal seme del Dio Seth: e per seme in questi casi si intende sempre il liquido seminale (non so quanto mi sarebbe piaciutomangiarlo se fossi vissuto a quei tempi).

Eh vabbè, ma se u muluni è il re della spiaggia, non essendoci re senza consorte, il ruolo di regina spetta sicuramente alla pollanca, conosciuta a tutti come pannocchia. La signorina in questione, che nella sua carta d’identità porta invece scritto Zea mays, veniva addomesticata dalle popolazioni indigene precolombiane, nella zona del Messico, qualcosa come 10.000 anni fa.

La cosa bella è che ci stupiamo se vediamo qualcuno mangiare le bacche di Goji e poi i cibi più consumati nelle nostre spiagge ce li siamo andati a scartare uno dove ha perso le scarpe il Signore in Africa e l'altro dall’America del sud. Ancora una volta, come per il cacao, pomodoro e altro, ci colpa il Signor Cristoforo Colombo: nel 1492 parte per l’India e, forse qualcuno gli manda la posizione su Whatsapp sbagliata, va a finire nel Nuovo Mondo.

Ci vorrà qualche decennio prima che gli europei prendano confidenza con il mais, ma a parte la timidezza inziale si fa quasi da subito rispettare. In Sicilia nei primi anni '500 siamo in piena dominazione spagnola e da qualche anno il re Ferdinando e la regina Isabella (conosciuti come i reali cattolici) affidano ad un frate domenicano che assomiglia a Pippo Franco ma un po’ più basso il ruolo di primo grande inquisitore dell'inquisizione spagnola: Torquemada si chiama il tizio.

E forse, vuoi lungimiranza, vuoi che si erano fatti questo flash, i due reali, nello stesso anno in cui Colombo scopre l’America, sicuri che avrebbero portato a casa tanta di quella roba che non avrebbero saputo più dove metterla, decidono che per fare spazio bisogna buttare fuori gli ebrei e così emettono l’editto di espulsione che smantellerà le giudecche di Palermo, Trapani e non solo.

Già la situazione era bella, mettici che gli ebrei in quanto a ricchezza erano messi bene perché tenevano il Den Harrow, nei primi anni del 1500 venendo meno loro e alternandosi epidemie e carestie, a Palermo era più la povertà che i pidocchi che la gente teneva in testa. Per fortuna proprio in quel momento irrompe il mais che i contadini cominciano a coltivare più che per simpatia perché non ancora regolato da decime da versare al ricco signore (in parole povere un po’ come per gli attuali motorini elettrici, essendo una novità in termini di regolamenti, non era stata creata una legge ad hoc e quindi, come questi vanno sfrecciando per la città, i contadini andavano piantando mais dove trovavano un buco).

Da allora la “pollanca”, che sembra chiamarsi così perché inizialmente si usava come mangiare per le galline, ne ha fatta di strada e, chi è siciliano lo sa, la si trova abbanniata (urlata a fini marketing) nelle spiagge e annegata in grossi pentoloni dove viene bollita per strada.

P.s. se vi doveste trovare ad assaggiare uno di questi prodotti scordatevi di questo articolo, perché se ogni volta che diamo un morso a una cosa ci dobbiamo ingoiare un'enciclopedia va a finire che vi vuole il Gaviscon a carrettate sane.
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