STORIA E TRADIZIONI
Ti rivolgi a lui (anche) se vuoi un buon matrimonio: i riti di San Giuseppe in Sicilia
Padre e protettore delle famiglie, ma anche dei poveri e degli orfani e dei falegnami e delle ragazze da marito. Storia e tradizioni della ricorrenza del 19 marzo
La statua di San Giuseppe, Patrono di Ramacca
Rappresenta la Provvidenza che si prende cura dei figli più bisognosi e diseredati: Giuseppe con il suo lavoro è stato sostentamento di Maria e del piccolo Gesù.
A lui si ricorreva affidando i propri cari durante una malattia, una preghiera recitava a sta Figghia e a sta mugghieri mia cci lassi a San Giuseppi pritutori. Gode di grande devozione in innumerevoli Comuni siciliani, Pitrè lo definisce "il più carezzato tra i Santi Patroni".
Figura importante e presente nelle varie festività da dicembre a marzo. All’inizio la sua ricorrenza cadeva tra il 25 e il 26 dicembre, quindi legata alla nascita di Gesù. Ma veniva ricordato anche durante tutte le altre feste, dove la Sacra Famiglia era presente.
La festività religiosa, è stata spesso spostata fino ad arrivare al 19 marzo, nel 1479, quando entra nel Breviario, per poi attestarsi in questa data. Così scivolando attraverso i giorni, la Festa di San Giuseppe arriva a collocarsi, in un periodo da sempre carico di ritualità e sacralità: l’Equinozio di Primavera.
San Giuseppe così incarna la Provvidenza pur avendo un carattere ben definito. I Vangeli Apocrifi lo raffigurano anziano, con la barba bianca, severo e a volte amante del vino, caratteristiche che impressioneranno il folklore di diverse comunità che produrranno, canti, racconti e rappresentazioni.
La festa del Santo poteva variare in riti e tradizioni: la Vampa, la Questua per raccogliere derrate alimentari da donare ai poveri, la realizzazione dei Pani, il Banchetto da offrire a bisognosi.
La vampa molto sentita a Palermo, è stata più volte accostata al culto del Sole, che proprio in questo periodo riprende vigore. Ma è qualcosa di più, considerando che non fu solo San Giuseppe ad avere uno stretto rapporto con il fuoco, il suo falò diventa ara, dove bruciare negatività, esprimere voti, come il povero che gettava un pezzo di pane conservato dall’anno precedente, nella speranza di aver ancora aiuto e sostegno. Con quel fuoco venivano intrecciate promesse e grazie, bisogni materiali e spirituali.
Gli artefici erano i ragazzi che gareggiavano con gli altri quartieri per altezza e durata della fiamma. Avevano compiti divisi a seconda dall’età e della pericolosità del "rito", c'era chi cercava il materiale da combustione, chi impustava, chi accendeva quannu scura, chi disturbava il lavoro in altri quartieri, come si legge nella scheda tecnica elaborata dal Dipartimento beni Culturali e dell’Identità Siciliana, della Regione Sicilia.
Quando la pira diminuiva la sua potenza di fuoco, i ragazzi saltavano attraversandola, tra canti e danze. Ma se la Vampa era uno dei riti più vistosi, quello del pane non era da meno.
A Palermo la mattina del 19 marzo nella Chiesa di San Giuseppe dei Teatini in piazza Pretoria, l’Arcivescovo benediva i pani. La cerimonia in chiesa era un riappropriarsi di una festa che come dice Fatima Giallolombardo, nel suo lavoro, connetteva "il solenne e devoto al ludico e chiassoso".
Se le "sfinci", dolce tipico, erano "colorate ricche sfarzose complicate e con un segreto nascosto” un travolgente cuore di ricotta dolce, è Il Pane l’alimento principale della festa, il mezzo attraverso cui agisce la Provvidenza.
Di ogni forma e dimensione nel Catanese erano chiamati A Cuddara dalla forma tonda con due mani incrociate dedicata alla Madonna, "A Pagnoccu" per San Giuseppe con la sua mano, o "la varva o lu bastuni”, o il "Gadditu” un galletto per Gesù Bambino.
E poi c’erano i panuzzi dei bambini con all’interno finocchio, anice, e sesamo, e che potevano avere una grande varietà di forme tra coniglietti, pesciolini, uccellini, cavallucci marini, fiori.
Questi piccoli pani erano, inoltre, alternati a limoni e arance e decoravano complicate strutture a forma di archi realizzate con rami di alloro o mirto, allestiti in casa, o prospicienti l’abitazione. Sotto la struttura una specie di altare era coperto da candide tovaglie bianche, dove venivano messe in esposizione, incredibili ghirlande di pane.
Erano le donne che si cimentavano in questa preparazione che avveniva in casa; quella più brava impastava e si occupava di “ scanari” modellare la pasta, avendo bene in mente, che se la forma "veniva male", andava immediatamente buttata. Gli arnesi nella modellazione erano di uso quotidiano: spilloni, pettini, coltellini e forbicine.
Ma non c’era solo Pane, a San Giuseppe veniva allestito un banchetto per i poveri, una volta i primi a essere serviti erano tre bambini scelti tra i più bisognosi del quartiere.
Il convivio dava "potere agli alimenti" facendoli diventare offerta primaziale e pasto rituale. Le ragazze erano tra quelle che si dedicavano alla realizzazione di questo banchetto, chiedendo in cambio al Santo un buon matrimonio.
Rito d’iniziazione della Primavera, San Giuseppe rappresenta un collegamento importante con questo mondo ancestrale. Uomo di fedesarà cornice in tutta la storia terrena di Maria e Gesù, silenzioso a volte inconsapevole e spesso oscurato da eventi eccezionali.
Nonostante questo ruolo a volte secondario, è quel legame forte con l’umanità, specie quella afflitta e bisognosa. È chi facendosi carico di una famiglia, è la prima fonte di Provvidenza e Amore.
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