AMBIENTE
Si trovano in Sicilia da milioni di anni: perché i ricci ora spariscono dal nostro mare
Un dato estremamente preoccupante, moltissime specie rischiano infatti di morire di fame, mentre altre possono prendere il sopravvento e distruggere l’ambiente
Ricci di mare (foto di Dario Lopes)
Secondo infatti l’ultimo report, mostrato qualche giorno fa alla presentazione del progetto MOPA «Monitoring Paracentrotus, occhio ai ricci», coordinato dal dipartimento Scienze della terra e del mare dell’università di Palermo, questi animali infatti stanno sparendo dalle coste siciliane e in particolar modo dall’aree marine protette del palermitano.
Andando infatti ad effettuare diverse analisi dei fondali presso 5 AMP – di preciso le riserve di Capo Gallo-Isola delle Femmine e Isola di Ustica a Palermo, di Capo Milazzo a Messina, del Plemmirio a Siracusa e alle Isole Ciclopi in provincia di Catania – gli scienziati coinvolti da questa iniziativa hanno osservato un grave crollo demografico di alcune delle specie più importanti, decretando l’allarme generale per le specie Paracentrotus lividus e Arbacia lixula, particolarmente apprezzate dai cacciatori di frodo.
Un dato estremamente preoccupante, che dimostra quanto sia urgente un inasprimento delle politiche attive di sorveglianza delle riserve come di controllo del pescato, atte a garantire oltre la salute di queste specie anche quelle del mare.
«Questa situazione ci fa riflettere sul fatto che debbano essere attivate nuove soluzioni, in quanto il Paracentrotus è una specie edule di grandissimo valore economico, nonostante alcuni prelievi illegali sono stati fatti anche infatti all'interno delle Aree Marine Protette – ha dichiarato la professoressa Paola Gianguzza, responsabile scientifico e docente di biologia marina dell’Università di Palermo, nella dichiarazione stampa diffusa dai responsabili del progetto alle redazioni.
– Per comprender meglio la situazione, abbiamo anche comparato i dati raccolti in campo con la Local Ecological Knowledge (LEK), una tecnica che usa la memoria storica dei pescatori.
Siamo partiti proprio da loro per ricercare i punti in cui i pescatori si ricordavano essere maggiormente presenti questi specie; successivamente abbiamo agito entrando in campo con immersioni nelle AMP».
Il progetto MOPA è stato finanziato anche dal Dipartimento della Pesca Mediterranea dell'Assessorato Regionale dell'Agricoltura, dello Sviluppo rurale e della pesca mediterranea della Regione Sicilia e ha cercato anche di valorizzare il ruolo delle aree marine protette, rendendole l’hub centrale in cui sviluppare nuove misure di gestione e preservazione delle risorse ittiche, che non hanno solo un valore economico e alimentare, ma soprattutto un’importanza ecologica rilevante per il benessere stesso delle coste siciliane.
Senza di esse infatti il mare che troveremmo ad aspettarci ogni estate sarebbe morto e non offrirebbe tutti quei servizi ecosistemici utili a mitigare gli effetti dell’inquinamento atmosferico come del rilascio illegale di sostanze eutrofizzanti.
Il problema dell’estinzione dei ricci dai mari siciliani non è però una questione esclusivamente locale, chiarisce Iskender Forioso, Chief Executive Director dell’European Research Institute.
Interpellato durante il convegno, infatti Forioso ha specificato che «la perdita di biodiversità del Mar Mediterraneo è un problema molto grave per tutta l’Europa ed è un fenomeno costante e continuo».
La sua fondazione ovviamente è impegnata costantemente nel contrastare la perdita di biodiversità come a sensibilizzare la popolazione cosa comporti l’estinzione della fauna marina per la nostra società, ma e proprio per gestire le popolazioni sopravvissute, ogni anno sempre più minacciate, se il progetto MOPA intende porre il Paracentrotus lividus sotto protezione, bloccandone la pesca – il tanto temuto dai pescatori fermo biologico – tramite l'aggiornamento del Piano di Gestione previsto dalla legge del 20 Giugno 2019.
Anche perché in teoria sarebbero solo 12 i pescatori siciliani che hanno licenza di pesca dei ricci, mentre nella realtà dei fatti saranno centinaia i rivenditori e i pescatori di frodo che si immergono per prelevarli dal fondale, anche nel cuore dell’aree protette, in tutta la regione.
Ovviamente, ci tengono a precisare i responsabili del progetto, con questa richiesta non si stanno accusando i pescatori subacquei dilettanti, che comunque sono autorizzati a pescarne un massimo di 50, all’esterno delle aree protette.
Qui gli scienziati, spalleggiati dai tecnici della regione, vogliono combattere il mal costume e la mafia del pescato illegale, quella che rivende anche migliaia di ricci ogni anno, tramite bancarelle di fortuna.
Sfortunatamente però non tutti i politici che dovrebbero in teoria avvallare il fermo biologico sembrano essere sensibili a queste richieste, anche perché il consumo di ricci fa parte della tradizione gastronomica siciliana dai tempi degli antichi fenici.
Se tuttavia la Sardegna, altra regione colpita da questo fenomeno, è riuscita a bloccare la pesca di ricci per alcuni anni, non si capisce perché la Sicilia non dovrebbe riuscire a compiere la stessa decisione, anche perché il caso sardo dimostra quanto il blocco possa aiutare i ricci a riprendersi velocemente dal crollo demografico.
Sono infatti bastati pochi anni affinché le popolazioni sarde di ricci di mare tornassero in salute, tanto che la pesca del Paracentropus lividus dovrebbe tornare ad essere consentita entro la fine di quest’anno o l’inizio dell’anno prossimo. In gioco c’è anche la stessa catena alimentare marina.
Senza ricci di mare moltissime specie rischiano infatti di morire di fame, mentre altre possono prendere il sopravvento e distruggere l’ambiente. Tra l’altro si ricorda anche che la specie Arbacia lixula – il comune riccio nero, scambiato spesso per il maschio di Paracentropus lividus – non è commestibile.
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