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Sembra divino, fa le cose "a muzzo" e parla francese: qual è la (vera) storia di SanFasò

Quante volte abbiamo detto o sentito dire “fare una cosa alla SanFasò”, per indicare una azione mal portata a termine, ovvero fatta "a comegghiè". Ecco perché

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 14 dicembre 2022

Nofriu e Virtcchio, personaggi della tradizione dell'Opera dei Pupi siciliana

È inutile, falla come vuoi sempre cucuzza è. Cioè, non è che trattasi di cucuzza e basta. Solo cucuzza non può essere perché in fondo sempre pasta cu sucu,siddìa. Più che altro testa ca un parra si chiama cucuzza… ecco di nuovo la cucuzza. Il fatto è che gira, vota e furria, a noi siciliani piace fare quelli tischi-toschi e poi, come ogni volta, agneddu e sucu e finìu vattiu.

Proprio così, il problema è quello: che partiamo per fare le cose come vuole il Signore e invece finiamo sempre per farle alla SanFasò. E siccome u cielo n’ittò e u vento n’apparò, la cosa giusta sarebbe stata fare patrono della Sicilia intera proprio questo San Fasò, che poi è quello che ci rappresenta di più.

Quante volte abbiamo detto o sentito dire “fare una cosa alla San Fasò”, per indicare una azione mal portata a termine, approssimata, a muzzo, a comegghiè?
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Naturale che ad un certo punto il dubbio mi venne, e mi recai dal parrino chiedendone a proposito: "parrì, ma cu è stu San Fasò? Come ci è diventato Santo? Per che cosa è diventato famoso? Che miracoli ha fatto?". Dopo il solito “cretino, ignorante, cucuzzuni che sei”, e un pugno con la manciagiume, mi permise di accedere alla sua conoscenza templare, non prima però di avere disaminato tutta una serie di santi, figli della working class e un poco messi da parte, alla ricerca del nostro indiziato.

Con grande meraviglia scoprii che ci sta un santo per ogni categoria e per ognuno di noi, nessuno escluso. All’angolo sinistro col peso di 110 libri (tutte bibbie ah!) San Leonardo da Noblat, protettore dei ladri, mentre all’angolo destro San Disma protettore dei carcerati. Santa Gertrude di Nivelles invece si invoca quando ci sono i topi perché protegge i gatti, e a proposito di animali c’è San Noè, che con gli animali non ci trase proprio niente, perché protettore degli ubriachi: se il diluvio universale fosse stato Tavernello sarebbe durato due giorni.

Addirittura abbiamo pure San Acario da Noyons, protettore di quelli che hanno il carattere di merda (questo lo dovrebbero fare santo due volte). Ancora, la famosa Santa Barbara che come tutte le donne (e al contrario degli uomini) è multitasking, tant’è che protegge da un sacco di cose, compreso dai fulmini, e San Adriano da Nicomedia, protettore dei secondini.

Pallone d’oro e categoria a parte per San Fiacrio da Meaux che è il protettore di quelli cha hanno le emorroidi. Poi a tripletta seguono: Sant’Ambrogio protettore delle api e dei Ferrero Rocher, Santa Colomba protettrice delle colombe-complimenti per la fantasia- e San Gallo, protettore di polli e galline (di questo ci da la sua parola Francesco Amadori).

Continuiamo con san Maudeto di Bretagna, protettore di quelli che vogliono scacciare gli insetti- quindi san DDT -, Sant’Ivo di Bretagna, protettore degli avvocati e San Tommaso Moro, protettore dei politici (Qua forse si sono sbagliati perché avrebbe dovuto essere “dai” politici).

Terminiamo la sfilza con San Gummaro protettore dei matrimoni infelici, San Claudio di Bresancon che si invoca per i foruncoli (questo è San Topexan) e San Biagio, protettore di quelli che hanno il singhiozzo.

Embè, direte voi, dove sta San Fasò? La verità è che San Fasò non ci può essere perché non era un santo e non ha niente a che vedere con la santità.

Per comprenderlo dobbiamo fare un salto nel passato fino alla fine del 1200 e l’inizio del 1300. In Europa c’è il Viva Maria: il grano come sempre scarseggia, c’è moria di raccolti, il ponte sullo Stretto se ne parla ma nessuno ci mette mani, non si riesce a capire se è più bello Filippo il Bello o più zoppo Carlo lo Zoppo, e come se non bastasse si sta per abbattere la più atroce epidemia di peste della storia.

In Sicilia ci sta proprio lui, Carlo D’Angiò (padre di Carlo lo Zoppo), che nel 1282 riceve la liquidazione dai siciliani con i Vespri ed è costretto a fare le valigie, grazie, prego, arrivederci. Da quel momento entreranno gli aragonesi ma, vuoi per un motivo, vuoi per un altro, l’influenza angioina - come d’altronde ogni altra dominazione - rimane in quelle piccole cose, tipo la lingua o il cibo, che poi verranno assimilate dal tessuto sociale.

Così è per il panino con la milza che parte dalla giudecca ebraica di Palermo, per le stigghiola consumate ai tempi nella agorà greche, per le melenzane e l’agrodolce che profumano i nostri vicoli di Le mille e una notte. Allo stesso modo ci ritroviamo ad usare inconsapevolmente parole che vengono dal francese, come per esempio: bagnera-bagnoire, accattari-acheter, racina–raisin e tante altre che non stiamo qui a vagliare perché due non fa tre.

Quello che invece dobbiamo spiegare è che l’origine di questo detto proviene propriamente dal francismo sans façon che letteralmente significa senza maniere, poi corrotto nella forma nostrana. Direte voi, e ci voleva tutta sta tiritera per dire una cosa di tre righe? Mi dispiace, è andata così.

Detto questo dovremmo terminare l’articolo con una chiusa ad effetto perché è così che si fa. Siccome però siamo a tema, lo facciamo finire così… alla SanFasò!
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