STORIA E TRADIZIONI

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Sembra uno scioglilingua ma (in Sicilia) non lo è: se ti fanno un "cazziatone" si dice così

L’origine del termine nella sua interezza e forza espressiva pare, richiamare il tressette ma se ve lo fanno non vi state sicuramente divertendo. La storia

Francesca Garofalo
Giornalista pubblicista e copywriter
  • 3 agosto 2024

Una scena tratta dal film "Full Metal Jacket"

Ricordate l’ultima volta che l’avete combinata grossa con azioni e parole? Se questa domanda vi riporta più o meno indietro nel tempo a una marachella infantile o adolescenziale, beh sappiate che non siete i soli.

L’unica differenza è che in Sicilia a essa seguiva l'espressione: "Quannu veni to' patri ti fa u lisciabbussu - Quando viene tuo padre ti rimprovera". E non parliamo di una sgridata sommessa, ma di un cazziatone che rimbombava pure nel curtigghiu sottostante, merito di una potenza vocale inaudita e commisurata alla stupidaggine.

Il termine, all’apparenza giocoso, deriva dal napoletano liscebusso ed è diffuso moltissimo nelle regioni del Sud, merito dell’unificazione di Napoli e Sicilia nel Regno delle due Sicilie.

Ecco perché lo ritroviamo nel dialetto siciliano nell’accezione "lisciabbussu". Dando un’occhiata al vocabolario Treccani “liscio” e “busso” sono le prime persone dei verbi lisciare «accarezzare» e bussare «percuotere, bastonare».
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Significati che fanno pensare a due azioni nettamente in contrasto fra loro, ma unite saldamente per lo stesso fine: fare la paternale o rimproverare in malo modo qualcuno.

L’origine del termine nella sua interezza e forza espressiva pare, invece, richiamare il tressette. Il gioco di carte della tradizione popolare nato nel 1700 proprio nel Regno delle due Sicilie, le cui regole sono note grazie a un prete napoletano, un certo Chitarrella, che nel 1840 si dedica alla stesura di un Codice.

Il nome del gioco, formato da due numeri (3 e 7) indica rispettivamente la carta più alta e quella più bassa fra quelle che avevano valore superiore a 0 punti.

Durante il gioco i partecipanti - dai 2 ai 4 - possono segnalare al tavolo alcune carte toccate in sorte mediante dei segnali: strisciando le carte sul tavolo e bussando (appunto liscio e busso).

A ogni lisciata vengono indicati il numero di scartine: sette, sei, cinque e quattro; mentre a ogni tocco corrisponde il numero della carta che si vuole segnalare: uno per l’asso, due per il due.

Mediante i gesti, il giocatore può avvertire il compagno che ha l’asso ed è poco difeso, dunque deve rilanciare con una carta più alta.

A questo punto il rischio di perdere la partita è elevato e quando il monito non è colto dal compagno avviene la ramanzina, paternale o, nei casi peggiori, una bastonatura (si spera in senso metaforico).

Lavata di capo per un termine che troviamo anche nella letteratura, in particolare quella dello scrittore empedoclino Andrea Camilleri.

Nel romanzo storico "La concessione al telefono", la parola liscebusso compare in una lettera che il debitore Sasà La Ferlita invia al “caro” Pippo, reo di aver fomentato una ramanzina del fratello.

Rimprovero non da poco anche in "La pensione Eva" dove Giungiù subisce un cazziatone dal maresciallo, dopo aver preso parte a una sciarra generale con tanto di cazzotto; senza dimenticare il suo uso nelle indagini del commissario Montalbano ne "La piramide di fango" e "La voce del violino".

Una parola, dunque, che racchiude i fasti di un regno antico e glorioso e i momenti di svago ludico che ancora oggi è vivo, specie durante le festività natalizie.

Anche se, diciamolo, nel ricordo dei più rimarrà simbolo di una voce infuriata che per qualche grossa bravata “regalava/a” una giornata tutt’altro che giocosa.
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