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Tra i ruderi (abbandonati) nel cuore della Sicilia: cosa rimane oggi del borgo

Cosa rimane delle vecchie macerie di un luogo che ha vissuto uno dei capitoli più dolorosi della storia dell'Isola. Vi portiamo qui, con un viaggio senza tempo

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 21 settembre 2024

Presente e futuro non possono prescindere dal guardare al passato. In tal senso riportiamo una frase di Jacques Le Goff: "La memoria, alla quale attinge la storia, che a sua volta la alimenta, mira a salvare il passato soltanto per servire al presente e al futuro. Si deve fare in modo che la memoria collettiva serva alla liberazione, e non all’asservimento, degli uomini".

È il caso di Santa Margherita Belice. In piena Valle del Belice - nell’agrigentino, il comune fu - tra il 14 e 15 gennaio del 1968 - colpito dal terremoto. In pochi attimi, un’intera comunità venne decimata nelle sue unità. Nonostante la lenta ripresa (emotiva), il paese fu ricostruito in tempi “quasi” rapidi.

Delle vecchie macerie cosa rimane? Quali opportunità sono state create? Girovagando attorno ai comuni interessati dal sisma, le amministrazioni hanno provato - con risultati alterni - a riqualificare le zone.

Il Cretto di Gibellina, i ruderi di Poggioreale Vecchia e la conversione artistica di Montevago sono stati i migliori risultati ottenuti nel tempo.
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Tra finanziamenti di qualsiasi entità e la buona volontà messa in campo dalle istituzioni, il terremoto è diventato argomento di vasto interesse. Tra questi, purtroppo, non rientra Santa Margherita Belice.

La premessa negativa non influenzi la visita collettiva. Il passaggio tra il moderno e l’antico è l'aspetto che si incontra entrando nella cittadina nuova. Strade larghe, abitazioni colorate in cemento e normale quotidianità hanno provato a dimenticare il resto. Eppure, superate le ultime abitazioni volte verso l’alto, gli sguardi si concentrano altrove, ai ruderi.

Grazie al decreto emesso dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, parte del mondo antico margheritese è rimasto fuori da eventuali demolizioni. Una salita abbastanza ripida porta dritti alla “Croce del Calvario”.

Percorrere a piedi la Via Calvario assume significati che vanno oltre la semplice visita. Cumuli di macerie sui due lati rappresentano entità diverse a partire dalla distruzione d’intere famiglie in pochi attimi. Dal “leggero caos" incontrato un paio di minuti prima si passa al silenzio. Tira una ventata d’aria triste lassù.

È percepibile dal rumore strano. Tutto gira attorno ai “nostri” presunti pensieri immaginari. Solo le fonti, le letture e gli articoli fanno la differenza, informano sui fatti. Il punto più alto è stato raggiunto, nessun premio viene ottenuto né festeggiato. Lo sguardo/i spaziano altrove. L’intera vallata è visibile a occhio nudo. Le colline sovrastano parte del territorio, colorate dalle ricche coltivazioni siciliane. I nuovi centri di Poggioreale e Salaparuta scuotono le coscienze.

È inutile prendersela con il mondo intero, le valutazioni vanno fatte nelle sedi opportune. Pensare che il 2 giugno (data non indifferente) del 1572 il barone Antonio Corbera fondava il paese sembra “fatto leggendario”.

Grazie a una “licentia populandi” concessa dal re di Spagna Filippo II. L’obiettivo era quello di popolare, abitare ed espandere il feudo. L’autorizzazione a dare il suddetto nome fu concessa invece nel 1610. Le condizioni del paesino migliorarono grazie alla famiglia Filangieri (antenati dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa).

Dei palazzi nobiliari fatti costruire dagli stessi e dei monumenti facenti parte del paesino si vedono pochi stucchi, nascosti tra le sterpaglie che, nel tempo, sono divenuti i padroni incontrollati della zona.

Imponenti scalinate accompagnano i visi perduti a setacciare ogni angolo. Una piccola parte dei quartieri di San Vito e Calogero sono adibiti alla pastorizia.

Tra un passo e l’altro s’incontrano greggi intimoriti (del nostro passaggio) e agnellini piangenti. Almeno scaldano e vivacizzano l’ambiente. Improvvisamente spunta un cagnolino denutrito, chiede impazientemente un po' d'acqua e cibo. Scatta l’evidenza di cui non possiamo omettere l’esistenza.

Santa Margherita Belice merita il giusto riconoscimento. Le associazioni si erano mosse in primo luogo con la realizzazione del “Museo della Memoria” all’interno dell’ex Chiesa Madre.

Tra abbandoni, dimenticanze e vicissitudini varie, è venuto a mancare "spesso" il ricordo. Siamo testimoni di un passaggio storico negativo, in nome di un periodo fiorente e cinematografico.

Nessun Luchino Visconti potrà ripetere le gesta del "Gattopardo", ma almeno proviamo a restituire dignità e visibilità a un popolo martoriato.
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