ARTE E ARCHITETTURA
Spandeva ruscelli dalle sue poppe: la leggenda della "fontana del peccato" di Palermo
Nel gennaio del 2020 è stato avvistato e fotografato nel museo Pepoli di Trapani ciò che probabilmente rimane di questa bella fontana che adornava un tempo “la Strada Colonna”
Dettaglio della Fontana della Sirena, Palermo (foto di Maria Olivieri)
Spesso quando ci si muove tra le pagine del passato ci si imbatte in alcune storie che hanno il sapore del racconto, o meglio, del romanzo. È il caso della “fontana del peccato”. Mi prendo la briga di battezzarla in questo modo. Capirete perché. Non è certo la storia cavalleresca della regina Ginevra e del cavaliere Lancillotto, né tanto meno la love story infernale di Paolo e Francesca, ma soltanto uno storico adulterio che fece scalpore a suo tempo e che si ricorda ancora oggi.
Tutto si generò attraverso il volto scolpito di una statua, una sirena che sormontava una fonte alla Marina di Palermo e che gettava acqua dai rotondi seni, volendo seguire Nino Basile, già a partire dal 1581. Su di essa l'immaginario popolare costruì una favolosa leggenda che traeva spunto dalla realtà. «Fontana seconda della Marina. - Fontana, che versa acqua da diversi mostri marini nella sua ampia conca marmorea veggendosi esposta in cima una bella Sirena artificiosamente scolpita che spande altresì ruscelli dalle sue poppe.
Anche se con una data differente rispetto a quella del Basile, il quale si avvale di una carta topografica di Palermo del 1581 nella quale si evince la fontana della sirena, questa è la descrizione di Francesco Emanuele Gaetani marchese di Villabianca riguardante la medesima fontana. Schietta, realistica, senza nessun commento salace che riguardava la statua della bella sirena. Eppure di cose da dire ce ne sarebbero state.
Ma il marchese tacque. Come mai? Semplice: confuse la fontana della sirena, alla quale era legata una grossa diceria, con una delle statue di Porta Felice. A quest'ultima appioppò, errando, la storia amorosa di un potente viceré e di una giovane nobildonna palermitana. Il marchese dice infatti «Le due altre statue quindi di sotto, che sovrastano a' fonti, sono delle favolose deità di Vertumno e di Pomona.
Questa ultima è il ritratto della famosa baronessa del Miserendino di casa Corbera che fu la Venere allora del viceré Colonna, chiamata Eufrosina Siracusa e Valdura». A fare chiarezza, però, ci aveva pensato già il Di Marzo in un commento sull'opera del marchese di Villabianca «Ma sbaglia il Villabianca, asserendo che il ritratto di lei sia in una delle due statue o canefore sovrastanti alle fonti laterali della porta Felice».
La storia che vi sto per raccontare è quella di un uomo “anziano” che giaceva in segreto con una giovane donna, e ne era talmente innamorato da commissionare una fontana con una statua dalle sue sembianze e dai seni della quale fece sgorgare l'acqua, affinché chiunque ne potesse godere. Fin qui nulla di tremendamente scabroso, tolto il fatto che costei era una donna sposata e di alto rango.
Quest'uomo avventato fu il viceré di Sicilia Marco Antonio Colonna duca di Tagliacozzo e la sua concubina fu la sexybaronessa, per dirla alla Pietro Zullino, Eufrosina Valdura Siracusa. Sebbene il viceré Colonna sembri l'artefice di tutto, la cronaca che ci è stata tramandata, purtroppo, lascia apparire Eufrosina come una semplice consenziente e il Colonna come il godereccio viceré, mandante di un tremendo assassinio.
Tuttavia nessuno ci vieta di interpretare e valutare a nostro modo il fatto e i protagonisti, oggi, alla luce del XXI secolo. Marco Antonio Colonna nella strada a lui intitolata, cioè la Strada Colonna, poi Foro Borbonico, quindi Foro Umberto I e infine Foro Italico, fece installare una fontana attorno alla quale l'occhio vivo della popolazione costruì molte dicerie arrivate sino ai nostri giorni.
Il Di Giovanni riporta a tal proposito che «era nella strada Colonna la fonte marmorea, che fè fare il signor Marco Antonio, con la Sirena di sopra, sua propria impresa, con la faccia del medesimo ritratto della sua cara ed amata Eufrosina» moglie di Calcerano Corbera, baronessa del Miserendino. Lo stesso La Duca, attingendo da Nino Basile, prosegue poi nella descrizione della fontana: «La fontana adorna di mostri marini, ai quali erano abbracciati dei puttini, era sormontata da una sirena che sprizzava acqua dai capezzoli di turgidi e abbondanti seni.
Ufficialmente la sirena rappresentava soltanto un simbolo referentesi ai Colonna, in quanto lo stemma della famiglia dei viceré era sormontato da un cimiero recante al di sopra una sirena; ma, in realtà, la voce popolare diceva che, invece, la sirena effigiava la bella Eufrosina con le sue provocanti forme».
L'amore fedifrago tra il viceré e la baronessa, immortalato successivamente da Luigi Natoli ne La dama tragica, rimase debitamente celato per molto tempo, ma appena la voce si sparse, sia il suocero di Marco Antonio che il marito di Eufrosina divennero ostacoli “rumorosi” per il viceré folle d'amore. Così, questi, fece carcerare il suocero per debiti alla Vicaria e, non pago, un giorno assoldò un sicario che mise fine alla vita del barone Calcerano con innumerevoli coltellate durante un suo viaggio a Malta. Il delitto fu compiuto. Dopo un brevissimo periodo di lutto, la baronessa, forse ignara di tutto, si pavoneggiava apertamente in compagnia del Colonna.
La moglie di questo, infine, accettò remissivamente la cosa, e tra la gente si cominciò a vociferare che Donna Felicia Orsini, moglie del Colonna, scovandoli nella nuziale alcova, mai disse nulla e tutto sopportò, rifiutando perfino le celate avance del poeta monrealese Antonio Veneziano. Dopo la morte del viceré Marco Antonio Colonna nel 1585, anch'egli assassinato, Eufrosina si sposò ancora, questa volta con il marchese Lelio Massimo, amico del Colonna, e si trasferì con lui a Roma. Il marchese Lelio aveva 5 figli, i quali non gradirono le nuove nozze del padre e per questo uccisero la loro matrigna. Triste epilogo o lo zampino del karma? Chissà, forse la chiusa può darci una risposta.
La fontana della sirena dalla Marina fu spostata nel Piano di S. Teresa, ovvero Piazza Indipendenza, nel 1820 ma non sappiamo il motivo. Probabilmente per l'abbellimento di questo piano allora spoglio. I palermitani vogliosi continuarono ad ammirarla fino al 1848 quando, dopo i moti, fu completamente deturpata e poi dispersa chissà dove con buona pace del primo marito di Eufrosina, il barone Calcerano Corbera.
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